Il perdono è come il coraggio: se non ce l’hai dentro non lo puoi improvvisare. Perché a perdonare, come a superare le paure, si impara giorno per giorno. Ne sa qualcosa suor Leonella Sgorbati, che, proprio per aver esercitato un perdono eroico, è stata beatificata il 26 maggio 2018.
Nasce a Gazzola, nel piacentino, nel 1940 e a 16 anni confida a mamma di voler andare missionaria. «Ne riparleremo quando avrai 20 anni», commenta mamma; ma la ragazza non cambia idea. Entrata nelle Missionarie della Consolata, fa il noviziato a Sanfrè (in provincia di Cuneo), poi va in Inghilterra a studiare da infermiera e solo nel 1970 realizza il suo sogno volando in Kenya.
Come ostetrica sembra abbia fatto nascere 4000 bambini; ma questi continuano a nascere nel suo nome anche ora che lei non c‘è più, perché ha trovato il tempo di far nascere molte scuole per infermiere ed ostetriche.
«Dovremmo avere per voto di servire la Missione anche a costo della vita. Dovremmo essere contente di morire sulla breccia...», diceva il fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata, il beato Giuseppe Allamano. Lei, che lo ama molto e che ne studia la spiritualità per incarnarla nella propria vita, scrive: «Io spero che un giorno il Signore nella sua bontà mi aiuterà a darGli tutto o... se lo prenderà... Perché Lui sa che questo io realmente voglio».
Questo suo “dare tutto” passa attraverso il suo “amare tanto”, si concretizza nell’ “amare tutti” e si traduce nel “perdonare sempre”, anche attraverso le fragilità di ogni giorno. Lo testimonia oggi una consorella tanzaniana, da lei educata al perdono nel momento tragico della morte violenta del proprio fratello: «Sei tu che devi cominciare a fare questo gesto di perdono, non aspettare che tuo fratello si scusi», le dice, facendo chiaramente intendere che in questo si sta esercitando, lei per prima, da tanto tempo.
A casa sua e in tutte le missioni in cui passa, sono pronti a giurare che il suo biglietto da visita è il sorriso. Se le chiedono: «Perché sorridi anche a chi non conosci?», invariabilmente risponde: «Perché così chi mi guarda sorriderà a sua volta. E sarà un po’ più felice».
Dal 2001 inizia a fare la “pendolare” tra il Kenya e la Somalia dove la sua presenza è stata richiesta dai Superiori, per iniziare anche qui una scuola per infermieri. Trova un paese dilaniato da 10 anni di guerra civile, segnato da anarchia, carestia, morti senza numero, campi profughi, banditismo ed in cui, di conseguenza, si è radicato un fondamentalismo religioso che considera i missionari cattolici, specie se bianchi, obiettivo privilegiato.
Suor Leonella sa che per lei e le consorelle è pericoloso anche solo attraversare la strada, e ne ha paura, com’è normale: «C’è una pallottola con scritto sopra il mio nome e solo Dio sa quando arriverà», ma con la forza della fede aggiunge sempre: «La mia vita l’ho donata al Signore e Lui può fare di me ciò che vuole». Il vescovo di Gibuti è solito dire che il cuore di suor Leonella è più grande del suo fisico, pur imponente e “rotondetto”.
E proprio questo grande cuore viene spaccato il 17 settembre 2006 da una pallottola, sparata a distanza ravvicinata, da due uomini che l’attendono mentre rientra a casa dall’ospedale, che si trova dirimpetto. Tra lei e le pallottole omicide cerca di frapporsi Mohamed Mahmud, un musulmano, padre di quattro figli, che la sta scortando in quel brevissimo tragitto. Anch’egli viene ucciso e il sangue del musulmano si mescola in un’unica pozza con quello della missionaria cattolica.
«Cristiani e musulmani che cercano di condividere la vita devono mettere in conto la possibilità di unire il proprio sangue nel martirio», scrivono in quei giorni. Difatti, non si tratta di una semplice coincidenza: «Per me la morte di una italiana e di un somalo, di una cristiana e di un musulmano, di una donna e di un uomo, ci dice che è possibile vivere insieme, visto che è possibile morire insieme! Per questo il martirio di suor Leonella è un segno di speranza», dice il vescovo.
