Guglielmo di Montevergine era nato a Vercelli nel 1085 da nobile famiglia. Divenuto monaco, decise di recarsi in Palestina. Lungo il cammino si fermò in Irpinia dove fondò la Congregazione Benedettina di Montevergine, con caratteristiche cenobitiche. Sentendo il bisogno di solitudine, nominò il suo successore nella Congregazione, che abbandonò per poi fondare altri monasteri, fra cui quello di San Salvatore, diviso in due parti destinate rispettivamente ai religiosi e alle religiose. La sua opera infaticabile lo portò ancora più lontano verso Rocca San Felice, Foggia e Troia. L'ideale di vita ascetica da lui proposto, sostanzialmente legato alla Regola benedettina, faceva parte del movimento spirituale che cercava una Regola più pura e dava maggior spazio alla preghiera e alla contemplazione. Morì a Goleto, in Irpinia, il 24 giugno 1142.
Patronato: Irpinia
Etimologia: Guglielmo = la volontà lo protegge, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale, lupo
Martirologio Romano: A Goleto presso Nusco in Campania, san Guglielmo, abate, che, pellegrino dalla città di Vercelli, fattosi povero per amore di Cristo, fondò su invito di san Giovanni da Matera il monastero di Montevergine, in cui accolse con sé dei compagni che istruì nella sua profonda dottrina spirituale, e aprì molti altri monasteri sia di monaci sia di monache nelle regioni dell’Italia meridionale.
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Piedi martoriati purché piedi in cammino, costantemente. Destinazione Santiago de Compostela e poi, un giorno, la Terra Santa. A volte, 14 anni bastano per prendersi la vita che si vuole rinunciando a quella che si ha. Guglielmo, adolescente di Vercelli, è un tipo così. A 14 anni fa una cosa simile a quella che Francesco più di cento anni dopo compirà ad Assisi. Si libera degli orpelli del suo casato, rinuncia al titolo nobiliare, indossa un saio grezzo e parte, calzando solo i suoi piedi nudi. Compostela è una tappa obbligata di pellegrinaggio se sei un uomo dell’anno Mille. Quando Guglielmo parte per il Santuario spagnolo è il 1099 circa. Saranno cinque anni di cammino, di pane e acqua, di cilicio e notti per terra, di colloquio intimo con Dio e di ardente annuncio del Vangelo lungo la strada.
Meta inimmaginata
L’altra tappa di qualsiasi pellegrino dell’epoca e la terra di Gesù. Guglielmo rientra in Italia con l’obiettivo di partire per Gerusalemme. Ma l’uomo che pianifica non regge il confronto col Dio delle sorprese. Il giovane scende lungo l’Italia alla ricerca di una nave, ma dalle parti di Brindisi un pugno di delinquenti lo aggredisce. Addosso a quel pellegrino scarno c’è poco da rubare e la delusione si trasforma in violenza. Guglielmo è malmenato e costretto a interrompere il viaggio. Mentre si riprende va incontro a Giovanni da Matera, anch’egli futuro Santo, che aveva incontrato in precedenza e che con decisione gli dice che dietro l’aggressione subita potrebbe celarsi un segno più grande, quello di dedicare la sua missione di apostolo all’Italia. Guglielmo riflette, se ne convince, riparte e nel 1118 raggiunge l’Irpinia, ai piedi del Monte Partenio. Lo risale fino a fermarsi in una piccola conca. Il pellegrino è diventato eremita.
I monaci di Montevergine
L’eremita è fatto per la solitudine, ma è la solitudine a non esserlo per quell’eremita. Perché la sua fama di uomo di Dio vola rapida come il vento gelido che spesso taglia i boschi del Partenio. A decine raggiungono Montevergine dove si trova la celletta del monaco Guglielmo. L’eremita diventa abate. Regole scritte, poche. Dettate a voce e piuttosto mostrate con l’esempio: penitenza rigorosa, preghiera, esercizio della carità verso i poveri. È il germoglio della Congregazione Verginiana, che viene ufficialmente riconosciuta nel 1126. I piedi dell’eremita fremono però. E un giorno, affidata a un discepolo l’abbazia che nel frattempo è sorta, il pellegrino si rimette sulla strada. Dall’Irpinia al Sannio, dalla Lucania alle Puglie alla Sicilia. Principi normanni e poveri in canna, chi lo incontra ne resta affascinato. Le storie parlano di segni miracolosi, la più nota è quella del lupo che sbrana l’asino usato per il traino da Guglielmo e che il monaco “costringe” a trasformarsi in bestia da soma con perfetta mansuetudine.
Patrono dell’Irpinia
L’abbazia di Montevergine prospera grazie a donazioni continue e cospicue. Tra gli amici coronati ma soprattutto sinceri di Guglielmo figura Ruggero II, un re normanno. È a lui che il pellegrino diventato eremita e abate si reca in visita un’ultima volta quando le forze stanno per abbandonarlo. La morte lo coglie in uno di suoi monasteri irpini, a Goleto, nel 1142. A 800 anni dalla sua morte, nel 1942, Pio XII lo proclama Patrono Primario dell’Irpinia.
