Infanzia e famiglia
Maria Ripamonti nacque ad Acquate (all’epoca comune autonomo in provincia di Como, oggi rione della città di Lecco e in diocesi di Milano) il 26 maggio 1909, in una famiglia di modeste condizioni sociali. Ricevette il Battesimo quattro giorni più tardi, il 30 maggio, nella chiesa parrocchiale dei Santi Giorgio, Caterina ed Eligio.
Suo padre Ferdinando, rimasto vedovo, si era risposato con Giovanna Pozzi, sorella della prima moglie; Maria era l’ultimogenita, seguita ai fratelli nati dal precedente matrimonio e a quelli frutto del secondo.
Giovanna educò i figli alla laboriosità (lei stessa coglieva continue occasioni per aggiungere qualche entrata in più alla paga del marito) e alla religiosità, indicando loro la parrocchia e l’oratorio come luoghi di crescita.
Una bambina gioiosa e attenta
Maria accolse volentieri quegli insegnamenti, anzitutto dando una mano nei lavori domestici e nell’accudire i fratelli più piccoli. Era anche assidua frequentatrice dell’oratorio parrocchiale, socia di Azione Cattolica e delle Figlie di Maria.
Il 6 giugno 1918 si accostò alla Prima Comunione nella sua parrocchia, mentre il 29 settembre seguente ricevette la Cresima nella basilica di San Nicolò a Lecco, per le mani del cardinal Andrea Carlo Ferrari, Arcivescovo di Milano (beatificato nel 1987).
Di carattere gioioso e allegro, trascorreva il suo poco tempo libero con le amiche della parrocchia, con le quali pregava spesso di fronte alla copia della grotta di Lourdes che gli uomini di Acquate avevano costruito appena un anno prima che lei nascesse.
Proprio per suo padre, che pure era anticlericale, aveva un’attenzione particolare: andava a prenderlo dopo il lavoro in fabbrica per evitare che si fermasse all’osteria e lì si desse al bere, o comunque per impedirgli di pronunciare affermazioni politicamente rischiose.
Il tempo del lavoro
A causa dei bisogni della famiglia, Maria interruppe la frequenza scolastica alla terza elementare. Per alcuni anni lavorò alla filanda Müller di Germanedo, diventando tanto abile e precisa che la sua responsabile la mise a capo di un gruppo di altre ragazze.
Nel 1926, con l’insorgere della crisi economica, anche la filanda dovette licenziare tutti gli operai. Maria trovò quasi subito, ma a prezzo di parecchi tentativi, un nuovo impiego presso la fabbrica F.I.L.E., uno dei primi stabilimenti produttori di lampadine elettriche, alla periferia di Acquate. Anche lì si fece notare per la meticolosità e l’alacrità, unite a un certo senso pratico.
La vocazione
Durante la pausa pranzo, quando lavorava in filanda, Maria ascoltava le colleghe parlare di progetti di matrimonio, ma lei ne aveva un altro, maturato nelle soste di preghiera in chiesa e col confronto con il suo parroco: consacrarsi a Dio in qualche congregazione religiosa.
Dell’oratorio femminile di Acquate erano incaricate le Suore di Carità dette di Maria Bambina. Da loro apprese l’anelito alla santità che aveva caratterizzato la loro fondatrice, Bartolomea Capitanio (canonizzata nel 1950), tanto da scrivere su un cartoncino l’espressione che lei aveva fatto propria: «Voglio farmi santa, presto santa, grande santa!»,
Tuttavia, la sua richiesta di entrare nella loro congregazione venne respinta. Anche successive domande in almeno altre due congregazioni ottennero lo stesso esito.
L’incontro con le Ancelle della Carità
Fu decisivo per lei l’incontro, nel settembre 1932, con suor Argentina Ferrari, sua compaesana, che le parlò dell’Istituto delle Ancelle della Carità, fondato a Brescia nel 1840 da suor Maria Crocifissa Di Rosa, all’epoca ancora sulla via verso gli altari.
Le fece anche leggere alcuni scritti della fondatrice, tra i quali Maria trovò una frase ricorrente: «Voi siete vendute alla carità», l’incoraggiamento con cui la fondatrice animava le prime compagne. Leggendo quelle parole, capì di aver trovato il posto giusto per lei.
I suoi familiari, però, disapprovavano la sua scelta: sostenevano infatti di aver ancora bisogno di lei, tanto più che una delle sue sorelle era affetta da una malattia mentale e necessitava di molte attenzioni. La superiora generale dell’Istituto, invece, accolse positivamente la sua richiesta di ammissione.
Da Maria a sorella Lucia dell’Immacolata
Il 15 ottobre 1932, dunque, Maria entrò nella casa madre delle Ancelle della Carità, in via Moretto 33 a Brescia. Si sentì veramente a casa, pronta a donarsi al Signore e a vivere, insieme alle altre postulanti, il cammino verso la professione religiosa.