All’ospedale fanno di tutto per salvarla, i somali vanno a gara per donarle il loro sangue, esattamente come lei aveva fatto per loro, puntualmente, ogni tre mesi, come donatrice di sangue. Prima che si spenga come una candela, la consorella che le tiene la mano la sente sussurrare distintamente: «Perdono, perdono, perdono». Sono le sue ultime parole, la sua firma sopra il proprio martirio. Ora «Il cielo è senza stelle» dicono i somali quando sanno della sua morte; per noi, invece, c’è una stella in più nella costellazione dei martiri ufficialmente riconosciuti.
Autore: Gianpiero Pettiti
Nascita e famiglia
Nacque alle 5 del mattino del 9 dicembre 1940 a Rezza¬nello di Gazzola, in provincia e diocesi di Piacenza. Era l’ultima dei tre figli di Carlo Sgorbati, contadino, e Giovannina Vigilini detta Teresa, casalinga. Fu battezzata lo stesso giorno della nascita nella parrocchia di San Savino a Rezzanello: le vennero imposti i nomi di Rosa Maria, ma all’anagrafe civile aveva il solo nome di Rosa.
Nella sua numerosa famiglia, composta da ventuno persone compresi i vari parenti, Rosetta, come la chiamavano tutti, ebbe esempi di fede, soprattutto dalla madre: lei, dopo il lavoro nei campi, si fermava spesso in chiesa per portare fiori alla Madonna o per una visita al Santissimo Sacramento. Il padre, poi, le aveva insegnato a pregare tenendola tra le sue braccia.
Serena, a volte irrequieta, incline alla carità
Era una bambina serena, anche se ogni tanto si mostrava irrequieta, tanto che sua madre, un giorno, si trovò a esclamare: «Chissà quando sarà grande quanto mi farà tribolare!». Nei giochi con i compagni mostrava un’attitudine al comando, ma non in maniera superba. Frequentò l’asilo infantile e le scuole elementari presso le suore Orsoline di Maria Immacolata, che avevano aperto una loro casa nell’antico castello di Rezzanello.
Non è stato possibile risalire alla data della Prima Comunione di Rosetta: verosimilmente, secondo l’uso dell’epoca, l’ha ricevuta tra i dieci e gli undici anni. Si preparò invece alla Cresima nella scuola delle Orsoline di Maria Immacolata: il sacramento le fu amministrato il 26 maggio 1947 nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta di Aguzzano, da monsignor Ersilio Menzani, vescovo di Piacenza.
Rosetta aveva anche imparato a stare attenta ai bisogni del prossimo. Quando aveva il permesso di andare con la mamma al mercato a Gazzola, visitava una donna, Marietta, e i suoi figli. Vedendo che soffriva il freddo, decise di comprare una sciarpa per lei, tenendo da parte i soldi che le davano i genitori per le sue piccole spese.
Il trasloco a Sesto San Giovanni
Per garantire un miglioramento economico alla famiglia, suo padre decise di avviare una rivendita all’ingrosso di frutta e verdura a Sesto San Giovanni, in provincia e diocesi di Milano. Tutta la famiglia lo seguì il 9 ottobre 1950.
Rosetta soffrì molto per il distacco dai luoghi dov’era cresciuta. Anzi, tentò la fuga nascondendosi su un camion, ma la lontananza dalla famiglia durò un anno. Nel nuovo ambiente non si trovava a suo agio, anche perché qualcuno la rimproverava dicendole: «Sei tutta da rifare!». La sofferenza si fece più forte il 16 luglio 1951, giorno in cui, a 61 anni, morì suo padre Carlo.
In collegio, la scoperta del Vangelo
Poco tempo dopo, Rosetta venne a sapere che avrebbe frequentato le scuole medie in collegio. Le venne spontaneo domandarsi: «Sono così malvagia senza nemmeno saperlo?». Venne quindi inserita nel collegio delle Suore del Preziosissimo Sangue di Monza, dette Preziosine, nella stessa città di Monza.
