A 540 metri sul livello del mare, sulle pendici del monte Picca, si distende a diversi livelli per lo sperone roccioso, il borgo di Pescosansonesco, in provincia di Pescara. Lì, dai giovani sposi Domenico Sulprizio, calzolaio, e Rosa Luciani, filatrice, il 13 aprile 1817, Domenica “in albis”, nacque un bambino, che, battezzato prima del tramonto del medesimo giorno, fu chiamato Nunzio.
Solo il registro dei battesimi – il libro dei figli di Dio – della sua parrocchia, per lunghi anni riporterà il suo nome: ignoto ai potenti, ma notissimo e bene-amato da Dio. A tre anni, i suoi genitori lo portarono al Vescovo di Sulmona, Mons. Francesco Tiberi, in visita pastorale nel vicino paese di Popoli, perché fosse cresimato: era il 16 maggio 1820, l’unica data lieta della sua fanciullezza, perché in seguito non avrà che da soffrire.
Orfano e sfruttato
Nell’agosto dello stesso anno, muore papà Domenico a soli 26 anni. Circa due anni dopo, mamma Rosa si risposa, anche per trovare un sostegno economico, ma il patrigno tratta il piccolo Nunzio con asprezza e grossolanità. Lui si lega molto alla mamma e alla nonna materna. Comincia a frequentare la scuola, una specie di “giardino d’infanzia”, aperto dal sacerdote don De Fabiis, nel paese della nuova residenza, Corvara.
Sono, per Nunzio, le ore più serene della sua vita: impara a conoscere Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo e morto in croce in espiazione del peccato del mondo, intraprende a pregare, a seguire gli esempi di Gesù e dei santi, che il buon prete e maestro gli insegna. Gioca, socievole e aperto, con i piccoli amici. Comincia a imparare a leggere e a scrivere.
Ma il 5 marzo 1823, muore la mamma: Nunzio ha solo sei anni e la nonna materna Rosaria Del Rosso lo ospita in casa, prendendosi cura di lui. È analfabeta, ma ha una fede e una bontà grandissime: nonna e nipotino camminano sempre insieme: insieme alla preghiera, alla Messa, nei piccoli lavori di casa. Il bambino frequenta la scuola istituita da don Fantacci, per i fanciulli più poveri e lì cresce, in sapienza e virtù: è un puro di cuore che si delizia a servire la Messa, a far visita a Gesù Eucaristico nel Tabernacolo, molto spesso. Ha dentro un orrore sempre più grande al peccato e un desiderio sempre più intenso di rassomigliare al Signore Gesù.
Quando ha appena nove anni, il 4 aprile 1826, gli muore la nonna. Nunzio ormai è solo al mondo ed è per lui l’inizio di una lunga “via dolorosa” che lo configurerà sempre più a Gesù Crocifisso.
Solo al mondo, è accolto in casa – come garzone – dallo zio Domenico Luciani – detto “Mingo” – il quale subito lo toglie dalla scuola e lo “chiude” nella sua bottega di fabbro-ferraio, impegnandolo nei lavori più duri, senza alcun riguardo all’età e alle più elementari necessità di vita. Spesso lo tratta male, lasciandolo anche senza cibo, quando a lui sembra che non faccia ciò che gli è richiesto. Lo manda a far commissioni, senza curarsi né delle distanze, né dei materiali da trasportare, né degli incontri buoni o cattivi che può fare. Allo “sbaraglio”, sotto sole, neve, pioggia, vestito sempre allo stesso modo. Non gli sono risparmiate neppure le percosse, “condite” da parolacce e bestemmie.
Ci sarebbe da soccombere in breve, ma Nunzio ha già una fede grande. Nel chiuso dell’officina, battendo sull’incudine, occupato sotto la “sferza” di un lavoro disumano, pensa al suo grandissimo Amico, Gesù Crocifisso, e prega e offre, in unione con Lui, “in riparazione dei peccati del mondo, per fare la volontà di Dio”, “per guadagnarsi il Paradiso”. Alla domenica, anche se nessuno lo manda, va alla Messa, il suo unico sollievo nella settimana.
