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Sant' Eustochia (Smeralda) Calafato Vergine clarissa

20 gennaio

Annunziata, 25 marzo 1434 - Montevergine, 20 gennaio 1485

Di famiglia agiata, figlia di un ricco mercante nacque il giovedì santo del 1434 nel villaggio di Annunziata. Venne battezzata Smeralda. Entrò tra le clarisse a 15 anni prendendo il nome di suor Eustochia. La sua scelta religiosa fu contrastata dalla famiglia tanto che i fratelli minacciarono di dar fuoco al convento che doveva ospitarla. Tuttavia le insistenze della giovane convinsero le consorelle ad accoglierla. Fu sempre animata da un profondo amore alla povertà. Nel convento di San Maria di Basicò, sceltasi per cella un sottoscala, visse penitente, dormendo sulla nuda terra e portando il cilicio. In seguito maturò il desiderio di fondare un nuovo monastero. Così nel 1464 nacque il monastero di Montevergine che alla morte di Eustochia, il 20 gennaio 1491 contava 50 suore. È stata canonizzata da Giovanni Paolo II l'11 giugno 1988. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Messina, santa Eustochio Calafato, vergine, badessa dell’Ordine di Santa Chiara, che si dedic̣ con grande ardore a ripristinare l’antica disciplina della vita religiosa e a promuovere la sequela di Cristo sul modello di san Francesco.


Smeralda di nome e di fatto: doveva essere bellissima la figlia di Bernardo Cofino, se molti sostengono che servì da modella al suo coetaneo Antonello da Messina per dipingere la celebre “Annunziata”. Ma forse è solo una leggenda, che tuttavia nulla toglie alla sua celebrata bellezza di cui anche oggi ci si può rendere conto: perché, dopo più di 500 anni, il suo corpo è ancora miracolosamente incorrotto, ha passato indenne anche il terremoto del 1908 ed è conservato in una teca di vetro in posizione eretta.
La “santa in piedi” (come la chiamava san Giovanni Paolo II) nasce a Messina il 25 marzo 1434. Suo papà, soprannominato Calafato (destinato a diventare il cognome di tutta la famiglia) è un commerciante che esercita anche via mare il trasporto conto terzi. La mamma è un’autentica cristiana che si è lasciata conquistare dallo spirito francescano, si è iscritta al Terz’Ordine e riesce a trasmettere un grande amore per Chiara e Francesco soprattutto alla figlia Smeralda.
A undici anni, a propria insaputa, lei si ritrova fidanzata con un maturo vedovo trentacinquenne e subisce questo legame per due anni, fino a quando cioè il “fidanzato” muore improvvisamente, facendola meditare sulla brevità della vita e sulla necessità di usare bene il tempo.
Non ha neppure quattordici anni, ma decide di entrare in convento per dedicarsi completamente a Dio. Netto il rifiuto di papà, al quale non mancano certo altre richieste di matrimonio, anche ghiotte, per quella figlia tanto bella: lei rifiuta ogni proposta, scalpita, litiga con papà e cerca addirittura di scappare da casa.
La strada per il convento sembra spianarsi il giorno in cui papà muore in Sardegna, durante uno dei suoi frequenti viaggi commerciali, ma adesso sono le monache a non volerla: hanno paura di vedersi incendiare il convento, come i fratelli di Smeralda hanno minacciato di fare.
Riesce comunque a realizzare il suo sogno e ad entrare dalle Clarisse ancor prima di compiere 16 anni, ma quello che a lei sembrava essere il paradiso in terra si rivela completamente diverso da come lo aveva immaginato. La vita spirituale si è rilassata; dispense e favoritismi hanno ammorbidito la penitenza per venire incontro alle esigenze delle ragazze di buona famiglia che non hanno voluto rinunciare completamente ai loro agi e alle loro comodità; la badessa, troppo invischiata nelle cose temporali, ha perso di vista lo spirito di povertà che dovrebbe essere proprio delle figlie di Santa Chiara.
Smeralda, che insieme al velo ha preso il nome di suor Eustochia, si oppone a questo stile di vita e invoca un ritorno alla Regola originaria, dando lei per prima l’esempio di una vita austera, penitente, intessuta di preghiera e di servizio alle sorelle anziane o ammalate.
Inevitabile lo scontro con la badessa e lo strappo doloroso, ma necessario: esce dal convento per fondarne un altro, che più fedelmente segua la Prima Regola di Santa Chiara. Ci riesce a fatica nel 1464, seguita da sua mamma, da una sua sorella e da poche fedelissime, incontrando incomprensioni anche dai Frati Minori Osservanti, che per otto mesi lasciano il nuovo convento senza assistenza religiosa. Quando si stabilisce nella zona di Montevergine, sempre a Messina, il suo monastero si consolida, si ingrandisce e lei lo guida con la saggezza e la spiritualità proprie dei santi.
Si spegne a 51 anni, il 20 gennaio 1491. La firma di Dio sulla sua vita santa è costituita dai miracoli che accompagnano questa suora in vita e in morte, rendendola veneratissima. Nel 1782 Pio VI ne approva il culto “ab immemorabili” e finalmente san Giovanni Paolo II, nel 1988, proclama Eustochia Calafato santa, proprio come già da cinque secoli era ritenuta dai messinesi e dalle Clarisse.