Anche la vita in collegio le risultava pesante. Tuttavia, una delle religiose, suor Adriana Sala, un giorno le si avvicinò e le porse un piccolo libro: era il Vangelo. Da allora, Rosetta cominciò a leggere e meditare spesso la Parola di Dio e a trascorrere molto tempo nella cappella del collegio.
«Abitata» da Dio: la vocazione
Nell’aprile 1952, proprio mentre pregava in cappella, Rosetta ebbe un’esperienza speciale. In seguito, nel suo Diario, la raccontò così: «… mi sono sentita ABITATA in quel lontano giorno… e tu mi hai tenuta in te, mio Signore, oppure sei rimasto tu in me…. Mai più sola…ABITATA…». La decisione fu netta: «Sarei andata Suora».
Terminati gli studi col conseguimento del diploma commerciale, Rosetta tornò a casa. I suoi parenti si stupirono del cambiamento che era passato in lei e, ancora di più, si meravigliarono quando manifestò la sua vocazione. La madre, perciò, le impose di attendere quando avrebbe compiuto vent’anni.
Partecipando alla vita della parrocchia di San Giuseppe a Sesto San Giovanni e frequentando l’oratorio, Rosetta tentò di superare quella momentanea delusione. S’iscrisse anche all’Azione Cattolica e iniziò a visitare i malati tutti i mercoledì. Riuscì poi a farsi delle amiche: Giuseppina, la migliore, la sostenne anche nella lotta per la vocazione, che intanto aveva preso un indirizzo preciso, quello missionario.
Tra le Missionarie della Consolata, diventa suor Leonella
In oratorio aveva infatti sentito parlare delle Missionarie della Consolata, congregazione femminile fondata dal canonico Giuseppe Allamano (beatificato nel 1990) dopo l’omonima congregazione maschile. Così, arrivata a vent’anni, si ripresentò alla madre e dichiarò: «Adesso ho vent’anni e non ho cambiato idea».
Così, il 5 maggio 1963, Rosetta si presentò alla casa di Sanfré delle Missionarie della Consolata; quindici giorni dopo, iniziò il postulandato. Nei sei mesi successivi mostrò tutte le sue doti migliori: la disponibilità a ogni tipo di servizio, l’allegria con cui lo compiva e il sorriso che la rendeva familiare a tutte le consorelle. Nel novembre 1963, finito il postulandato, celebrò la vestizione religiosa: ricevendo l’abito, Rosa cambiò nome in suor Leonella.
Iniziò il noviziato il 21 novembre 1963, nella casa generalizia di Nepi. Sotto la guida della maestra delle novizie, suor Paolina Emiliani, imparò a essere ancora più fedele al progetto missionario voluto dall’Allamano, attingendo dai suoi scritti e dalla testimonianza delle altre suore. Il 22 novembre 1965 emise la prima professione religiosa.
In Inghilterra per diventare infermiera
Suor Leonella fu quindi inviata in Inghilterra, allo scopo di frequentare la scuola per infermiere. L’impatto con la sofferenza fisica di tanti malati e con la morte la portò a confidarsi con la superiora generale: «O si crede in Dio e allora non si può fare altro che amarlo amarlo amarlo... o non si crede e allora esiste solo la disperazione! Sono estremista? Non lo so, ma non vedo altra strada all’infuori di queste due: o Dio o il buio del nulla...».
La scuola di Midwifery (Ostetricia) era distante cinquanta chilometri dalla casa delle Missionarie: di conseguenza, tornare per suor Leonella era sempre una gioia. Una sera si presentò alla ricreazione comunitaria indossando un paio di baffi di plastica: «Ogni suora li indosserà e inizierà a parlare; poi li passerà alla vicina di destra e via così fino a chiudere il cerchio». Quel sistema fu utile perché ogni suora riuscisse a parlare di sé alle altre; non oltrepassarono neanche i limiti orari della ricreazione.
Studiando come funzionava il corpo umano, riusciva a trovare il modo di coniugare la competenza medica e la fede: «Ma io credo, credo e ripeto al Signore la mia volontà di fede, il mio desiderio di luce, luce, luce! Madre come è bella la fede! Con la fede tutto è più facile!», scrisse ancora alla superiora generale.