Presto si ammala. Un rigido mattino d’inverno, lo zio Mingo lo manda, con un carico di ferramenta sulle spalle, su per le pendici di Rocca Tagliata, in uno sperduto casolare. Vento, freddo e ghiaccio lo stremano. A sera rientra spossato, con una gamba gonfia, la febbre che lo brucia, la testa che scoppia. Va a letto, senza dir nulla, ma l’indomani non regge più.
Lo zio gli dà come “medicina”, quella di riprendere il lavoro, perché “se non lavori, non mangi”. Nunzio in certi giorni si trova costretto a chiedere un pezzo di pane ai vicini di casa. Risponde con il sorriso, la preghiera, il perdono: «Sia come Dio vuole. Sia fatta la volontà di Dio». Appena può, si rifugia a pregare in chiesa, davanti al Tabernacolo: gioia, energia e luce gli vengono da Gesù-Ostia, così che, appena adolescente, è in grado di dar consigli sapientissimi ai contadini che lo interpellano.
Si trova con una terribile piaga a un piede, che presto andrà in cancrena. Lo zio gli dice: «Se non puoi più alzare il maglio, starai fermo a tirare il mantice!». È una tortura indicibile. La piaga ha bisogno di continua pulizia e Nunzio si trascina fino alla grande fontana del paese per pulirsi ma di lì viene presto cacciato come un cane rognoso, dalle donne che, venendo lì a lavare i panni, temono che inquini l’acqua. Trova allora una vena d’acqua a Riparossa, dove può provvedere a se stesso, impreziosendo il tempo lì trascorso con molti Rosari alla Madonna.
Wochinger, un secondo padre
Tra l’aprile e il giugno 1831, è ricoverato all’ospedale dell’Aquila, ma le cure sono impotenti. Per Nunzio sono settimane però di riposo per sé e di carità per gli altri ricoverati, di preghiera intensa. Rientrato in casa, è costretto dallo zio a chiedere l’elemosina per sopravvivere. Commenta: «È molto poco che io soffra, purché riesca a salvare la mia anima, amando Dio». In tanto buio, solo il Crocifisso è la sua luce.
Finalmente, lo zio paterno, Francesco Sulprizio, militare a Napoli, informato da un uomo di Pescosansonesco, fa venire Nunzio a casa sua e lo presenta al Colonnello Felice Wochinger, conosciuto come “il padre dei poveri”, per la sua intensa vita di fede e per la inesauribile carità. È l’estate 1832 e Nunzio ha 15 anni: Wochinger scopre di aver davanti un vero “angelo” del dolore e dell’amore a Cristo, un piccolo martire. Si stabilisce tra i due un rapporto di padre a figlio.
Il 20 giugno 1832, Nunzio entra all’Ospedale degli Incurabili, in cerca di cure e di salute. Provvede il Colonnello a tutte le sue necessità. Medici e malati si accorgono di aver davanti un altro “S. Luigi”. Un buon prete gli domanda: «Soffri molto?». Risponde: «Sì, faccio la volontà di Dio». «Che cosa desideri?». «Desidero confessarmi e ricevere Gesù Eucaristico per la prima volta!». «Non hai ancora fatto la prima Comunione?». «No, dalle nostre parti, bisogna attendere i 15 anni». «E i tuoi genitori?». «Sono morti». «E chi pensa a te?». «La Provvidenza di Dio».
Viene subito preparato alla prima Comunione: per Nunzio è davvero il giorno più bello della sua vita. Il suo confessore dirà che «da quel giorno la Grazia di Dio incominciò a operare in lui fuori dell’ordinario, da vederlo correre di virtù in virtù. Tutta la sua persona spirava amore di Dio e di Gesù Cristo».