Con la vestizione dell’abito religioso, iniziò il noviziato, vivendo immediatamente e con intensità il consiglio evangelico dell’obbedienza: ascoltare prontamente la voce dei superiori ed eseguirne i comandi era, per lei, come prestare attenzione a Dio stesso.
Il 30 ottobre 1935 emise i voti temporanei e cambiò nome in suor Lucia di Maria Immacolata, per onorare la Vergine da lei tanto amata e venerata nella grotta di Lourdes del suo paese; il 13 dicembre 1938 professò i voti perpetui.
Un servizio costante
Per via del suo livello di studi, ebbe il compito di sorella mandataria, ossia incaricata di tanti lavori umili e modesti, ma non per questo meno necessari per il buon andamento di una casa religiosa; non lasciò mai la casa madre.
Ad esempio, le veniva chiesto di accompagnare le suore in viaggio, o di provvedere alla spesa di alimentari. Assisteva anche i sacerdoti che arrivavano in casa madre per predicare gli Esercizi spirituali, provvedendo a qualsiasi loro bisogno. Pur non essendo infermiera specializzata, offriva totale disponibilità a seguire le terapie delle consorelle più anziane.
Nessuno scritto, molti fatti
Sorella Lucia non ha lasciato alcuno scritto di carattere personale. Per lei parlano i racconti dei moltissimi modi con cui faceva arrivare la sua carità, anche in situazioni delicate per cui serviva una discrezione speciale.
Consolava le famiglie in difficoltà e provvedeva, per quanto possibile, alle ragazze costrette a prostituirsi ma desiderose di recuperare la propria dignità. Allo stesso modo, più di una volta si fece intermediaria presso i datori di lavoro per trovare un impiego a giovani disoccupati.
Anche al di fuori della preghiera di comunità, sapeva trovare spazi e momenti per attingere dall’Eucaristia il senso e la forza per tante azioni di bene.
Durante la seconda guerra mondiale
Il periodo della seconda guerra mondiale la vide, a suo modo, in prima linea. Senza temere i rischi dei bombardamenti, anteponeva i bisogni degli altri alla propria stessa vita. Lo ha testimoniato in particolare la signora Scotti, che nel bombardamento su Brescia del 2 marzo 1945, aveva perso il marito e la madre ed era rimasta sola con una bambina di cinque anni.
Così ha descritto l’aiuto che le portava sorella Lucia, incaricata in questo da madre Giuseppina, la vicaria: «Mi ispirava fiducia e mi spingeva alla fede e alla speranza. Vedendo lei, pensavo al Signore e mi facevo animo. Entrava in casa silenziosa e discreta, non faceva domande e offriva con garbo quanto aveva».
Nel ricordo delle consorelle
Sorella Lucia aveva un difetto di vista, comprovato da diverse visite oculistiche: per questa ragione, rompeva non di rado qualche oggetto, ma accettava con calma, interiore ed esteriore, i rimproveri.
Una novizia riferì invece un consiglio che rivela quale fosse il suo stile continuo: «Sorellina, ha pulito bene il corridoio, però di solito io pulisco più bene sotto gli armadi, dove nessuno vede... faccia anche lei bene dove nessuno vede, facciamolo bene insieme, perché Gesù dovrebbe sempre sorridere per il nostro operare nascosto per amor suo».
In un’altra occasione, così scusò i difetti di un’altra suora: «Non sta bene pensare male e giudicare. Chissà quanti sforzi avrà fatto quella Sorella per vincersi».
Il voto di vittima
Dalla spiritualità della fondatrice, ma anche dal ricordo dei racconti delle apparizioni di Lourdes, sorella Lucia aveva mutuato uno spirito di preghiera riparatrice in favore dei peccatori. Pensava anche a uno dei suoi fratelli secondo la carne, Enrico, che da tempo conduceva una vita sregolata e del quale non aveva più avuto notizie.
Con quello stesso spirito, l’8 settembre 1953, con il permesso del Direttore spirituale e della Superiora, emise il voto di vittima per coloro che rifiutano la grazia e, in modo particolare, per la santificazione dei sacerdoti.
La morte
Il suo fisico, però, cominciava a manifestare segni di declino. Fu ricoverata nell’infermeria della casa di via Benacense (il Ronco) a Brescia, ma ormai il tumore allo stomaco che l’aveva colpita era in stadio avanzato.
Anche lì continuò a offrire la propria testimonianza, in modo speciale a una consorella che era in camera con lei e che, a differenza sua, si lamentava di continuo. Appena la sorella infermiera, che le aveva additato lei come esempio, si fu allontanata, l’altra suora si rivolse alla malata con tono seccato: «Insomma, è fatta di legno lei da non lamentarsi mai?». Sorridendo, lei replicò: «Sorella, e quando ci siamo lamentate… forse passa il male? Soffriamo volentieri per i poveri peccatori e coraggio!».
Le sue ultime parole, invece, furono: «Nella mia vita ho sempre tenuti gli occhi fissi in Dio». Li chiuse per sempre alle 16 del 4 luglio 1954, ventuno giorni dopo aver esultato per la canonizzazione della fondatrice, avvenuta il 12 giugno dello stesso anno. Tra le mani, sorella Lucia teneva un’immagine della Madonna di Lourdes, o meglio, della grotta acquatese che le era tanto cara.