Autore: Gianpiero Pettiti
 


 

Sulla vita della Calafato, clarissa, abbiamo due antichi mss.: il primo è nella Biblioteca comunale di Perugia e una sua copia, debitamente collazionata, il 28 febbraio 1781 fu inviata dall'arcivescovo di Messina alla S. Congregazione dei Riti per il processo di beatificazione della serva di Dio (copia pubblicata dal Macrì nel 1903). L'origine di questo ms. si fa risalire a un tempo di poco successivo alla morte della beata, quando suor Jacopa Pollicino, figlia del barone di Tortorici, su richiesta di suor Cecilia, badessa del monastero di S. Lucia di Foligno (con cui le Clarisse messinesi erano in corrispondenza), scrisse la Vita della Calafato, facendosi aiutare da altre suore che erano vissute con la beata. Suor Cecilia, trasferendosi in seguito a Perugia, portò seco il ms., lo ritoccò e gli diede un miglior ordine, togliendo espressioni prettamente siciliane e arricchendolo di colorito toscano.
Il secondo ms. fu ritrovato da Michele Catalano nella Biblioteca Civica Ariostea di Ferrara e da lui pubblicato nel 1942. Composto nel 1493, due anni dopo la morte della Calafato, riproduce con la più grande fedeltà l'originale, seguendolo anche nelle espressioni siciliane: questo testo "oltre alla notevolissima importanza mistica e al valore agiografico e storico, ha valore non piccolo nella storia della nostra lingua" (Catalano).
Figlia di Bernardo, ricco mercante messinese, e di Macalda Romano Colonna, la Calafato nacque il giovedì santo 1434 nel villaggio detto Annunziata, presso Messina. Chiamata al battesimo Smeralda, crebbe in un'atmosfera di pietà: infatti, la madre, indotta dal b. Matteo di Agrigento, si era affiliata al Terz'Ordine di S. Francesco e viveva una per fetta vita cristiana. La figlia cominciò presto a seguire le sue orme. Una visione del crocifisso, avuta in una chiesa, la decise a darsi completamente al Signore e, respingendo i numerosi pretendenti, domandò di entrare fra le Clarisse di S. Maria di Basicò. Le suore, però, intimorite dai fratelli della Calafato, che avevano minacciato di dar fuoco al convento se vi fosse entrata Smeralda, si rifiutarono di accoglierla, ma le insistenze della beata ebbero infine ragione dell'opposizione dei fratelli ed ella, vestendo l'abito religioso, ricevette il nome di Eustochia. Una sua preghiera al Crocifisso mostra da quale desiderio di soffrire fosse animata: "O dolcissimo mio Signore, vorría morire per lo tuo santo amore, cosí come Tu moristi per me! Forami il cuore con la lancia e con i chiodi de la tua amarissima Passione; le piaghe che tu avesti nel tuo santo corpo, che io le abbia nel cuore. Ti domando piaghe, perché mi è grande vergogna e mancamento vedere Te, Signore mio, piagato, che io non sia piagata con Te". La Calafato, sceltasi per cella un sottoscala, visse penitente, dormendo poco e sulla nuda terra e affliggendo le sue carni col cilicio e la flagellazione.
Nel convento di S. Maria di Basicò, uno dei più importanti della Sicilia di allora, asilo delle nobili fanciulle messinesi e perciò oggetto dei privilegi dei re, la beata non trovò però il suo ideale di rinunzia, poiché la vita regolare era mitigata da dispense che dispiacevano al suo spirito, nutrito dalle laudi di Jacopone da Todi: progettò quindi una riforma. Callisto III, col decreto del 18 ottobre 1457, accolse le richieste della Calafato che, aiutata anche finanziariamente dalla madre e dalla sorella, si trasferì nel nuovo convento di S. Maria Accomandata. Nonostante l'opposizione di superiori e consorelle, che non