«O santo o brigante»: è l’alternativa, nel contempo affascinante e drammatica, che si prospetta per ogni bambino che si affaccia alla vita e particolarmente per Maggiorino Vigolungo, intelligente, volitivo, vivace e con tendenza a primeggiare.
Se ne accorge la maestra fin dalla prima elementare, avvertendo i genitori che tutto dipenderà dall’educazione che sapranno dargli. Punto sul vivo, il bambino è categorico nel rispondere subito «Brigante no!»; non ha quindi altra alternativa che la santità, e su questa strada si avvia deciso.
Nato a Benevello, poco lontano da Alba, il 6 maggio 1904, Maggiorino sembra aver le idee chiare fin da piccolo, se a chi gli chiede cosa vuol far da grande risponde invariabilmente: «Io farò il santo». Buon per lui che a sette anni la sua strada incrocia quella di un pretino trentenne, don Giacomo Alberione (Beato dal 2003), che ha grandi sogni e che lo aiuta a sognare.
Con in testa l’idea che la stampa è un ottimo mezzo di apostolato e con in cuore già il sogno di una Famiglia religiosa che divulghi la Parola di Dio, il prete riesce ad entusiasmare il bambino, ma, come testimonierà al processo di beatificazione, deve riconoscere che la grazia di Dio lo ha prevenuto e ha già fatto cose grandi: Maggiorino già è abituato a confessarsi ogni mese, ha molta cura della sua vita spirituale e riceve spesso la comunione, in controtendenza rispetto alle indicazioni dell’epoca. Vivacissimo ed effervescente nel gioco, stupisce per come sa stare immobile, quasi rapito, davanti all’altare, soprattutto se vi è esposta l’Eucaristia.
Risoluto per natura, sarebbe disposto a seguire anche subito don Alberione ad Alba, ma questi prudentemente gli consiglia un periodo di discernimento, chiedendogli di recitare ogni giorno tre Ave Maria, il cui effetto si vede quattro anni dopo, il 15 ottobre 1916, con l’ingresso di Maggiorino nella Pia Società San Paolo, parte della Famiglia Paolina.
L’opera è appena agli inizi, si chiama «Scuola Tipografica Piccolo Operaio» ed è frequentata da una decina di ragazzi, contagiati dall’entusiasmo del fondatore per l’apostolato a mezzo stampa. Tra i più infervorati proprio lui, Maggiorino, che all’originaria meta di farsi santo ne aggiunge subito altre due: essere sacerdote e diventare apostolo della buona stampa.
Per questo, scrivendo a casa, chiede a tutti di pregare «che non abbia a tradire la mia vocazione, che è la più bella di tutte». Studia e riesce bene, mentre nei ritagli di tempo si dedica al lavoro di tipografia, sentendosi già un apostolo del Vangelo.
L’accompagnamento spirituale di don Alberione diventa sempre più importante per il suo cammino di santità: alla sua scuola impara a «progredire un tantino ogni giorno» e questo diventa l’impegno con cui inizia e chiude ogni sua giornata, combattendo i suoi difetti e la sua impulsività, sforzandosi di evitare i bisticci nel gioco di cui talvolta è protagonista, bandendo la mediocrità e puntando ad una misura “alta” di vita cristiana, perché, scrive, «Voglio farmi santo, veramente santo, santo sul serio».
Da futuro “apostolo” con la stoffa del leader, insegna ai compagni quello che lui ha già imparato: utilizzare ogni minuto, anche la ricreazione, per fare apostolato e sfruttare bene le doti che ciascuno possiede per potersi dare anima e corpo all’evangelizzazione attraverso la buona stampa.
A completare il tutto, quasi un’eleganza della Provvidenza, a luglio 1917 entra nella Famiglia Paolina don Timoteo Giaccardo (Beato dal 1989), che ha il tempo di accompagnarlo per alcuni mesi, lasciando in Maggiorino un’impronta spiccatamente mariana.
Poi le cose precipitano, perché il ragazzino tutto pepe, allegro e giocoso, nella primavera 1918 comincia ad accusare i primi disturbi. Gli viene diagnosticata una pleurite, contro la quale i rimedi del tempo si rivelano inutili.
Tra il guarire e l’andare in paradiso sceglie senza titubanza “di fare la volontà di Dio” e accoglie con il sorriso l’invito di don Alberione ad essere “il primo apostolo della stampa nella casa del cielo”.
