Nacque nel 1247 a Montecorvino Rovella nel Salernitano, secondo alcuni, Montecorvino di Puglia, nella Daunia, vicíno Lucera, secondo altri. In favore di questi ultimi viene addotta la testimonianza di un coevo e confratello del grande missionario, fra Elemosina, che nel suo Chronicon lo dice: "Frater Ioannes de Montecorvino Apuliae".
Trascorse la sua giovinezza nel secolo e, comc scrive un altro suo coevo e confratello, fra Giovanni Marignolli, anch'egli illustre missionario, fu soldato, giudice e dottore.
Secondo lo stesso Marignolli avrebbe esercitato questi uílici per l'imperatore Federico, entrando poi a settantadue anni di età nell'Ordine .Minoritico; ma questi dati che, probabilmente, vanno attribuiti ai copisti piú che al coevo Marignolli, non sono esatti. Da una lettera dello stesso corvi nese, infatti, sappiamo che nel gennaio del 1305 aveva cinquantotto anni ed era religioso e missionario da oltre vent'anni.
In religione, come ricorda il citato fra Elemosina, fu un devoto imitatore di s. Francesco, rigido e severo nell'osservanza della Regola, fervido nell'insegnamento e nella predicazione della parola di Dio. E il Marignolli aggiunge: doctissimus et scientissimus.
Verso il 1279 fu inviato con altri minoriti in Armenia, in Persia e altre regioni del Medio Oriente. Vi colse non pochi frutti per la fede e la civiltà cristiane, e dieci anni dopo, nel 1289, tornò in Italia, per riferire al pontefice Niccolò IV e averne ordini e istruzioni. Presso il papa fu anche ambasciatore del re di Armenia, Haiton II, e del re di Persia, Argun, in pericolo per gli attacchi e le richieste tributarie dei Tartari e dei Saraceni.
Ripartí nello stesso anno per le missioni d'Oriente, legato del papa presso i suddetti re e altri principi orientali, e particolarmeme presso il Gran Khan della Cina, Kubilai, ai quali tutti, come ai patriarchi di Antiochia e di Georgia, recava lettere pontificie.
Lascio Rieti, dove era la curia papale, il 15 luglio 1289, e munito delle piú ampie facoltà per la diftusione del Vangelo fra i popoli dell'Asia, da Venezia o Ancona raggiunse dapprima Antiochia e la Georgia e passò poi a Sis, la capitale dell'Armenia, e a Tabriz sede del re di Persia. Qui svolse per breve tempo il suo apostolato, ospite gradito nei conventi dei Minoriti e dei Domenicani.
Nel 1291, con due soli compagni, Nicolò da Pistoia e Pietro Lucalongo, ricco e pio mercante italiano, riprese il suo cammino apostolico e scese in India dove, in tredici mesi di attività missionaria, convertí un buon numero di indiani e costruí per loro una ckiesa presso S. Tomé, Maliapur, nel territorio di Madras. Perduto qui il suo compagno domenicano che seppellí nella nuova chiesa, continuò il suo viaggio verso la Cina, con il Lucalongo, via mare, come sembra; fu dunque uno dei primi che usarono la via d'acqua tra l'India e la Cina (Almagià).
Da un porto, non identificato, della costa cinese, nel 1294 ripartí per Khambalik, Pekino, sede del Gran Khan di Cina, dove fu accolto con grandi onori quale legato di Roma, da Timur, succeduto a Kubilai (m. 18 febbraio 1294), che gli offrí anche ospitalità alla corte imperiale.
Iniziò subito il suo apostolato missionario, invitando lo stesso Gran Khan ad abbracciare la fede cristiana, ma lo trovò tenacemente legato all'idolatria, sebbene benevolo verso i cristiani. Felice esito ebbe invece la sua predicazione con il re di Tenduc, Giorgio, nestoriano, che non solo abbracciò la fede cattolica, ma volle ricevere anche gli Ordini minori, attraendo poi verso la sua nuova tede non pochi sudditi, e costruendo per essi una chiesa dedicata alla S.ma Trinità e detta "Chiesa romana" in onore del papa é del suo legato. Per questo fu accusato di apostasia dai nestoriani che nello stesso tempo accusavano il corvinese di essere un impostore, mago e falso legato papale.