I suoi resti mortali, inizialmente sepolti presso il cimitero “San Francesco di Paola” di Brescia, nel 1996 vennero traslati nella cappella di casa madre e collocati accanto all’altare dove sono venerate le spoglie di santa Maria Crocifissa Di Rosa.
La causa fino al decreto sulle virtù eroiche
Le sue consorelle, ma anche gli abitanti delle vie vicine alla casa madre delle Ancelle, considerarono immediatamente sorella Lucia come una santa. Il nulla osta per l’avvio della sua causa di beatificazione e canonizzazione, però, rimonta al 1° dicembre 1992. Gli atti dell’inchiesta diocesana, svolta a Brescia, furono convalidati il 10 novembre 1995.
Il 27 febbraio 2017, ricevendo in udienza il cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto con cui sorella Lucia veniva dichiarata Venerabile.
Il miracolo per la beatificazione
Come possibile miracolo da prendere in esame per la sua beatificazione fu preso in esame il caso di Irene Zanfino, di Merano; all’epoca dei fatti aveva sei anni e mezzo. Il 16 aprile 1967, verso le 13, stava attraversando la strada sulle strisce pedonali per andare, come suo solito, in edicola a comprare il giornale per suo nonno, quando venne investita da un’automobile e lanciata a parecchi metri di distanza.
La donna alla guida del mezzo scese subito per soccorrerla e portarla all’Ospedale Civile di Bolzano, dove peraltro lavorava il nonno. La sua situazione fu immediatamente descritta come grave: se anche fosse sopravvissuta, dichiarò il primario di Chirurgia, sarebbe rimasta paralizzata, in quanto erano stati lesi i centri nervosi per la mancata ossigenazione del cervello.
La comunità delle Ancelle della Carità che operava presso l’Ospedale Civile di Bolzano fece immediatamente ricorso a sorella Lucia, per la quale la causa di beatificazione, all’epoca, non era neppure cominciata nelle fasi preliminari. Suor Innocenza Milani, una di loro, invitò i parenti della bambina a ricorrere alla sua intercessione e fece mettere una sua immaginetta sotto il cuscino della paziente.
Dopo dieci giorni di coma, Irene cominciò una graduale ripresa. Il segno più evidente della ripresa dei segnali vitali fu il fatto che domandò dove fosse finita la moneta da cinque lire che aveva in mano per comprare il quotidiano al nonno.
Un mese dopo, fu dimessa in buone condizioni di salute, senza danni neurologici né psicofisici. Il primario, dimettendola, scrisse che la restituiva «risuscitata» ai suoi cari. Irene poi si sposò ed ebbe tre figli.
Il riconoscimento del miracolo per la beatificazione
Dal 7 agosto 2012 al 20 novembre dello stesso anno venne istruita, presso la diocesi di Bolzano-Bressanone, l’inchiesta diocesana sul presunto miracolo, i cui atti ottennero successivamente la convalida giuridica.
Il 5 luglio 2018 la Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi si pronunciò unanimemente circa l’impossibilità di spiegare, in base alle conoscenze scientifiche del tempo, la sopravvivenza e la guarigione della bambina. Il 18 ottobre dello stesso anno, il Congresso Peculiare dei Consultori teologi dichiarò esistente il nesso tra il fatto prodigioso e l’intercessione di sorella Lucia, confermato, il 16 aprile 2019, dalla Sessione Plenaria dei cardinali e dei vescovi membri della stessa Congregazione.
Il 13 maggio 2020, ricevendo in udienza il cardinal Becciu, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto sul miracolo, aprendo la via alla beatificazione di sorella Lucia.
La beatificazione
La Messa con il Rito della Beatificazione, inizialmente prevista per il 9 maggio 2020 e rinviata a causa della pandemia per il nuovo coronavirus, venne quindi celebrata il 23 maggio 2021, presieduta dal cardinal Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come delegato del Santo Padre.
La memoria liturgica della Beata Lucia dell’Immacolata venne stabilita al 30 maggio, giorno anniversario del suo Battesimo.
PREGHIERA
O Santissima Trinità,
che poni al nostro fianco i tuoi Santi,
come modelli e amici,
riconosciamo nella beata Lucia Ripamonti
un esempio di donna consacrata
che ha vissuto tutto per amore,
facendo della sua esistenza
un olocausto di carità per la tua gloria,
offrendosi come vittima per il bene
di tutti coloro che rifiutano la grazia,
in modo particolare,
e per la santificazione dei sacerdoti.
Fa’ che sul suo esempio impariamo
a tenere gli occhi fissi in Dio,
sorgente di luce e di bontà
e ad attingere dall’Eucaristia
la capacità di una laboriosità responsabile
e di una dedizione silenziosa verso i poveri e i bisognosi.
Amen.
+ Pierantonio Tremolada, vescovo di Brescia
Autore: Emilia Flocchini
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