Per circa due anni, soggiorna tra l’ospedale di Napoli e le cure termali a Ischia, ottenendo qualche passeggero miglioramento. Lascia le stampelle e cammina solo con il bastone. Finalmente è più sereno: prega molto, stando a letto, o andando in cappella davanti al Tabernacolo e al Crocifisso, e all’Addolorata. Si fa l’angelo e l’apostolo degli altri ammalati, insegna il catechismo ai bambini ricoverati, preparandoli alla prima Confessione-Comunione e a vivere più intensamente da cristiani, a valorizzare il dolore. Quelli che lo avvicinano sentono in lui il fascino della santità. Suole raccomandare ai malati: «Siate sempre con il Signore, perché da Lui viene ogni bene. Soffrite per amore di Dio e con allegrezza». Per sé, ama molto un’invocazione alla Madonna: «Mamma Maria, fammi fare la volontà di Dio».
Fatto il possibile per la sua salute, dall’11 aprile 1834, Nunzio vive nell’appartamento del col. Wochinger, al Maschio Angioino. Il suo secondo “padre” si specchia nelle sue virtù e ha una grandissima cura di lui, contraccambiato da profonda riconoscenza. Pensa a consacrarsi a Dio, e in attesa, si fa approvare dal confessore una regola di vita per le sue giornate, regola simile a quella di un consacrato, che osserva con scrupolo: la preghiera, la meditazione e la Messa al mattino, ore di studio durante il giorno, seguito da buoni maestri, il Rosario alla Madonna verso sera. Diffonde pace e gioia attorno a sé, e profumo fragrante di santità.
San Gaetano Errico, fondatore della congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, gli promette che lo accoglierà nella sua Famiglia religiosa appena fosse avviata: “Questo è un giovane santo e a me interessa che il primo a entrare nella mia Congregazione sia un santo, non importa se infermo». Molto spesso, un certo fra Filippo, dell’Ordine degli “Alcantarini”, viene a tenergli compagnia e lo accompagna, finché riesce a reggersi, nella chiesa di S. Barbara, interna al castello. Presto però, all’iniziale miglioramento, segue l’aggravarsi delle sue condizioni fisiche: in fondo si tratta di cancro alle ossa e non c’è cura che serva. Nunzio, diventa un’offerta viva con il Crocifisso, a Dio gradita.
La gioia: dal Crocifisso
Il colonnello gli sta molto vicino: dal primo giorno, lo ha chiamato “Figlio mio” o “bambino mio”, ricambiato sempre da lui, con il nome di “papà mio”. Ora comprende che purtroppo si avvicina l’ora della separazione che solo la fede consola nella certezza dell’“arrivederci in Paradiso”.
Nel marzo 1836, la situazione di Nunzio precipita. La febbre è altissima, il cuore non regge più. Le sofferenze sono acutissime. Prega e offre, per la Chiesa, per i sacerdoti, per la conversione dei peccatori. Quelli che passano a trovarlo, raccolgono le sue parole: «Gesù ha patito tanto per noi e per i suoi meriti ci aspetta la vita eterna. Se soffriamo per poco, godremo in Paradiso». «Gesù ha sofferto molto per me. Perché io non posso soffrire per Lui?». «Vorrei morire per convertire anche un solo peccatore».
Il 5 maggio 1836, Nunzio si fa portare il Crocifisso e chiama il confessore. Riceve i Sacramenti, come un santo. Consola il suo benefattore: «State allegro, dal Cielo vi assisterò sempre». Verso sera, dice, tutto contento: «La Madonna, la Madonna, vedete quanto è bella!». A 19 anni appena, va a vedere Dio per sempre. Attorno si spande un profumo di rose. Il suo corpo, disfatto dalla malattia, diventa singolarmente bello e fresco e rimane esposto per cinque giorni. Il suo sepolcro è subito meta di pellegrinaggio.
Già papa Pio IX, il 9 luglio 1859, lo dichiara “eroico nelle sue virtù” quindi “venerabile”. Il 1° dicembre 1963, davanti a tutti i Vescovi del mondo riuniti nel Concilio Vaticano II, papa Paolo VI iscrive Nunzio Sulprizio tra i “beati”. Canonizzandolo domenica 14 ottobre 2018, papa Francesco lo conferma come modello per i giovani operai, per tutti i giovani, anche quelli di oggi.
