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Beati Giovanni Battista Turpin du Cormier e 13 compagni Martiri di Laval

21 gennaio

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† Laval, Francia, 21 gennaio 1794

Nel contesto della Rivoluzione francese, Giovanni Battista Turpin du Cormier e altri 13 sacerdoti della Congregazione della Missione furono arrestati, processati e ghigliottinati per aver rifiutato di giurare fedeltà alla Repubblica e di abbandonare il proprio ministero. La loro testimonianza di fede, a costo della vita, è un esempio di coraggio e fedeltà alla Chiesa, che continua a ispirare i credenti di tutto il mondo.

Martirologio Romano: A Laval in Francia, beati Giovanni Battista Turpin du Cormier e tredici compagni, sacerdoti e martiri, che per la loro tenace fedeltà alla Chiesa cattolica durante la rivoluzione francese morirono ghigliottinati.


Il 12 ottobre 1792 fu arrestato e imprigionato nell’antico convento delle Clarisse soprannominato “Patience” François Duchesne, canonico di Laval, nato in tale città l’8 gennaio 1736, che conduceva vita da anacoreta e digiunava tutti i giorni.

Due giorni dopo, il 14 ottobre, una retata di gendarmi condusse diversi preti in prigione:

René-Louis Ambroise, nato a Laval il 1° marzo 1720 da famiglia giansenista, che dopo l’ordinazione era stato destinato alla parrocchia della Santissima Trinità;
Louis Gastineau, nato a Loiron il 10 novembre 1727, che dopo avere esercitato in vari luoghi il suo ministero come viceparroco, si era rifugiato a Laval presso una sorella e si era occupato con frutto dell’educazione della gioventù;
François Migoret-Lamberdière, nato a St-Fraimbault-de-Lassay nel 1728, che era stato viceparroco di Oisseau, rettore di un collegio locale e successivamente parroco di Rennes-en-Gronouille, si era segnalato per il grande zelo nell’educazione della gioventù, aveva prestato nel 1791 un giuramento condizionato alla costituzione civile del clero, ma dopo la condanna di Papa Pio VI aveva ritrattato a costo di essere allontanato dalla parrocchia;
Julien Moulé, nato a Le Mans il 29 marzo 1716, che era stato prima viceparroco a Beaufray e rettore del collegio, poi parroco a Saulges, anch’egli aveva prestato il giuramento, poi ritrattato dopo la condanna papale;
Joseph Pellé, nato a Laval il 22 gennaio 1720, cappellano e confessore delle monache clarisse nei convento della Patience, molto retto e sinceramente pio nonostante il carattere rude;
Pierre Thomas, nato a Mesnil-Rainfray il 13 dicembre 1729, che dopo essere stato viceparroco a Peùton era stato eletto cappellano dell’ospedale di Chàteau-Gontier.
Il 2 novembre 1792 fu rinchiuso nell’ex-convento della “Patience” Augustin-Emmanuel Philippot, nato a Parigi l’11 giugno 1716, che per ben cinquant’anni era stato parroco a Bazouge-des-Alleux, purtroppo avveduto nella distribuzione delle elemosine ai poveri.
Il 17 dicembre seguente fu arrestato Julien-François Morin de la Girardière, nato a St-Fraimbault-de-Prières il 14 dicembre 1733. Egli aveva studiato teologia all’università di Angers. Dopo qualche anno di ministero si ritirò presso il fratello per occuparsi dell’educazione dei suoi nipoti. Di carattere mite, alargiva molte elemosine ai poveri.
Il giorno seguente, 18 dicembre, fu arrestato Jean-Marie Gallot, nato a Laval 14 luglio 1747, già viceparroco a Bazougers e quindi cappellano delle monache benedettine di Laval. Ormai infermo, viveva ritirato e sostenuto dalla carità dei fedeli.
Il 5 gennaio 1793 venne arrestato Jacques André nato a Saint-Pierre-la-Cour il 15 ottobre 1743, prima viceparroco a Rouez-en-Chanipagne e quindi parroco di Rouessé-Vassé. Ritiratosi poi a Laval dopo che i rivoluzionari gli avevano invaso il presbiterio.
Il medesimo giorno fu arrestato anche Jean-Baptiste Triquerie, nato a Laval il 1° luglio 1737, che in giovane età era entrato tra i Frati Minori Conventuali di Olonne, di cui fu pure superiore. In seguito, essendo un religioso di singolare pietà e di stretta osservanza, fu eletto cappellano e confessore delle clarisse di diversi monasteri. Dopo la soppressione del convento di Buron presso il quale esercitava il ministero, si ritirò a Laval presso un cugino.
Due altri preti anteriormente arrestati furono trasferiti alla “Patience”: André Duliou, nato a St- Laurent-des-Mortiers il 18 luglio 1727, assai stimato per la pietà, lo zelo e il distacco dai beni terreni dimostrato nei paesi in cui era stato cooperatore parrocchiale e a St-Fort, ove era stato parroco, e Jean-Baptiste Turpin du Cormier, nato a Laval nel 1732. Costui “era uomo veramente buono, un pastore pieno di zelo. Dedito completamente alle cure pastorali, consacrava tutto il tempo all’adempimento dei suoi doveri, all'istruzione dei fedeli, alla riconciliazione dei peccatori con Dio, al sollievo dei poveri, alla visita degli ammalati. Il suo cuore era pieno di bontà, il suo tratto dolce ed affabile, la sua condotta regolare ed edificante, tutta la vita un modello di ogni virtù sacerdotale”. Quale parroco della chiesa della Santissima Trinità, l’odierna cattedrale di Laval, alla “Patience” pose il prestigio di cui godeva al servizio dei confratelli che lo considerarono loro capo.