Nel 1969 conseguì il diploma di State Enrolled Nurse (Infermiera di Stato) e nel 1970 concluse la prima parte del corso di Midwifery. Il 19 novembre 1972 emise i voti perpetui, consacrandosi per sempre all’apostolato missionario. In quell’occasione, annotò sul suo Diario: «O Signore, che la mia vita sia una risposta».
In Kenya
Già da due anni, però, suor Leonella era stata destinata alla missione in Kenya. Più precisamente, a Nkubu, nella regione del Meru, nel cui ospedale e nell’annessa scuola per infermiere erano in servizio le Missionarie della Consolata.
Suor Leonella era impegnata specialmente nel reparto maternità e seguiva un nutrito gruppo di allieve ostetriche. In seguito divenne direttrice della scuola per infermieri, ai quali insegnava non solo le competenze tecniche necessarie agli operatori sanitari, ma anche a diventare capaci di accogliere il malato con comprensione e amore.
Profondamente convinta della bellezza della vocazione missionaria, era attenta a cogliere i segni della possibile vocazione di qualche ragazza. Era capace di pregare per una settimana intera, pur di ottenere da Dio la consacrazione di colei sulla quale aveva posato lo sguardo.
Superiora regionale
Nel VII Capitolo Generale delle Missionarie della Consolata, svolto nel 1993, suor Leonella portò la sua ventennale esperienza, insieme alle istanze delle comunità del Kenya. Subito dopo, le consorelle la elessero superiora regionale.
Scrisse in una delle sue lettere circolari: «Noi, sia individualmente che come comunità dobbiamo renderci disponibili al processo dell’Incarnazione del Figlio in noi per poter essere la Consolazione del Padre. Cosa significa questo, in pratica? Significa accogliere che il Figlio sia libero in ciascuna di noi, in me, libero di perdonare attraverso la mia persona a chi mi reca offesa, libero di spezzare il pane della bontà, della comprensione nella mia comunità, libero di farmi percorrere l’itinerario che il Padre ha fatto fare a Lui, con le scelte che il Padre indica. Libero di farmi percorrere il cammino della pazienza, della mansuetudine, dell’umiltà che passa attraverso l’umiliazione … Libero di poter dire attraverso di me - lo Spirito del Signore è su di me … mi ha consacrato e mi manda a portare la buona notizia ai poveri, la libertà ai prigionieri … ad annunciare l’anno della consolazione, a ricostruire le antiche rovine… Libero di amare attraverso di me con l’Amore più grande, l’Amore che va fino alla fine, che è più forte dell’odio e dell’inferno … nella verità, nella pratica di ogni giorno e di ogni momento».
«Solo per Dio»
Terminato il mandato, suor Leonella entrò a far parte dell’equipe dei sabbatici, ossia di occuparsi delle Missionarie che avevano bisogno di qualche tempo di riposo. Dal 2000 al 2005 riservò le sue attenzioni alle consorelle di passaggio, prestandosi per tanti servizi anche minimi.
Il suo carattere aveva perso le asperità di un tempo: da testarda anche di fronte a difficoltà insormontabili, si era fatta più umile e paziente. Aveva un solo cruccio: «Vorrei poter dire che quel poco che ho fatto, l’ho fatto solo per Dio».
In Somalia
Nel novembre 2001, suor Leonella fu destinata alla piccola comunità che le Missionarie della Consolata avevano in Somalia. Avrebbe dovuto fondare una scuola per infermieri a Mogadiscio, come quella di cui si era occupata in Kenya, in collaborazione con la onlus SOS Villaggi dei Bambini.
Il compito non era facile: anzitutto, doveva dimostrare che le nozioni scientifiche da lei impartite non andavano contro i principi del Corano. In seconda battuta, doveva mettere in chiaro che non intendeva obbligare gli allievi a convertirsi, non facendo quindi opera di proselitismo.
La piccola comunità non aveva un cappellano, neanche saltuario, anzi, era l’unica presenza cristiana sul luogo. La presenza di Gesù nell’Eucaristia era comunque assicurata, sebbene le suore la conservassero in un mobile nascosto in un angolo del corridoio della loro casa: era l’unico Tabernacolo in tutta la Somalia.