Se Nunzio, vissuto solo nel dolore, ha saputo dare senso e bellezza alla sua giovinezza grazie a Gesù amato e vissuto, perché, con la sua Grazia, la Grazia del divin Redentore, del più grande Amico dell’uomo, i giovani d’oggi, pure insidiati dallo sregolamento di tutti i sensi, dalla droga, dalla disperazione, non potranno fare della loro vita un capolavoro di amore e di santità? Occorre credere e obbedire al Cristo Crocifisso e Risorto che fa nuove tutte le cose. Autore: Paolo Risso
I primi anni
Nunzio Sulprizio nacque a Pescosansonesco, in provincia di Pescara e diocesi di Penne (oggi in diocesi di Pescara-Penne), il 13 aprile 1817. I suoi genitori, Domenico Sulprizio, calzolaio, e Domenica Rosa Luciani, filatrice, lo portarono al fonte battesimale della parrocchia di San Giovanni Battista (crollata nel 1933 a causa di una frana) prima del tramonto dello stesso giorno, che era anche la seconda domenica di Pasqua o “in albis”.
A tre anni, Nunzio rimase orfano di padre. La madre si risposò con Giacomo Antonio De Fabiis, che per lui non ebbe quasi cura. Tre anni dopo, quando anche lei morì, il bambino fu affidato alla nonna materna, Anna Rosaria del Rosso, che abitava a Corvara.
A differenza del patrigno, lei ebbe per Nunzio una cura attenta e premurosa: si occupò anche della sua formazione religiosa, accompagnandolo a Messa tutte le mattine e insegnandogli a pregare il Rosario. Quanto all’istruzione, il bambino frequentò la scuola parrocchiale aperta dal parroco di Corvara.
Giovanissimo operaio
Quando Nunzio aveva nove anni, anche la nonna morì. Tornò quindi a Pescosansonesco e fu ospitato da un fratello della madre, lo zio Domenico Luciani, che lo impiegò come garzone nella sua officina di fabbro ferraio. Per il bambino quel lavoro era troppo pesante, però cercava di viverlo pensando alle sofferenze di Gesù, offrendolo per i peccati del mondo e per guadagnarsi il Paradiso.
Un mattino, in pieno inverno, lo zio lo mandò a consegnare della ferramenta a un casolare nei pressi di Rocca Tagliata. Nunzio tornò indietro di corsa, con la paga da riportare allo zio, ma sudò e prese freddo. Il mattino dopo, non riuscì ad alzarsi: aveva la gamba sinistra gonfia, all’altezza del collo del piede, e la febbre alta. Lo zio gli ordinò di tornare a lavorare: Nunzio accettò, certo che quella fosse la volontà di Dio.
La malattia
La sua malattia peggiorò e lo costrinse, nel 1831, a un ricovero per tre mesi nell’ospedale San Salvatore de L’Aquila, ma le cure furono inefficaci. Ritornato all’officina, non poté continuare il lavoro. Spesso andava a sciacquare le bende della gamba alla fontana del paese, ma gli altri abitanti cominciarono a evitarla, credendo che lui infettasse l’acqua. Da allora andò a un’altra fonte, poco distante, in un luogo chiamato Riparossa: mentre si rinfrescava, recitava il Rosario.
Un altro zio, Francesco Sulprizio, che era militare a Napoli, fu informato da un certo Galante, di Pescosansonesco, delle condizioni del ragazzo. A quel punto, nell’estate del 1832, condusse a casa sua il nipote e lo presentò al colonnello Felice Wochinger, che prese ad amarlo come un figlio.
Tra i malati degli “Incurabili” di Napoli
Per interessamento del colonnello, Nunzio fu ricoverato all’ospedale di Santa Maria del Popolo, detto “degli Incurabili”, il 20 giugno 1832. Gli fu diagnosticata una “carie ossea”; oggi diremmo un tumore osseo, o comunque una grave malattia dell’apparato osseo-scheletrico.
Appena arrivato, domandò di poter ricevere la Prima Comunione: al suo paese si usava aspettare fino ai quindici anni, quindi non gli era ancora stato concesso. La Cresima, invece, gli era stata amministrata il 16 maggio 1820.