Per i quattordici prigionieri i mesi trascorsero lunghi e monotoni. I vandeani, insorti contro i rivoluzionari, nell’ottobre 1793 erano riusciti ad occupare Laval ed a rimetterli in libertà, ma essendo stati ricacciati quasi subito dall’esercito repubblicano, i sacerdoti furono nuovamente improgionati nell’ex-convento. Il 21 gennaio 1794 ricorreva l’anniversario della decapitazione del re Luigi XVI, che il pontefice Pio VI con la bolla “Quare lacrymae” il 17 giugno 1793 aveva riconosciuto quale martire ucciso in odio alla fede cattolica.
Per la commissione rivoluzionaria, volta a punire il fanatismo vandeano, l’anniversario costituiva una data assai propizia per vendicarsi degli scacchi subiti. Perciò. la mattina del 21 gennaio i quattordici sacerdoti progionieri furono condotti al palazzo di giustizia per essere giudicati. Il presidente Clément domandò a Jean-Baptiste Turpin perché non avesse prestato il giuramento prescritto dalla legge e questi gli rispose: “Perché attacca la mia religione ed à contrario alla mia coscienza”. Replicò il giudice: “Dunque, tu sei un fanatico. Credi ancora in Dio e non ti accontenterai di adorare "L’Essere Supremo"? Hai esercitato il tuo ministero dopo il rifiuto del giuramento ed hai detto Messa?”. Il sacerdote non temette di rispondere afermativamente ed ammise anche di aver consigliato tale comportamteno ai fedeli durante la confessione. Rifiùto infine di prestare anche il giuramento del 1792, quello di Libertà e Uguaglianza, “perché contrario alla legge di Dio”.
La stessa richiesta fu fatta a Jean-Marie Gallot, che ammise anch’egli di non avere prestato il giuramento e pregò che gliene venisse spiegato il significato. Disse allora il presidente: “Essere fedele alla repubblica e non professare alcuna religione, né la cattolica, né qualsiasi altra”. Il sacerdote allora gli rispose prontametne: “Cittadino, sulle pubbliche piazze in qualunque luogo, io mi professerò sempre cattolico, non arrossirò mai di Gesù Cristo”.
Joseph Pellé rispose invece al giudice: “Voi mi domandate un giuramento che la religione mi proibì di fare nel 1791; ma il giuramento che oggi richiedete non è altro che una derisione; esso non sarà mai da me prestato, anche a costo della vita: la mia coscienza non me lo permette”. Poiché il presidente insisteva, il futuro martire gli rispose con vivacità: “Mi state proprio seccando con questo vostro giuramento. Non lo farò, non lo farò, non lo farò!”.
Con René-Louis Ambroise l’accusatore fu perfido: “Spero che almeno tu non sarai ribelle alla legge giacché non hai condiviso i sentimenti dei tuoi confratelli”, ma il beato con grande senso civico replicò: “Io voglio ubbidire al governo, ma non voglio rinunciare alla mia religione”. Al giudice risultava che l’imputato fosse giansenista, ma questi spiegò: “Ammetto di avere sostenuto alcune opinioni che non erano conformi alla sana dottrina, ma Dio mi ha concesso la grazia di riconoscere i miei errori, di confessarli dinanzi ai miei confratelli e di riconciliarmi con la Chiesa. Al momento di comparire davanti a Dio, sono lieto di lavare con il sangue il mio errore”.
L’interrogatorio di Jean-Baptiste Triquerie, come già quello del Gallot, manifestò in modo inequivocabile il motivo religioso della persecuzione e della condanna. Alla richiesta del giuramento, infatti, egli rispose: “Cittadino, io sono figlio di San Francesco; in forza del mio stato devo essere morto al mondo, ne ignoro quindi le leggi. Mio unico scopo quello di pregare Dio per la mia patria, cosa che non ho mai cessato di fare”. Assai turbato il presidente lo ammonì: “Non venire qui a farci delle prediche. Dal momento che non sei più cappellano delle monache, chi ti ha dato i mezzi per vivere, non avendo tu beni di fortuna?”. Il frate rispose di esserre sopravvissuto grazie alla carità dei fedeli e che sarebbe comunque rimasto “fedele a Gesù Cristo sino all’ultimo respiro”.
Anche tutti gli altri sacerdoti rifiutarono categoricamente il giuramento loro richiesto, poiché contrario alla coscienza, e furono perciò condannati alla ghigliottina. Udita la sentenza, i condannati esclamarono “Deo gratias!” e poi si prepararono alla morte confessandosi vicendevolmente. Si misero poi in coda aspettando il loro turno ,cantando la Salve Regina ed il Te Deum. Il Turpin, offertosi come aprifila, fu però mandato per ultimo poiché ritenuto maggior colpevole e, prima di essere legato, volle baciare con venerazione il tavolato bagnato dal sangue dei suoi confratelli.
A mezzogiorno di quel 21 gennaio 1794 tutto era finito. I corpi dei giustiziati furono seppelliti nelle lande di Croix-Bataille, ma nel 1816, con la restaurazione dell’antico regime, i loro resti furono esumati e traslati nella chiesa di Avesnières. Già durante la Rivoluzione, però, i fedeli non avevano mai cessato di recarsi a pregare di nascosto sulle loro tombe. Il 19 giugno 1955 giunse finalmente il giorno della glorificazione terrena di questi martiri, che vennero beatificati insieme ad altre cinque vittime uccise singolarmente sempre a Laval.


Autore:
Fabio Arduino

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Aggiunto/modificato il 2007-01-12

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