Una sosta alla luce dell’Eucaristia
Nel 2006, suor Leonella tornò in Italia per un breve periodo. Si trattava del cosiddetto Mese Allamaniano, un percorso di preghiera e riflessione personale per le singole Missionarie, centrato sulla meditazione della Parola di Dio e degli scritti del fondatore. Presenta anche tempi più distesi per la contemplazione e per l’adorazione dell’Eucaristia.
Suor Leonella ha lasciato traccia, nel suo Diario, di quanto il Signore aveva da dirle per quel preciso momento della sua vita. Meditando sul capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, annotava con stupore: «Se il mio corpo e il Suo sono una cosa sola, se il Suo sangue e il mio sono una cosa sola, allora è possibile essere sempre in Lui dono d’amore, dono di Lui, per tutti. Sempre, in ogni momento! Allora è possibile testimoniare, sempre che Lui c’è e ci ama».
In occasione di una visita al Santuario della Consolata, che l’Allamano aveva contribuito a restaurare e arricchire, si affidò completamente alla Madonna. Si sentiva chiamata, come suggeriva il brano di Vangelo del giorno, a morire per dare frutto.
Il rischio del martirio
Nel periodo in cui fu superiora regionale, suor Leonella rimase molto colpita dalla storia dei sette monaci trappisti uccisi in Algeria, a Tibhirine, nel 1996: consegnò una copia del primo libro uscito su di loro ad ogni comunità della regione. «Mi ritorna in mente la frase di “Più forti dell’odio”», scrisse, «“il martirio non può essere visto come una impresa eroica, come un gesto di persone valorose, ma come il naturale evolversi di una vita donata”».
Il rischio in Somalia era palese, tanto più che continuavano le minacce contro le suore e il loro operato nell’ospedale, specie sulla stampa locale. Riferendosi allo scampato pericolo di una consorella, suor Marzia Feurra, che l’aveva lasciata molto scossa, suor Leonella cercò di sdrammatizzare: «Chissà se un giorno non ci sarà una pallottolina anche per me da parte dei miei amici fondamentalisti», aggiungendo però: «Sono nelle mani di Dio disposta a tutto».
I sospetti degli integralisti
Il giorno della consegna dei diplomi ai neo-infermieri, dieci ragazzi e dieci ragazze, suor Leonella preparò una grande festa. Per rendere ancora più solenne l’occasione, fece loro indossare la toga tipica dei neolaureati. Quell’evento, trasmesso anche in televisione, condusse gli integralisti a pensare che la suora avesse convertito i giovani, facendoli già vestire da preti.
Circa un mese dopo, suor Leonella si accorse che un uomo sospetto si aggirava nei pressi della scuola: lui la fissò, ma non le disse nulla. Il 12 settembre 2006, poi, papa Benedetto XVI aveva citato in un discorso, a Ratisbona, una frase dell’imperatore Manuele II Paleologo, particolarmente feroce contro l’Islam. Quell’espressione aveva suscitato reazioni molto violente in tutto il mondo musulmano. A quella notizia, suor Leonella invitò le altre suore a pregare e a offrire molto per il Papa e per la Chiesa.
La morte
Domenica 17 settembre 2006 era un giorno lavorativo. Alle 12.30 suor Leonella, uscita dalla scuola infermieri, fu affiancata da Mohamed Mahamud, la sua guardia del corpo (le suore erano accompagnate anche solo per tragitti brevissimi) e fece per attraversare la strada che separava la scuola dal Villaggio SOS, dove abitava.
Dopo pochi passi, si sentì uno sparo: la suora cadde a terra. Cercò di rialzarsi, ma altri proiettili l’abbatterono definitivamente. Alcune persone accorsero per portarla in ospedale. Al vedere che cercavano d’inseguire l’aggressore, la religiosa li fermò: «Lasciatelo andare, è un poveretto». Anche la sua guardia del corpo fu ferita mortalmente.