Per i successivi due anni, il ragazzo affrontò le terapie prescritte, comprese le cure termali a Ischia. Ottenuto qualche miglioramento, cominciò a visitare lui stesso gli altri malati, specie quelli giovani come lui. Li preparava a ricevere i Sacramenti, pregava con loro e li esortava a non disperarsi, perché, come spesso ripeteva, «Tutto il bene viene da Dio».
Nel Maschio Angioino
Dato che i medici non avevano assicurato la sua totale guarigione, il 4 aprile 1834 Nunzio fu dimesso. Allora il colonnello lo condusse con sé nel Maschio Angioino, già castello dei re di Napoli, all’epoca adibito a caserma.
Anche nella nuova dimora, al ragazzo non mancarono disagi e sofferenze, sempre sopportati con pazienza. I servi del castello, capeggiati da Antonio Carbone, lo malmenavano o lo lasciavano senza cibo. Nunzio, però, non ebbe mai propositi di vendetta, né pensò di denunciare l’accaduto al colonnello. Il servo Carbone aveva poi l’incarico di accompagnarlo a pregare, specie nella chiesa di Santa Brigida a Napoli: gli risultava difficile far presente al ragazzo che era ora di tornare a casa.
Il desiderio della consacrazione religiosa
Nunzio avrebbe voluto consacrarsi a Dio in qualche famiglia religiosa. Per questa ragione riprese a studiare, apprendendo anche un po’ di latino. Conoscendo o intuendo la sua decisione, il colonnello gli presentò don Gaetano Errico, che aveva da poco fondato i Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria a Secondigliano, vicino Napoli.
Il futuro santo (è stato canonizzato nel 2008) intuì che la sua vocazione era genuina, ma sua sorella cercò di dissuaderlo: non sarebbe stato «un buon affare», commentò, che la sua comunità acquisisse un membro malato. Don Gaetano replicò: «Questo è un giovane santo e a me interessa che il primo a entrare nella mia Congregazione sia un santo, non importa se infermo».
L’ingresso non ci fu perché le condizioni di Nunzio cominciarono a peggiorare. In compenso, lui scrisse un regolamento di vita, che osservò con fedeltà, allo scopo di non cadere nemmeno nei più piccoli difetti. Tutto questo sempre affidandosi con amore alla Madonna, la sua Mamma celeste. Iniziò anche a indossare una sorta di divisa, composta da gilet e pantaloni marroni, che fece benedire da un padre carmelitano.
La morte
Nell’autunno del 1835, Nunzio ebbe una ricaduta. I medici, decisi ad amputare la gamba, dovettero rinunciare per l’estrema debolezza in cui il ragazzo si trovava. Il male avanzò e lo condusse alla morte, avvenuta il 5 maggio 1836; aveva compiuto diciannove anni da meno di un mese.
La salma rimase esposta per cinque giorni all’omaggio dei fedeli, poi fu tumulata nella chiesa palatina del Maschio Angioino, intitolata a Santa Barbara. Il corpo fu traslato successivamente nella chiesa di San Michele, in piazza Dante, poi, nel 1936, nella chiesa di Santa Maria Avvocata. Nello stesso anno ha trovato definitiva collocazione nella chiesa parrocchiale di San Domenico Soriano, sempre in piazza Dante.
La fama di santità e le prime fasi della causa di beatificazione
Quel giovane sconosciuto, venuto dai monti abruzzesi con la qualifica di operaio fabbro, richiamò con le sue sofferenze l’attenzione della Chiesa. Il re di Napoli, Ferdinando II, versò mille ducati per finanziare l’apertura della sua causa di beatificazione.
Il processo informativo si svolse nella diocesi di Napoli dal 3 luglio 1843 al 5 settembre 1856, integrato da testimonianze raccolte nella diocesi di Penne. Con il decreto sull’introduzione della causa, datato 9 luglio 1859, ebbe inizio la fase romana. Dopo il decreto sugli scritti, del 7 settembre 1871, fu avviato il processo apostolico. Il decreto di convalida del processo informativo porta la data del 20 settembre 1877.