vedevano di buon occhio la riforma, Eustochia vi entrò con la madre, la sorella e Jacopa Pollicino. Nemmeno i Frati Minori Osservanti vollero andare a celebrare la Messa nella nuova fondazione e, abbandonata da tutti, la Calafato si rivolse a Roma, ottenendo un nuovo Breve pontificio, in seguito al quale l'arcivescovo di Messina impose ai Frati Osservanti, sotto pena di scomunica, di assumere la cura spirituale delle suore riformate. Il nuovo convento vide rifiorire i primi tempi del movimento francescano, sotto la ferma guida della fondatrice, che insegnava con la parola e con l'esempio l'ideale del Poverello e l'amore del Crocifisso, insieme con l'adorazione eucaristica, nella quale passava notti intere. Le vocazioni affluirono numerose, tanto che l'edificio divenne troppo angusto per la fiorente comunità; per munificenza di Bartolomeo Ansalone, nel 1463, le Clarisse Riformate poterono trasferirsi a Montevergine, in un nuovo monastero che esiste tuttora. Ivi, per esortare le consorelle alla virtù e all'amore del Crocifisso, la Calafato scrisse un libro sulla Passione. Il 20 gennaio 1485 suor Eustochia morì lasciando la sua ultima raccomandazione: "Prendete, figlie mie, il Crocifisso per Padre, ed Egli vi ammaestrerà in ogni cosa".
Durante la vita, ed ancor più dopo la morte, si attribuirono alla Calafato vari miracoli. I messinesi la venerarono come protettrice della loro città, specialmente contro i terremoti; il 2 luglio 1777 il senato della città promise di recarsi ogni anno a Montevergine il 20 gennaio e il 22 agosto; nel 1782, infine, la Calafato fu beatificata da Pio VI.
L'arcivescovo di Messina, nel 1690, scriveva alla S. Congregazione dei Riti: "Il suo corpo, da me diligentemente veduto e osservato, è integro, intatto e incorrotto ed è tale che si può mettere in piedi, poggiando sulle piante di essi. Il naso è bellissimo, la bocca socchiusa, i denti bianchi e forti, gli occhi non sembra affatto che siano corrotti, perché sono alquanto prominenti e duri, anzi nell'occhio sinistro si vede quasi la pupilla trasparente. Inalterate le unghie delle mani e dei piedi. Il capo conserva dei capelli e, quello che reca maggiore meraviglia, si è che due dita della mano destra sono distese in atto di benedire, mentre le altre sono contratte verso la palma della mano [accenno ad una benedizione che la beata avrebbe dato con quella mano, dopo la sua morte, ad una suora. Le braccia sic piegano sia sollevandole che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si rileva al tatto disseccata". Ancora oggi si può vedere intatto il corpo della beata ed in piedi nell'abside della Chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione del popolo, che in folla vi accorre soprattutto il 20 gennaio. L'iconografia rappresenta la beata in ginocchio dinanzi al Sacramento e, più frequentemente, con la Croce nelle mani.
Le braccia si piegano sia sollevandole che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si rileva al tatto disseccata". Ancora oggi si può vedere il corpo della beata intatto ed in piedi nell'abside della chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione del popolo, che in folla vi accorre soprattutto il 20 gennaio e il 22 agosto. I martirologi francescani ricordano suor Eustochia al 20 gennaio. L'iconografia rappresenta la beata in ginocchio dinanzi al Sacramento e, più frequentemente, con la Croce nelle mani.


Autore:
Giuseppe Morabito


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2019-01-15

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