Suor Marzia e un’altra suora, Gianna Irene Peano, avevano sentito gli spari e si erano subito preoccupate. Appena seppero che suor Leonella era ferita, corsero da lei in ospedale. Gli studenti fecero a gara per donarle il proprio sangue, mentre i medici cercavano in ogni modo di curarla.
Secondo la testimonianza di suor Gianna Irene, il suo volto era in pace, ma era come se lei volesse dire ancora qualcosa. Con tutto il fiato che le restava, mormorò: «Perdono, perdono, perdono». Quando il chirurgo arrivò, poté solo costatare il suo decesso: erano le 13.45. Suor Leonella aveva sessantasei anni, trentasei dei quali vissuti per la missione in Africa.
Il cadavere di suor Leonella fu portato a Nairobi, dove, il 21 settembre, si svolsero i suoi funerali. Erano presenti le autorità civili, i Missionari e le Missionarie della Consolata e gli allievi della scuola infermieri, attorniati da una folla considerevole.
Nell’omelia, monsignor Giorgio Bertin, attuale vescovo di Gibuti, dichiarò: «Lei era convinta che una nuova Somalia, guarita dal flagello della guerra civile è possibile. […] La sua vita, il suo sorriso e la sua innocenza ci dicono che un mondo nuovo è possibile, una nuova Somalia è possibile. Lei fu ispirata dalla convinzione che il nuovo mondo che Gesù è venuto ad annunciare è già cominciato qui sulla Terra. E non è una coincidenza che morì insieme a un uomo musulmano. […] Vivere insieme, nonostante le differenze, richiede la conversione del cuore, speranza, determinazione e perseveranza».
Fama di martirio e avvio della causa
All’Angelus di domenica 24 settembre, papa Benedetto XVI ricordò suor Leonella con queste parole: «Questa Suora, che serviva i poveri e i piccoli in Somalia, è morta pronunciando la parola “Perdono”: ecco la più autentica testimonianza cristiana, segno pacifico di contraddizione che dimostra la vittoria dell’amore sull’odio e sul male».
A fronte delle numerose attestazioni che confermavano la fama di martirio di suor Leonella, nel 2011 il Capitolo Generale delle Missionarie della Consolata ha chiesto al Governo Generale degli istituti missionari fondati dall’Allamano di poter iniziare le fasi preliminari per la causa di beatificazione e canonizzazione.
Il 25 settembre 2012, nella cappella della casa di Nepi, monsignor Bertin ha accolto il Supplice Libello, ossia il documento con cui si richiedeva l’avvio formale della causa. Dal settembre 2012 al settembre 2013 è stato preparato il necessario per costituire il Tribunale Ecclesiastico in vista del processo diocesano.
La causa di beatificazione
La Santa Sede ha rilasciato il nulla osta per l’avvio della causa nel 2013. Il processo diocesano è quindi iniziato a Gibuti, sede della diocesi di Gibuti e Mogadiscio, il 31 agosto 2013; si è concluso il 15 gennaio 2014. Gli atti del processo sono stati convalidati il 19 settembre 2014.
La “Positio super martyrio”, consegnata il 7 aprile 2016, è stata esaminata dai consultori teologi e dai cardinali e dai vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, rispettivamente il 6 aprile 2017 e il 17 ottobre dello stesso anno.
Intanto, il 30 settembre 2017, i resti mortali di suor Leonella, sepolti presso il cimitero di Nairobi in Kenya, sono stati sottoposti alla ricognizione canonica. Nel dicembre successivo sono stati collocati nella cappella del Flora Hostel di Nairobi.
L’8 novembre 2017, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui suor Leonella veniva ufficialmente riconosciuta come martire. La sua beatificazione è stata celebrata il 26 maggio 2018, nella cattedrale di Piacenza. A presiedere il rito, come inviato del Santo Padre, il cardinal Amato.
La sua memoria liturgica è stata fissata al 17 settembre, giorno esatto della sua nascita al Cielo, per le diocesi di Nairobi (dov’è morta) e Piacenza (dov’è nata), oltre che per gli Istituti dei Missionari della Consolata e delle Suore Missionarie della Consolata.
Autore: Emilia Flocchini
|