L'8 dicembre 1891 il primo oratorio salesiano in terra peruviana apriva le sue porte in un quartiere povero e popolare di Lima. La notizia che sacerdoti italiani giocavano, correvano, pregavano con la maramaglia rumorosa, corse di bocca in bocca. L'oratorio divenne la calamita irresistibile del Rimac, il quartiere che rigurgitava di ragazzini poveri. Così tutti i pomeriggi, finiti i lavori in cui le famiglie coinvolgevano anche i loro ragazzi, la casa salesiana si riempiva di monelli pronti a giocare, a cantare, a entrare nella banda musicale e nelle aule di catechismo. Uno dei primi che entrò nell'oratorio del Rimac fu Octavio Ortiz Arrieta, 13 anni. Era stato battezzato Ottavio perché era l'ottavo figlio tra i nove che Dio aveva mandato a Manuel e Benigna Coya. In una sbiadita fotografia scattata il 7 febbraio 1892, due mesi dopo l'inizio dell'oratorio, tra i ragazzi che circondano padre Riccardi spunta 1a faccia inconfondibile di Octavio.
La città di Lima, durante l'infanzia di Octavio Ortiz, era una città dolorante e povera per la guerra terminata disastrosamente nel 1883. Le truppe cilene avevano occupato il deserto costiero ricco di minerali molto richiesti dall'Europa. Il debole esercito del Perù era stato battuto, e i soldati del Cile avevano occupato Lima, depredando i ricchi palazzi e trasformando i saloni dell'antica università in caserme. Le industrie e il commercio erano ancora paralizzati, i centri culturali e scientifici abbandonati. Molti ragazzi vivevano per le strade, senza casa e senza speranza.
Nell'ottobre del 1892, accanto all'oratorio, i salesiani decisero di aprire una scuola professionale per i ragazzi più bisognosi. Ne ospitarono quaranta. I salesiani erano quattro, e avevano aperto tre laboratori: falegnameria, sartoria, calzoleria. Nel dicembre 1893 anche Octavio riuscì a esserne ammesso.
C'era molta povertà nella casa, ma i ragazzi la sopportavano senza lamenti perché i loro insegnanti facevano la stessa loro vita. Ed erano allegri, buoni, come padri o fratelli maggiori: vivevano come una vera famiglia. E in molti di quei ragazzi nacque il desiderio di diventare come i loro maestri.
In un suo taccuino, padre Pane scrisse una lista di dodici nomi: erano possibili vocazioni salesiane. Vi figurava l'apprendista sarto Fortunato Chirichigno e l'apprendista falegname Octavio Ortiz: sarebbero diventati entrambi vescovi. Octavio lavorava bene e pregava bene. Il vescovo salesiano monsignor Costamagna veniva qualche volta a visitare la scuola professionale. Un giorno, girando da solo per la casa, entra nella cucina. I ragazzi passavano a turno ad aiutare il cuoco. In quel momento Octavio con un grosso cucchiaio rimestava la minestra, e con l'altra mano reggeva un libro. Il vescovo si avvicinò e guardò di che libro si trattava. Rosso per il bollore della minestra e per la confusione, Octavio glielo fece vedere: era il catechismo. Poco dopo monsignor Costamagna diceva a don Pane: «Perché non lo fate studiare, quel ragazzo? invece che un falegname potrebbe diventare un sacerdote».
Il 24 maggio 1898 Octavio Ortiz fu accettato in noviziato. Continuò a recitare in teatro, a suonare il trombone nella banda, ma entrò nella comunità di Callao (vicino a Lima).
Divenne salesiano il 27 gennaio l900 e continuò nella medesima casa a fare l'assistente, il maestro, lo studente di filosofia e poi di teologia.
1906. 0ctavio Ortiz non è ancora sacerdote, ma padre Santinelli, ispettore dei salesiani in Perú, lo manda ugualmente a fondare una nuova scuola professionale nella città di Piura. Lo accompagnano due chierici e il sacerdote padre Gianola, che sarà 11 confessore della comunità. Piura è una città nell'estremo nord del Perù, a 900 chilometri da Lima. Octavio Ortiz compie 1a sua prima «ubbidienza» con maturità e spirito dl sacrificio. Apre la scuola professionale con tre laboratori. I giochi, i canti, il teatrino, la banda musicale danno gioia e allegria ai primi l2O alunni. Nella banda, il direttore suona il trombone. Finito il primo anno scolastico, Octavio Ortiz Arrieta viene ordinato sacerdote. E' il 27 febbraio 1907. Padre Octavio è il primo sacerdote salesiano del Perù.
Nel 1912 1a scuola di Piura apre il quarto laboratorio: la tipografia. Padre Ortiz pubblica un minuscolo periodico, La Campanilla, e sul primo numero scrive: «La scuola salesiana offre una maturità professionale ai giovani tipografi, e a tutti gli alunni istruzione e allegria. Un granello di sabbia, se volete; ma con granelli di sabbia si formano le immense spiagge che ci difendono dagli assalti dell'oceano».