Si spegne a 14 anni, al tramonto del 27 luglio 1918, e la sua causa di beatificazione inizia nel 1961. Il 28 marzo 1988 san Giovanni Paolo II riconosce le sue virtù eroiche: si attende un miracolo per proclamarlo Beato.
Autore: Gianpiero Pettiti
L’infanzia
Maggiorino (al Battesimo, Maggiore Secondo) Vigolungo nacque a Benevello, in provincia di Cuneo e diocesi di Alba, il 6 maggio 1904. Era il terzo figlio di Francesco Vigolungo e Secondina Caldelara, contadini, che lo portarono al fonte battesimale due giorni dopo la nascita.
Frequentò le scuole elementari nel suo paese natio, dove la maestra, in prima elementare, notò subito la sua vivacità e la prontezza nell’imparare. Avvertì subito i genitori che, a seconda dell’educazione che gli avrebbero impartito, il piccolo sarebbe diventato un santo o un brigante. Il diretto interessato intervenne, esclamando: «Brigante no!».
Ricevette la Prima Comunione nel 1910 presso la sua parrocchia, San Pietro in Vincoli a Benevello. La Cresima fu invece amministrata a lui e alla sorella Rosina il 20 maggio 1913, nella parrocchia di Lequio Berri.
L’incontro con don Giacomo Alberione
A causa del suo servizio di ministrante, Maggiorino conobbe un giovane sacerdote, che veniva la domenica e i giorni festivi ad aiutare il suo parroco, don Luigi Brovia. Si trattava di don Giacomo Alberione (beatificato nel 2003), che proprio in quei tempi cominciava a pensare a una comunità di religiosi e religiose che usassero il mezzo della stampa per far conoscere il Vangelo.
Don Giacomo intuì subito la bontà di quel ragazzo e non perdeva occasione per interpellarlo, come quel giorno in cui gli domandò cosa volesse fare da grande. L’esortò a pregare molto per quella ragione e gli suggerì di recitare ogni giorno, mattina e sera, tre Ave Maria per chiedere la grazia della vocazione.
Maggiorino alla Scuola Tipografica Piccolo Operaio
Alla fine, il 15 ottobre 1916, Maggiorino entrò in quella che allora si chiamava “Scuola Tipografica Piccolo Operaio”, ad Alba. Dal 1921 fu denominata “Pia Società San Paolo”: era il primo frutto dell’intuizione che don Giacomo aveva avuto, ancora seminarista, nella notte tra il 31 dicembre 1899 e il 1° gennaio 1900: doveva «fare qualcosa per gli uomini del nuovo secolo».
A quella prima luce se ne aggiunsero altre, culminate nella scelta di servirsi dei nuovi mezzi di comunicazione per raggiungere le masse dei fedeli e propagare la morale e la dottrina cattolica. Per il momento, c’era solo la stampa, anzi, la “Buona Stampa”, a lettere maiuscole.
Allievo di don Alberione e di don Giaccardo
In questo ambiente, ancora in gestazione, Maggiorino ebbe come direttore lo stesso fondatore. Il suo compito fu di mitigare i suoi slanci di zelo e di rasserenarlo nei turbamenti da cui il ragazzo era spesso colto.
Dal 1917 fu suo maestro, ma a sua volta era in formazione, don Timoteo (al secolo Giuseppe) Giaccardo, il primo membro della Società San Paolo e della Famiglia Paolina in generale a ottenere gli onori degli altari (fu beatificato nel 1989).
I propositi e gli ideali di Maggiorino
Il principale proposito di Maggiorino fu quello di «progredire un tantino ogni giorno»: per questa ragione, ingaggiò una lotta accanita contro i suoi difetti predominanti, specie l’ira e il desiderio di primeggiare. Per un momento immaginò di lasciare la Scuola Tipografica, ma i consigli di don Alberione lo portarono a non avere più ripensamenti.
Dopo un’istruzione particolarmente intensa del direttore, si appassionò ancora di più all’ideale della diffusione della Buona Stampa. In una sua lettera ai compagni della tipografia scriveva: «Quindi o compagni carissimi, diffondete con zelo la buona stampa, perché così schiacceremo la cattiva, la quale è un flagello più terribile della guerra, della peste e della fame. Dunque coraggio nel Signore e scrivetemi presto…».