In seguito alla congregazione antepreparatoria del settembre 1884 e alla congregazione preparatoria dell’ottobre 1889, il 6 febbraio 1891 si tenne la congregazione generale dei membri della Sacra Congregazione dei Riti, l’organismo competente all’epoca per le cause di beatificazione e canonizzazione. Il 21 luglio 1891 papa Leone XIII autorizzò la promulgazione del decreto con cui veniva sancito che Nunzio aveva vissuto le virtù cristiane in grado eroico. Paragonandolo a san Luigi Gonzaga, lo propose come modello alla gioventù operaia.
I primi due miracoli e la beatificazione
Secondo le norme dell’epoca, per la beatificazione di Nunzio fu necessario indagare due potenziali miracoli. Il primo fu la guarigione, avvenuta nel 1929, di Donato Romano, di Pescosansonesco, ammalato di otite purulenta: era andato a bagnarsi alla fonte di Riparossa, la stessa dove Nunzio andava a sciacquare le bende che avvolgevano le sue ferite. Il secondo riguardava invece Maria di Lauro, diciannovenne napoletana, che nel 1942 fu guarita da un tumore nella fossa iliaca destra.
Il Collegio dei Medici della Sacra Congregazione dei Riti, l’organismo allora competente per le cause di beatificazione e canonizzazione, l’8 gennaio 1963 si pronunciò a favore dell’inspiegabilità scientifica dei due fatti. Il 5 marzo 1963, invece, la Plenaria dei Cardinali e dei Vescovi membri della stessa Congregazione confermò il nesso tra le guarigioni e l’intercessione di Nunzio.
San Giovanni XXIII approvò quindi il decreto sui due miracoli. Avrebbe anche dovuto celebrare la beatificazione, ma morì qualche mese dopo la promulgazione del decreto. Fu il suo successore, papa Paolo VI, a elevare Nunzio agli onori degli altari il 1° dicembre 1963, davanti a tutti i vescovi partecipanti al Concilio Ecumenico Vaticano II.
Il miracolo per la canonizzazione
Come terzo miracolo per ottenere la canonizzazione è stato preso in esame il caso di un giovane di Taranto, Pasquale Bucci. Nel 2004 ebbe un incidente motociclistico: entrò prima in coma, poi in stato vegetativo. Se fosse sopravvissuto, avrebbe rischiato di subire danni neurologici molto seri, che avrebbero compromesso la sua capacità di muoversi.
Sul luogo dell’incidente fu trovata un’immaginetta del Beato Nunzio, che il giovane portava sempre con sé. In nome di questa sua devozione, i familiari del giovane chiesero di far arrivare una sua reliquia dalla parrocchia di San Domenico Soriano: appena fu arrivata, la madre l’appoggiò sulla fronte del malato. Dopo qualche tempo, Pasquale migliorò, fino a riuscire a rialzarsi in piedi, completamente guarito.
Il riconoscimento del miracolo e la canonizzazione
Dopo aver appreso la notizia dell’avvenuta guarigione, il postulatore della causa del Beato, don Antonio Salvatore Paone, s’interessò perché la diocesi di Taranto avviasse il processo sull’asserito miracolo: l’inchiesta si svolse quindi dal 19 giugno 2015 all’11 luglio dello stesso anno.
Il 21 marzo 2018 la Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi dichiarò scientificamente inspiegabile l’accaduto. I Consultori Teologi, il 19 maggio successivo, confermarono il legame tra l’invocazione del Beato Nunzio e l’uscita dallo stato vegetativo da parte del malato. Il 7 giugno, sempre del 2018, i cardinali e i vescovi membri della stessa Congregazione confermarono quel parere positivo.
L’indomani, l’8 giugno 2018, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto con cui la guarigione di Pasquale Bucci era da ritenersi inspiegabile, completa, duratura e avvenuta per intercessione del Beato Nunzio Sulprizio.
