Nascita e formazione
Giuseppe Turoldo nacque a Coderno in provincia di Udine il 22 novembre 1916, ultimo dei nove figli di Giambattista Turoldo e Anna di Lenarda. A 13 anni entrò nell’Ordine dei Servi di Maria: nel 1934 iniziò l’anno di noviziato nel convento di Santa Maria del Cengio a Isola Vicentina ed emise la prima professione religiosa il 2 agosto 1935; da allora assunse il nome di fra David Maria.
Proseguì gli studi prima a Vicenza, poi a Venezia; ventiduenne, il 30 ottobre 1938, professò i voti perpetui. Fu ordinato sacerdote a Vicenza il 18 agosto 1940, in piena seconda guerra mondiale.
L’impegno a Milano
La sua destinazione seguente fu Milano, presso il convento della chiesa di San Carlo al Corso, molto vicino al Duomo. Fu tra i primi frati dell’Ordine dei Servi a iscriversi all’Università Cattolica del Sacro Cuore, da poco fondata.
Si coinvolse pienamente nella lotta antifascista, alleandosi con alcuni docenti e compagni di studi, insieme ai quali fondò «L’Uomo», un giornale clandestino, che fu per lui il primo banco di prova della sua scrittura, in poesia ma anche in prosa. L’11 novembre 1946 si laureò in Filosofia, con una tesi intitolata «Per una ontologia dell’uomo», guidato da Gustavo Bontadini.
Dopo la liberazione di Milano, padre David Maria riorganizzò la comunità cristiana di San Carlo. Promosse, in particolare, insieme al confratello e amico padre Camillo de Piaz, l’iniziativa della “Messa della carità”. Diedero poi avvio Centro culturale Corsia dei Servi, tuttora vivo e operante.
Durante l’episcopato del Beato Alfredo Ildefonso Schuster fu invitato a tenere omelie domenicali nel Duomo di Milano. La sua parola, pronunciata e scritta, passò attraverso i vari canali della comunicazione, giornalistica, teatrale, televisiva e cinematografica.
La sua poesia
Uomo di grande sensibilità, combatté con sdegno le ingiustizie, rifiutando ogni compromesso con il potere. Per definirlo con pochi aggettivi, fu ribelle, impetuoso, drammatico, fedele. Ribelle, nel senso nobile del termine; impetuoso, nelle sue reazioni e atteggiamenti; drammatico, per le sue vicissitudini; fedele in tre sensi, a Dio, alla sua vocazione, alle sue origini.
La sua fitta produzione poetica, durata fino agli ultimi giorni, lo impose subito all’attenzione della critica e dei lettori come una delle voci più emblematiche della poesia italiana contemporanea, soprattutto religiosa.
Diceva di lui il rettore universitario e critico letterario Carlo Bo: «Padre David ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto di cantarla tutti i giorni». Lui Egli per decenni attuò inconsciamente, con il suo canto lirico, un motto della tradizione ebraica mistica, che invitava il fedele a «un canto ogni giorno, a un canto per ogni giorno».
Riportiamo qualche strofa delle sue intense poesie, tratte da «O sensi miei…», ultima raccolta antologica da lui curata con la collaborazione del critico letterario e amico Giorgio Luzzi. Da «Mio atto di fede»: «Teologi e chiesasti, pulite (o complicate) quanto volete la fede, ma lasciatemi credere. / Cristo non è una cavia o un sistema; è l’evento dentro e oltre i fatti. / E, distrutto, sempre si ricompone dalla sua e nostra morte, per la sua e nostra risurrezione…».
Da «Ballata della speranza», dove il poeta esprime l’impazienza per la seconda venuta del Signore, quando tutta la creazione sarà trasfigurata: «…Anche il grano attende / anche l’albero attende / attendono anche le pietre / tutta la creazione attende. VIENI VIENI VIENI, Signore / vieni da qualunque parte del cielo / o degli abissi della terra / o dalle profondità di noi stessi / (ciò non importa) ma vieni, / urlassimo solo: VIENI…».
Cantore della Parola di Dio
Padre David Maria Turoldo fu soprattutto un cantore della Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse. Riprese in forma poetica il libro dei Salmi e trasse particolare ispirazione per alcuni testi poetici dal Cantico dei Cantici e dal libro di Qoelet. Collaborò poi con monsignor Gianfranco Ravasi, sacerdote della diocesi di Milano e in seguito cardinale, a volumi di commento alla Scrittura con testi poetici a commento delle letture bibliche della liturgia.
Quest’ultimo disse di lui che scopo e ragione d’essere della sua poesia è stato quello di far cantare la Parola divina, esterna a lui, donata, di cui la sua possente voce, da cattedrale o da deserto, era solo «conchiglia ripiena». Per usare la definizione che padre Turoldo diede di se stesso, «Servo e ministro sono della Parola». Compose inoltre diversi testi teatrali e rappresentazioni sacre.
Le incomprensioni
Come tanti altri uomini di Chiesa, dovette subire l’incomprensione delle autorità ecclesiastiche. Nel 1954, anche per l’appoggio che aveva dato all’opera di don Zeno Saltini, Nomadelfia, dovette essere allontanato dall’Italia per ordine del Sant’Uffizio.
Iniziò così, in ubbidienza ai superiori, un lungo itinerario in varie Case servite di Austria, Baviera, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, che in pratica lo fece conoscere ed apprezzare ad un vasto mondo, anche al di fuori del suo Ordine.
A Fontanella di Sotto il Monte
Rientrato in Italia dopo qualche anno, fu a Firenze, dove lavorò accanto al sindaco Giorgio La Pira, per il quale è in corso la causa di beatificazione. Lasciata Firenze dopo alcuni anni, fu a Udine e poi si mise alla ricerca di un luogo dove raccogliere le forze e stabilirsi.
Lo trovò a Fontanella di Sotto il Monte, il paese in provincia di Bergamo che diede i natali a san Giovanni XXIII: era l’antica abbazia di Sant’Egidio, che fece restaurare con amore e culto della bellezza. Dal 1964 vi fu impiantato il centro di spiritualità “Casa di Emmaus”, luogo di richiamo ecumenico e di accoglienza per persone singole e gruppi.
La malattia e la morte
Afflitto da tumore al pancreas e dal progressivo disfacimento fisico, fu esemplare nel sopportarlo. La sua poesia degli ultimi anni denota il tormento interiore davanti al silenzio di Dio che si faceva più assordante, quanto più egli anelava la sua Voce: «Dio e il Nulla – se pur l’uno dall’altro si dissocia… / Tu non puoi non essere / Tu devi essere, / pure se il Nulla è il tuo oceano». «All’incontro cercato nessuno giunge… Notte fonda, notte oscura ci fascia – nera sindone – se tu non accendi il tuo lume, Signore!».
Dopo un itinerario in vari luoghi di cura, morì nella Clinica San Pio X a Milano il 6 febbraio 1992. I suoi funerali videro la partecipazione di una folla incontenibile, nella quale gente semplice e gli intellettuali si mescolavano, sfilando davanti alla sua bara per ore.
Presiedette le esequie il cardinal Carlo Maria Martini, che qualche mese prima della morte, aveva consegnato a padre Turoldo il primo «Premio Lazzati», chiedendogli così pubblicamente scusa a nome della Chiesa di tanti torti subiti.
Un secondo rito funebre ebbe luogo nel Priorato di Sant’Egidio di Fontanella, nel cui piccolo cimitero fu sepolto e riposa ancora oggi.
Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini
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