Era particolarmente attento durante la celebrazione e l’adorazione dell’Eucaristia. Un giorno d’inverno tornò ad Alba dal suo paese, dopo aver percorso, in gran parte a piedi, quattordici chilometri. Era digiuno, come all’epoca era prescritto per ricevere la Comunione. Per questa ragione, prima di bere la tazza di latte caldo che gli veniva offerta, precisò: «Sì, ma prima la Comunione».
La malattia e la morte
Nella primavera del 1918, Maggiorino rientrò in famiglia, perché ammalato di pleurite. Il 18 luglio fu colpito da una grave forma di meningite. Prima di spirare, ebbe la visita del suo direttore, che gli domandò se preferisse guarire e quindi diventare, come sperava, sacerdote e operaio della Buona Stampa, oppure morire e andare in Paradiso. Maggiorino replicò che desiderava solo compiere la volontà di Dio.
Dopo quattro giorni di agonia, mentre i suoi compagni della Scuola Tipografica pregavano per lui ed erano arrivati al quarto Mistero Glorioso, Maggiorino si spense. Erano le 18 del 27 luglio 1918; il defunto aveva quattordici anni, due mesi e ventitré giorni.
Venne sepolto nel cimitero di Benevello. Il 26 ottobre 1933, i suoi resti mortali furono traslati in uno speciale loculo nel cimitero di Alba, ma il 17 aprile 1952 furono trasferiti nella cappella funeraria della Pia Società San Paolo, posta nello stesso cimitero. Il 27 ottobre 1962, dopo la ricognizione canonica necessaria per le leggi dell’epoca, il 2 maggio 1963 le sue spoglie furono sistemate nel Tempio San Paolo di Alba.
La sua fama di santità
Don Giacomo Alberione fu sempre convinto della potenziale santità del suo allievo. A un anno dalla morte ne scrisse la biografia, certo che avrebbe fruttato molte vocazioni all’apostolato della Buona Stampa. Quel testo fu aggiornato e ripubblicato in varie edizioni.
Più di una volta lui stesso lo mise in parallelo con Domenico Savio, adolescente allievo e contemporaneo di san Giovanni Bosco, canonizzato a sua volta. Anche don Timoteo Giaccardo rimase molto impressionato dalla sua morte e, nelle sue note personali, lo invocava perché l’aiutasse a farsi santo.
Le prime fasi della causa di beatificazione
La causa di Maggiorino ebbe le sue prime fasi solo negli anni ’60 del secolo scorso, dopo che quattro (ossia la Società San Paolo, le Figlie di San Paolo, le Pie Discepole del Divin Maestro e le Suore di Gesù Buon Pastore) delle cinque congregazioni religiose facenti parte della Famiglia Paolina avevano ottenuto l’approvazione pontificia.
Il Processo ordinario iniziò quindi nella diocesi di Alba il 12 dicembre 1961 e si concluse il 26 settembre 1963. Il 10 dicembre 1964 il decreto sugli scritti stabilì che nelle lettere e nei temi di Maggiorino non c’era nessun contenuto contrario alla dottrina e alla fede cattolica.
Una battuta d’arresto, poi la ripresa
Tuttavia, all’interno della Congregazione delle Cause dei Santi si andava discutendo, proprio in quel periodo, se i fanciulli dai sette ai quattordici anni potessero essere in grado di esercitare le virtù cristiane in grado eroico. Di conseguenza la causa di Maggiorino, nel 1971, subì una battuta d’arresto, terminata, l’11 settembre 1980, con il decreto d’introduzione della causa, che segnava l’inizio della fase romana.
Dal 31 marzo al 2 aprile 1981 i cardinali e i vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, aiutati da psicologi ed esperti, discussero se anche i fanciulli potessero essere dichiarati Venerabili. L’esito positivo del congresso fece sì che anche per Maggiorino fosse possibile riprendere l’indagine.
Il riconoscimento delle virtù eroiche
Dal 30 settembre 1981 al 21 ottobre 1982, sia presso il tribunale vescovile di Alba, sia quello del Vicariato di Roma, si svolsero le tappe del Processo apostolico. Il decreto sulla validità dei due processi si ebbe il 1° luglio 1983.
La “Positio super virtutibus”, consegnata nel 1986, è stata esaminata il 18 dicembre 1987 dai Consultori Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi. Lo stesso parere unanime è emerso dalla plenaria dei cardinali e dei vescovi del 16 febbraio 1988. Infine, il 28 marzo 1988, il Papa san Giovanni Paolo II ha promulgato il decreto con cui Maggiorino Vigolungo veniva dichiarato Venerabile.
Autore: Emilia Flocchini
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