Secondo una “Passio” latina egli era un anziano magistrato, che aveva abbandonato la toga per vivere da eremita. Anch'egli, come tutti gli altri cristiani di Cesarea di Cappadocia, venne convocato dal governatore dell'Armenia e della Cappadocia, Sapricio, perché prendesse parte alle celebrazioni in onore di Giove. Ma alla sua apparizione i fuochi accesi per la divinità si spensero. Un prodigio che Sergio interpretò pubblicamente come il prevalere di Dio su ogni altra divinità. Affermazione che lo condannò al martirio.
Etimologia: Sergio = che salva, custodisce, seminatore, dal latino
Emblema: Palma
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San Sergio, martire di Cesarea di Cappadocia, quasi ignorato dalle fonti agiografiche greche e bizantine, ha avuto una certa popolarità in Occidente, grazie a una Passio latina che ci descrive così il suo martirio: durante le celebrazioni annuali in onore di Giove, all'epoca dell'imperatore Diocleziano, il governatore dell'Armenia e della Cappadocia, Sapricio, trovandosi a Cesarea, ordinò che fossero convocati davanti al tempio pagano tutti i cristiani della città per costringerli a rendere il culto a Giove. Tra la folla comparve anche Sergio, un anziano magistrato, che da tempo aveva abbandonato la toga per fare vita eremitica.
La sua presenza produsse l'effetto sorprendente di spegnere i fuochi preparati per i sacrifici. Si attribuì immediatamente la causa dello strano fenomeno ai cristiani che col loro rifiuto avevano irritato il dio. Si fece allora avanti Sergio e spiegò che la ragione dell'impotenza degli dèi pagani era da cercarsi molto in alto, nella onnipotenza del vero e unico Dio, adorato dai cristiani. Sergio venne arrestato e condotto davanti al governatore, il quale con giudizio sommario lo condannò alla decapitazione. La condanna venne eseguita immediatamente: era il 24 febbraio. Il corpo del martire, raccolto dai cristiani, ebbe sepoltura in casa di una pia donna. Di qui le reliquie furono trasportate in Spagna, nella città andalusa di Ubeda.
Autore: Piero Bargellini
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Aggiunto/modificato il 2001-02-01