Dopo l'opera di Piura, Padre Ortiz è chiamato a dirigere le opere di Cusco e di Callao. È qui, mentre si dedica con tutta l'anima ai suoi giovani, che giunge assolutamente imprevista l'ubbidienza che rovescerà la sua vita. A 42 anni è eletto vescovo della lontana diocesi di Chachapoyas, sulla Cordigliera Andina del Nord. Viene ordinato nel Tempio di Maria Ausiliatrice a Lima, tra la gioia dei suoi salesiani e degli alunni. In quel momento la diocesi di Chachapoyas si estende su un territorio vasto come un terzo dell'Italia, e comprende 120 mila persone, in maggior parte indios. Sono disseminate nelle fredde gole delle Ande, sugli altipiani e nelle umide e inesplorate selve amazzoniche. La cittadina di Chachapoyas sorge a 2300 metri di altezza. Non esiste in quel momento una strada che colleghi Lima a Chachapoyas. Il vescovo compie la prima parte del viaggio in nave (500 chilometri), poi su un trenino che si arrampica sulle Ande. Rimangono poi 200 chilometri in linea d'aria, molti di più sui sentierini che s'innalzano fino ai passi e si tuffano vertiginosamente nelle valli. Il vescovo, con due sacerdoti redentoristi e due studenti di teologia che vengono nel suo seminario, li percorre in parte a dorso di mulo e in parte a piedi. Arrivano dopo un mese. Ad accogliere il vescovo, sfinito, c'è una folla di adulti e di bambini che gli gettano fiori. Tanti sono giunti dai poverissimi villaggi (pueblos) disseminati tra i monti.
Octavio Ortiz aveva conosciuto 1a povertà dei quartieri cittadini dov'era nato, una povertà che con il lavoro e l'impegno si poteva vincere. Ora dovette conoscere un'altra povertà: quella dei mille villaggi indigeni, antichissima, cristallizzata da un sistema di proprietà feudale. La terra buona era divisa tra le grandi haciendas dei patrón. Ogni famiglia di indios o di meticci doveva fornire un lavoratore all'hacienda per tre giorni alla settimana. In cambio le era assegnato un fazzoletto di terra che coltivava per uso domestico. C'erano anche gli agricoltori indipendenti che vivevano nelle comunità indigene della sierra, ma avevano appezzamenti di terreno piccoli, sovente insufficienti. Chi, spinto dalla povertà, scendeva verso le terre fertilissime ma selvagge della foresta, doveva confidare solo nella sua salute e nella forza delle sue braccia: occorreva disboscare con fatiche tremende, e non c'erano né strade, né ponti, né centri di cura medica.
Il Perú, nazione ricchissima, aveva allora un centinaio di famiglie che possedevano gran parte del territorio. La nazione stava sviluppandosi in quegli anni con ingenti investimenti di capitali inglesi e statunitensi. I capitalisti stranieri esigevano (e si procuravano anche con la corruzione) governi stabili, magari dittatori militari, che li lasciassero "lavorare e guadagnare in pace". Non tolleravano programmi o riforme sociali che minacciassero di mutare 1a situazione, e mettesse a rischio i loro enormi (e a volte ingiusti) guadagni. E così il «progresso nazionale», cioè la costruzione delle prime grandi strade, ponti, ferrovie, lo sfruttamento delle miniere, veniva pagato con la cristallizzazione di un sistema feudale inamovibile. I poveri sovente non erano nemmeno consapevoli dei loro diritti umani, e correvano il rischio di smarrire la loro dignità di uomini in forme di vita degradata.
Monsignor Ortiz capì fin dai primi giorni che nessuna rivoluzione violenta avrebbe cambiato la situazione: i poveri avrebbero subito, oltre alla miseria, anche la violenza delle armi. Occorreva levare con dignità la voce per aprire gli occhi alle autorità centrali e ottenere tutto ciò che era possibile. Ma specialmente occorreva piantare a fondo nelle coscienze il cristianesimo. Solo Gesù Cristo avrebbe reso i consapevoli poveri e ricchi di essere fratelli, di avere un'uguale profonda dignità, e li avrebbe spinti a costruire una società più giusta. Era il lavoro lungo e paziente che l'apostolo Paolo aveva compiuto nella Grecia pagana, popolata di padroni e di schiavi, che Vincenzo de' Paoli aveva portato avanti nella Francia scristianizzata del 1600. «Un granello di sabbia, se volete - come aveva scritto su La Campanilla di Piura - , ma con granelli di sabbia si formano le immense spiagge che ci difendono dagli assalti dell'oceano».
