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1832 circa – Daining, Hebei, Cina, 22 luglio 1900
Giuseppe Wang Yumei (traslitterato anche come Wang-Jou-Mei) era l’anziano custode dell’abitazione dei missionari presenti nel villaggio cinese di Majiazhuang, nella provincia dello Hebei. Dopo aver tentato di salvare la vita dei suoi compaesani, rifugiatisi nella scuola del villaggio, fu il primo tra loro a morire, con la gola trapassata da un colpo di lancia. È incluso nel gruppo dei 119 martiri cinesi che furono canonizzati a Roma il 1 ottobre 2000.
Martirologio Romano: Sulla strada verso Daining nei pressi di Yongnian nella provincia dello Hebei sempre in Cina, passione di san Giuseppe Wang Yumei, martire nella medesima persecuzione.
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Giuseppe Wang Yumei era l’anziano custode dell’abitazione dei missionari presenti nel villaggio cinese di Majiazhuang, nella provincia dello Hebei, quando anche quel luogo fu raggiunto dalla rivolta dei Boxer.
Quando i soldati arrivarono, anzitutto incendiarono la chiesa del villaggio. Il capo della squadriglia pose gli abitanti del villaggio di fronte all’alternativa fra apostatare o affrontare la morte, poi andò via coi suoi uomini. Giuseppe, allora, si pose a difesa della scuola del villaggio, dove si erano rifugiate alcune donne coi loro bambini, decise a non abbandonare la fede. Vi si diresse anche Anna Wang, una ragazzina che in quella scuola aveva studiato, convinta di trovarvi la sua insegnante, che invece si era allontanata con le altre allieve. Il maggior conforto di cui potevano godere i rifugiati era la celebrazione della Messa, all’alba, grazie a un padre missionario.
I roghi appiccati dai Boxer, però, si facevano sempre più vicini. Quando i soldati arrivarono, Giuseppe disse a tutti di rifugiarsi nel sotterraneo della scuola; lui avrebbe cercato di sviare gli aggressori accogliendoli sull’ingresso principale. Il capo della banda gli domandò dove fossero gli altri, ma l’anziano si rifiutò di denunciare la loro presenza, per cui venne quasi strangolato, poi scaraventato in un angolo. A quel punto, il capo ordinò di sparare contro le finestre dell’edificio: il fragore dei vetri spaventò i bambini, che, urlando, fecero scoprire il nascondiglio. Tutti i presenti vennero quindi costretti a salire su di un carro e condotti al villaggio dov’era il quartier generale dei Boxer.
Verso sera, alla luce delle fiaccole, i prigionieri vennero sottoposti ad un interrogatorio. Mentre i bambini, giustamente impauriti, piangevano, Lucia Wang Wangzhi, una delle madri di famiglia, provò a presentare la religione cristiana come basata sull’amore e quindi innocua, ma ricevette solo insulti. Nel sentire quelle parole ingiuriose, Giuseppe si fece avanti: «Coloro che c’insegnarono a praticare la religione e la morale cattolica», disse, «meritano i più alti elogi perché pionieri anche di civiltà e di amor patrio in quanto ci abituarono pure al rispetto verso la patria e all’ubbidienza delle leggi». Benché i soldati gli insinuassero di dover pensare, invece, a salvarsi la vita, l’anziano proseguì: «Appunto perché con un piede sulla fossa devo parlare così per rendere omaggio alla verità!». Poi, rivolgendosi alle sue compagne, le esortò: «Nessuna di voi ceda alle ingiuste imposizioni di questi autentici nemici del vero Dio e della vera Cina!».
Sentendolo parlare così, il capo dei Boxer sentenziò che doveva morire all’istante, cosicché gli altri si decidessero ad apostatare. Trascinato di fronte alle rovine della chiesa del villaggio, venne inizialmente trapassato alla gola da una lancia, poi, quando crollò a terra, subì anche la decapitazione.
La causa di canonizzazione per Giuseppe Wang Yumei venne inserita in quella del gruppo capeggiato dal gesuita padre Leone Ignazio Mangin e composto in tutto da cinquantasei martiri. Il riconoscimento del loro martirio venne sancito il 22 febbraio 1955. Il 17 aprile dello stesso anno, domenica “in albis”, si svolse invece la beatificazione. La canonizzazione del gruppo, inserito nel più ampio elenco dei centodiciannove martiri cinesi, avvenne invece il 1 ottobre 2000.
Autore: Emilia Flocchini
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