Tutto ciò creò grandi difficoltà per l'apostolato di Giovanni che, peraltro, riconosciuto innocente dinanzi al Gran Khan, poté riprendere con successo la sua opera. Nei trentacinque anni in cui rimase a Khambalik, suo centro di irradiazione cristiana, vi costruí tre chiese e conventi e vi eresse due istituti, che si direbbero seminari, dove quaranta fanciulli dai sette agli undici anni venivano istruiti nel latino, nella liturgia e nel canto. Per essi, che ricorda salmodianti nelle chiese della città, scrisse trenta Salteri e Innari e due Breviari, ed essi stessi preparò a divenire trascrittori di testi liturgici. Apprese poi tam perfecte, come scrive il suo compagno di missione Arnoldo Alemanno, la lingua del paese, tradusse in mongolo il Nuovo Testamento e il Salterio, pensando anche alla traduzione di tutto il Breviario, perché insieme alla predicazione, alle immagini fatte dipingere in chiesa, al canto e al suono, divenissero strumenti piú efficaci di evangelizzazione.
Altre chiese e conventi costruí a Yangtchon nel Kiang-su, a Zayton nel Fukien e nel Tchekiang, nel Tenduc e ad Armalek (Kulgia), e migliaia furono i Mongoli convertiti alla fede cristiana.
Molti di questi dati sono esposti in due lettere inviate da Giovanni in Europa l'8 gennaio 1305 e il 13 febbraio 1306; altri sono tolti da lettere e relazioni di coevi, confratelli e missionari, quali Arnoldo Alemanno, Andrea da Perugia, Pellegrino da Città di Castello, Giovanni da Core.
Nelle lettere del corvinese v'è anche un pressante appello all'invio di nuovi missionari, che non gli mancarono per interessamento del pontefice Clemente V e del ministro generale Gonzalvo di Spagna. Sette di essi, tutti Minoriti, furono eletti vescovi (23 luglio 1307) e rimandati in Cina, perché a loro volta consacrassero Giovanni in pari data, arcivescovo di Khambalik e patriarca di tutto l'Oriente "in toto dominio Tartarorum". Tre di quei vescovi (Nicolò da Banzia, Ulrico da Seyfridsdorf e Andreuccio da Assisi) non giunsero a destinazione, essendo morti nel viaggio attraverso l'India; uno ritardò la sua partenza (Guglielmo da Villanova); ma vi giunsero con molti missionari gli altri tre (Andrea da Perugia, Gerardo Albuini e Pellegrino da Città di Castello), tra il 1309-1310. Fu allora che, con la consacrazione di Giovanni e con i tre suffraganei superstiti, ai quali si aggiunsero poi il ritardatario Guglielmo e, nel 1311, altri tre vescovi (Pietro da Firenze, fra Tommaso e Girolamo di Catalogna), venne anche organizzata la prima gerarchia di Cina con le sedi di Khambalik, Zayton e Caffa.
Il corvinese ne fu l'anima fino al 1328, quando, ricco di meriti e di virtú, morí nella sua sede arcivescovile e primaziale. Ebbe solennissime esequie, come narra Giovanni da Core, presente una gran folla di fedeli e di pagani, e il suo sepolcro fu in grande venerazione.
Fra Elemosina lo disse "B. Francisci devotus imitator"; Arnoldo Alemanno ne rilevò la "semplicem puritatem vitae et sanctam laudabilemque conversationem"; il Marignolli, che fu a Khambalik nel 1342, poteva ricordarlo con le significative parole: "quem sanctum venerantur Tartari et Alani". Come beato entrò nel Martirologio Francescano che lo commemora il 1° gennaio chiamandolo "primo apostolo della Cina".
La sua causa viene trattata presso la S. Congregazione dei Riti, e non constando della continuità del culto del nostro beato, anche per la distruzione cui andò soggetta l'opera sua nei secc. XIV e XV, è stato presentato un supplice libello per ottenere una beatificazione equivalente per viam exceptionis. Simile richiesta, fatta anche al pontefice Pio XI dal primo concilio plenario cinese, riunito a Shanghai il 12 giugno 1924, non ha avuto ancora una risposta diretta.
Autore: Giovanni Odoardi
Fonte:
|
|
|
|