Fin dal primo anno aprì una scuola notturna per quei lavoratori che non avevano avuto 1a possibilità di istruirsi. Mise a disposizione i locali del seminario. Più tardi aprì una scuola rurale per donne e poi il collegio nazionale delle donne. Organizzò un centro culturale per adulti, invitando notevoli docenti per cicli di conferenze. Più volte il vescovo intervenne presso il presidente della repubblica perché si costruissero le strade necessarie a mettere in comunicazione la sua zona andina con il resto della nazione. Nel 1932 e nel 1937 furono costruiti due grandi tronconi della strada, che permisero alla sua gente di uscire da quell'isolamento antico che 1a portava a una specie di fatalismo. Pubblicò il quindicinale L'amico delle famiglie che fece conoscere a livello nazionale i problemi dei pueblos. Nel 1936 vide realizzata un'altra delle iniziative che aveva patrocinato: l'elettrificazione di Chachapoyas e delle zone vicine. Nel medesimo anno poté benedire la prima pietra del nuovo ospedale. Nel quarto centenario della fondazione della città, ottenne con le altre autorità cittadine l'installazione del servizio di acqua potabile e la dotazione di una stazione radiotelegrafica per le comunicazioni con la capitale e le altre città della nazione.
Ma dove l'opera del vescovo raggiunse un'intensità eroica fu la realizzazione del «programma cristiano» che iniziò fin dalle prime settimane, articolato in cinque punti.
Otto giorni dopo il suo arrivo dispose che nelle chiese della città, ogni domenica si facesse catechismo ai ragazzi e alle ragazze. Diede l'esempio riservandosi i ragazzini che si preparavano alla prima Comunione.
Il lavoro catechistico fu gestito dall'Unione dei Catechisti, a cui si scrissero anche le autorità cittadine, facendo a turno lezione di Cristianesimo ai ragazzi.
All'inizio dell'anno scolastico organizzò l'insegnamento della religione in tutte le classi. Nominò personalmente i nuovi professori e si riservò un centro educativo dove insegnava religione ogni volta che era in sede.
Due mesi dopo il suo arrivo iniziò la «Missione» predicata dai due padri redentoristi che l'avevano accompagnato. Fu rivolta specialmente ai giovani e agli adulti, ed ebbe insperati frutti.
Subito dopo la «Missione» organizzò gli «Esercizi Spirituali» per i suoi preti: 15 giorni passati insieme, a riflettere sulla propria missione di evangelizzatori e pastori, a parlare a tu per tu con il vescovo.
Questo intenso programma, variato di anno in anno, lo estese a tutti i centri della sua diocesi. Catechesi e predicazione, cura dei sacerdoti e delle vocazioni fu il lavoro semplice e sodo di tutti i suoi 37 anni di episcopato. Ma la fatica più grave e sfibrante furono i suoi viaggi apostolici. Ogni vescovo è tenuto alla «visita pastorale» periodica delle sue comunità cristiane. Monsignor Ortiz cominciò quasi subito a incontrare i suoi mille villaggi tra le impervie montagne e le umide foreste, e li continuò per 30 anni, finché gli diedero un vescovo ausiliare più giovane di lui, che poteva viaggiare al suo posto.
Nessuna piccola o piccolissima comunità fu trascurata. Arrivava, parlava a tutti nella chiesa o in una baracca, e si metteva a confessare fino a notte alta per dare a tutti il perdono dl Dio. La mattina seguente celebrava la santa messa, faceva catechismo agli adulti e ai bambini, celebrava o regolarizzava i matrimoni, si metteva a disposizione, per ascoltare tutti. Nel terzo giorno dava le prime comunioni e le cresime, entrava nelle scuole, faceva l'ultimo catechismo parlando di Gesù.
Ogni cinque anni riuscì a visitare tutti i pueblos, anche i più sperduti della sua immensa diocesi. Erano viaggi che sfiancavano chiunque. Senza strade, cavalcando un mulo o a piedi, saliva per aspri sentieri fino ai passi ghiacciati e scendeva in vallate ventose. Ebbe due incidenti gravissimi, finendo in profondi burroni. Ma se la cavò invocando la Madonna e trascorrendo qualche mese in ospedale. E ogni volta riprese i suoi viaggi.
Quando la sede arcivescovile di Lima rimase vacante, il nunzio apostolico a nome del papa gliela offrì. Monsignor Ortiz ringraziò e rifiutò, dicendo che aveva «sposato» la sua diocesi, e voleva rimanere tra la gente dei suoi pueblos fino alla morte.
E a Chachapoyas morì, il 1° marzo 1958, a 80 anni. Aveva seminato il grano buono del Vangelo nella sua città e nei suoi mille villaggi. Dio, come e quando voleva, avrebbe raccolto.
PREGHIERA
O Signore, che nel tuo servo Ottavio, vescovo salesiano,
hai fatto brillare la fede, l’umiltà e la carità generosa,
concedimi di imitare le sue virtù,
perché come lui possa amarti
nell’amore e nel servizio ai fratelli.
Concedimi la grazia che ti chiedo...
perché il tuo amore misericordioso sia glorificato
nella memoria del tuo servo Ottavio.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Autore: Teresio Bosco
Note:
Per segnalare grazie o favori ricevuti per sua intercessione, oppure per informazioni, rivolgersi al Postulatore Generale della Famiglia Salesiana: postulatore@sdb.org
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