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† Jixian, Hebei, Cina, 7 luglio 1900
Marco Ji Tianxiang, medico e padre di famiglia, a causa della dipendenza da oppio, che aveva iniziato ad assumere per motivi curativi, si vide estromesso dall’Eucaristia. Con umiltà e spirito di pentimento, cercò di liberarsi da quella dipendenza. Catturato insieme ai suoi familiari durante la rivolta dei Boxer, morì per decapitazione il 7 luglio 1900, a sessantuno anni. È stato canonizzato il 1° ottobre 2000, inserito nel gruppo dei 120 martiri cinesi.
Martirologio Romano: Presso la città di Jixian nella provincia dello Hebei sempre in Cina, san Marco Ji Tianxiang, martire, che, escluso per trent’anni dal banchetto eucaristico perché non aveva voluto astenersi dall’uso di oppio, non cessò tuttavia di pregare di poter concludere piamente la propria vita e, chiamato in giudizio, dopo aver professato con animo fermo la fede in Cristo, raggiunse il banchetto eterno.
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Marco Ji Tianxiang nacque nel villaggio di Yazhuangtou, nella provincia cinese dello Hebei, in una famiglia cristiana. Persona colta, di classe benestante, sposato e padre di famiglia, adoperava le cure tradizionali come l’agopuntura, in qualità di medico. Tuttavia, quando si trattava di offrire le proprie prestazioni a qualche ammalato povero, lo faceva a titolo gratuito. Per questo motivo si era reso amato da tutti, tanto da venir incaricato dell’amministrazione dei beni della sua piccola comunità cristiana.
Verso i quarant’anni, prese a soffrire per una malattia allo stomaco. L’unico modo che aveva per alleviare il dolore era assumere oppio: col passare del tempo, ne divenne dipendente. Provò ripetutamente a disintossicarsi, per venti anni, ma senza esito. Il suo sacerdote inizialmente gli garantiva l’assoluzione, ma, al vederlo ricadere nel vizio, decise di estrometterlo dall’accostarsi all’Eucaristia. Marco si sentì messo in disparte, ma continuò a partecipare alla Messa. Ormai era convinto che solo il martirio avrebbe potuto aprirgli la via per il Paradiso, poiché non riusciva a liberarsi da quella droga.
Dieci anni dopo, la rivolta dei Boxer arrivò anche nel suo villaggio. Marco e i suoi familiari, tredici persone in tutto, si rifugiarono nel cimitero del luogo, ma vennero traditi e fatti prigionieri. Una gran folla di amici e di persone beneficate da lui lo supplicavano di chiedere la grazia per sé e per i suoi, ma sarebbe stato possibile solo se avesse apostatato. Lui non solo si rifiutò, ma non consegnò nemmeno le medaglie e gli scapolari che aveva con sé. Dopo un’ultima professione di fede, intonò le litanie della Madonna.
Mentre veniva trasportato al luogo del suo martirio, suo nipote Francesco, di otto anni, gli chiese: «Dove andiamo, nonno?». «Torniamo a casa, bambino mio», rispose. Arrivato nel luogo stabilito, Marco disse ai suoi parenti: «Figli miei, non temete. Il paradiso aperto è vicino», poi chiese di poter essere decapitato per ultimo, così da essere certo che nessuno si ritirasse di fronte alla prova suprema. Così, a sessantuno anni, il 7 luglio 1900, riscattò col sacrificio un’esistenza che aveva rischiato di essere abbrutita dal vizio.
La causa di canonizzazione per Marco Ji Tianxiang venne inserita in quella del gruppo capeggiato dal gesuita padre Leone Ignazio Mangin e composto in tutto da cinquantasei martiri. Il riconoscimento del loro martirio venne sancito il 22 febbraio 1955. Il 17 aprile dello stesso anno, domenica “in albis”, si svolse invece la beatificazione. La canonizzazione del gruppo, inserito nel più ampio elenco dei 120 martiri cinesi, avvenne invece il 1° ottobre 2000.
Autore: Emilia Flocchini
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