La sua canonizzazione è stata celebrata da papa Francesco il 14 ottobre 2018, durante il Sinodo dei Vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Nella stessa data sono stati dichiarati Santi anche due personaggi collegabili per certi versi al giovane operaio: papa Paolo VI, che lo beatificò, e don Vincenzo Romano, parroco a Torre del Greco (in provincia e diocesi di Napoli) sul finire del 1700.
Il culto
La memoria liturgica di Nunzio Sulprizio cade il 5 maggio, giorno esatto della sua nascita al Cielo. Il 5 di ogni mese, nella parrocchia di San Domenico Soriano, è possibile ottenere l’indulgenza plenaria. Il giovedì è, tradizionalmente, il giorno della settimana in cui la devozione a lui è più sentita.
Altre sue reliquie sono venerate nel Santuario a lui dedicato, scavato nella roccia, nel suo paese natìo, Pescosansonesco. Gli sono state dedicate due parrocchie: una a Taranto e una a Mugnano, in provincia e diocesi di Napoli. Sempre a Napoli, nel 1993, è nato il Centro d’Accoglienza Beato Nunzio Sulprizio (CABENUS), che opera in vari quartieri per aiutare i ragazzi in difficoltà.
Autore: Emilia Flocchini
Nunzio Sulprizio nasce a Pescosansonesco (Pescara) nel 1817. La sua storia è molto commovente. Come nella celebre fiaba dello scrittore danese Hans Christian Andersen (1805-1875) La piccola fiammiferaia, Nunzio si ritrova solo, per strada, affamato, intirizzito dal freddo, a chiedere l’elemosina. Forse anche Nunzio avrà sognato il dolce tepore di una stufa, una tavola imbandita, l’albero di Natale. E, soprattutto, la nonna morta (Anna Rosaria) che tanto gli ha voluto bene e che si è presa cura di lui poiché a sei anni era rimasto orfano.
A nove anni lo prende con sé uno zio, arrogante e violento, che non lo manda più a scuola e lo sfrutta facendolo lavorare, fino allo sfinimento, nella sua officina di fabbro. Per Nunzio, di costituzione gracile, ci sono insulti, bestemmie, botte, poco cibo, neanche un cappotto, tanto freddo. Sotto il sole cocente o con la neve o con la pioggia, lo zio lo manda distante, a piedi, a consegnare pesi enormi che il fanciullo trasporta sulle spalle. Nessuna tutela della salute. Solo privazioni che rendono sempre più debole il ragazzino che risponde alle sofferenze con il perdono, la preghiera, il sorriso. La domenica si reca a Messa, unico momento di conforto. Quando Nunzio si ammala, poiché non può rendere nel lavoro, lo zio lo maltratta di più.
Un giorno il giovane Nunzio si ferisce a una caviglia. Per lui è “l’inizio della fine”. Lo zio non solo non lo cura, lo priva, addirittura, del cibo. La ferita si aggrava. Nunzio cammina con una stampella, chiede l’elemosina, cerca di pulirsi la ferita presso la fontana del paese, ma viene cacciato via dalle donne che lavano i panni, per timore che l’acqua venga contaminata. Scopre, poi, un piccolo rivo in località Riparossa dove oggi sorge un santuario a lui intitolato, meta di pellegrinaggio. Qui Nunzio trova un po’ di sollievo.
Finalmente, un altro zio, militare, impietosito dalla sua condizione, lo accoglie a Napoli e lo fa ricoverare in ospedale. Nunzio accetta con pazienza la sofferenza. La fede nella Madonna lo sorregge. Quando è in ospedale, nonostante zoppichi, aiuta e conforta gli altri ammalati diffondendo pace e serenità. Ai bambini ricoverati insegna il catechismo. Nunzio muore nel 1836 a Napoli. Viene proclamato santo, grazie ai miracoli di guarigione a lui attribuiti, e protettore degli invalidi del lavoro. Chissà quanti bambini, ancora oggi, vengono sfruttati, maltrattati e soffrono per mancanza di cibo e medicine e, soprattutto, dell’affetto dei loro famigliari!
Autore: Mariella Lentini
Fonte:
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