Fonte: Vatican News
Amico dei lupi e degli orsi, vive con loro per più di un anno, da solo, su un monte in Irpinia (Avellino). Guglielmo è un nobile nato a Vercelli (Piemonte) nel 1085. Rimasto orfano, all’età di quindici anni s’incammina scalzo in pellegrinaggio verso il Santuario di Santiago de Compostela (Spagna). Nel suo peregrinare alla ricerca di Dio, lo vediamo a Roma, quindi in Puglia perché la sua meta è la Terra Santa: Gerusalemme. L’incontro con Giovanni da Matera (futuro santo) che gli consiglia di non imbarcarsi e di fermarsi per evangelizzare il Sud d’Italia, ispira a Guglielmo altri progetti, anche se permane in lui l’intenzione di visitare i territori dove è vissuto Gesù. Tuttavia, durante il tragitto, alcuni ladri, irritati dal fatto di non aver trovato nulla da rubare, lo aggrediscono brutalmente. Guglielmo capisce che la volontà di Dio è un’altra.
Non abbandona più l’Italia e, desideroso di pregare in solitudine e di condurre vita eremitica, si rifugia nell’Irpinia, sul Montevergine, a 1500 metri di altitudine (Mercogliano, Avellino). Il nome deriva da una cappella dedicata alla Maria Vergine accanto alla quale Guglielmo trova dimora, assieme ai lupi e agli orsi che diventano suoi amici. Nel frattempo la fama di Guglielmo raggiunge le città. Tutti parlano di questo monaco, che vive da solo sulla montagna, che parla ai lupi e agli orsi e che compie miracoli come la guarigione di un cieco. Così altri monaci raggiungono Guglielmo perché vogliono imitarlo e vivere come lui. Guglielmo, allora, costruisce una basilica in onore della Madonna e un convento dove trovano accoglienza i monaci, gli affamati e gli ammalati. La Regola seguita è quella benedettina, basata su una vita fatta di preghiera, digiuno e lavoro agricolo per procurare il cibo a se stessi e ai bisognosi. Si narra che un lupo abbia divorato il prezioso asino utilizzato per trasportare le pietre necessarie alla costruzione del santuario, e che Guglielmo lo abbia fatto lavorare al suo posto.
Da Montevergine il monaco si sposta a Goleto (Avellino) alla ricerca di solitudine. Qui vive per un anno dentro la cavità di un albero e, successivamente, fonda un altro monastero. Muore nel 1142 a Goleto, ma il suo corpo riposa a Montevergine, uno dei santuari più venerati dell’Italia meridionale, luogo che ha custodito gelosamente la Sacra Sindone di Torino, per difenderla dai bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale.
Autore: Mariella Lentini
La sua statua in San Pietro a Roma ha un lupo accovacciato ai piedi, in ricordo di un prodigio che gli attribuisce la tradizione. Quando viveva da eremita sui monti, l’asino che era il suo prezioso mezzo di trasporto fu sbranato da un lupo, che poi Guglielmo prodigiosamente trasformò in mansueto animale da soma. Di Guglielmo non conosciamo i genitori, probabilmente nobili. Lo incontriamo quindicenne, già vestito da monaco e in viaggio come pellegrino. Cammina per mesi e per anni. Va a San Giacomo di Compostella, poi a Roma, poi si avvia verso la Puglia: vuole imbarcarsi per la Terrasanta. Ma lo dissuadono dapprima un futuro santo, Giovanni da Matera, da lui incontrato a Ginosa (Taranto); e poi alcuni rapinatori presso Oria (Brindisi) che lo picchiano selvaggiamente perché delusi dalle sue tasche vuote. "Non è lì che ti vuole il Signore", gli ha detto Giovanni. E lui, dopo indecisioni e prove, va infine a stabilirsi sui 1.500 metri di Montevergine, nel gruppo appenninico del Partenio, presso Avellino. Terra ancora di orsi e di lupi, dove vive da solo per un anno.
Poi arrivano altri uomini (e alcuni sacerdoti) attratti dalla vita eremitica, che intorno a lui formano una comunità. Ma poi salgono anche i pellegrini, i “fedeli”, a cui bisogna predicare e amministrare i sacramenti, nella chiesetta consacrata nel 1124. Guglielmo ha adottato la Regola benedettina con marcata accentuazione eremitica, ma quest’affluenza di gente rende necessaria anche un’attività pastorale, una “cura d’anime”.
Nel 1128 egli affida la comunità al futuro beato Alberto e va a stabilirsi in Lucania sul monte Cognato, dove presto nasce un monastero; e quando è ben stabilito, ecco che Guglielmo riparte fermandosi a Goleto, ancora nell’Avellinese. Qui per un anno gli serve da cella il cavo di un gigantesco albero, e qui ancora nasce un monastero. “Doppio”, anzi; ossia con una comunità maschile e una femminile, ognuna con propria sede e propria chiesa.
Il Meridione d’Italia “adotta” affettuosamente questo piemontese. Altri monasteri egli fa nascere in Irpinia e in Puglia: "moltissimi", dice la sua prima biografia del XII secolo. Così si forma quella che sarà chiamata Congregazione Benedettina di Montevergine, e che avrà vita plurisecolare. Nel 1879 si fonderà poi con la Congregazione Cassinese.
Guglielmo muore nel monastero del Goleto, e nelle sue comunità s’incomincia subito a venerarlo come santo. Alcuni vescovi autorizzano anche il culto pubblico, che sarà poi esteso a tutta la Chiesa nel 1785. Il suo corpo verrà traslato nel 1807 dal Goleto a Montevergine, dove si trova tuttora. E lo stesso monastero, per tutta la durata della seconda guerra mondiale, sarà il rifugio segreto e sicuro della Santa Sindone di Torino.
Autore: Domenico Agasso
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Aggiunto/modificato il 2023-06-22