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San Giordano Ansalone Sacerdote domenicano, martire

Festa: 17 novembre

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Santo Stefano Quisquina (Agrigento), 1 novembre 1598 - Nagasaki (Giappone), 17 novembre 1634

Nel 1625, raggiunta a piedi Siviglia, partì per le missioni. Dopo una sosta di circa un anno in Messico, attraverso il Pacifico, nell’estate del 1626, raggiunse le Isole Filippine. Spese dapprima due anni tra i Filippini, a Cagayan, nel nord dell’isola di Luzon, poi visse per quattro anni tra i Cinesi d’una colonia del sobborgo di Binondo, a Manila, nella Parrocchia e all’Ospedale S. Gabriele, costruito per loro. Studiò a fondo la lingua, la mentalità e i costumi de Cinesi, dimostrandosi vero antesignano d’inculturazione e precorritore del dialogo con i non credenti. A tale scopo scrisse anche un’opera, irrimediabilmente perduta, in cui raccoglieva le principali credenze religiose e idee filosofiche dei cinesi, discutendole con i dati della fede e della dottrina cattolica, per un confronto chiarificatore. Nel 1632, mentre infuriava la persecuzione, si recò in Giappone, travestito da mercante, per recare aiuto e conforto: per un anno fu Vicario Provinciale di questa missione. Gravemente ammalato nell’isola di Kyushu, “impetrò dalla Vergine Maria di essere guarito fino a quando non lo avessero ucciso per Cristo”. Incarcerato il 4 agosto 1634, fu sottoposto a inaudite torture.

Etimologia: Giordano = dal nome del fiume della Palestina

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, santi Giordano (Giacinto) Ansalone e Tommaso Hioji Rokuzayemon Nishi, sacerdoti dell’Ordine dei Predicatori e martiri: il primo si adoperò a fondo per il Vangelo dapprima nelle isole Filippine e poi in Giappone, l’altro fu operoso propagatore della fede nell’isola di Taiwan e, negli ultimi anni, nella regione di Nagasaki nella sua patria. Entrambi morirono per ordine del comandante supremo Tokugawa Yemitsu dopo esser stati sottoposti per sette giorni con animo invitto a crudeli supplizi sulla forca e in una fossa.


Per lui non si potrà sicuramente dire che il martirio fu un “incidente di percorso”, perché davvero fu pensato, voluto, quasi cercato, in un’ottica di donazione totale e di piena configurazione a Gesù, che proprio sulla croce aveva dimostrato la grandezza e la totalità del suo amore per gli uomini. Il bambino, nato il 1° novembre 1598 a Santo Stefano Quisquina (Agrigento), viene chiamato Giacinto: un nome che tiene solo fino ai 17 anni, all’entrata nel convento domenicano di Agrigento, quando lo muta in quello di Fra Giordano. Inizia gli studi a Palermo e poi li prosegue in Spagna, a Salamanca, sempre però con il chiodo fisso di andare missionario in Giappone. Ordinato sacerdote a Trujillo, raggiunge a piedi Siviglia e di qui raggiunge il Messico: ha 27 anni, un ardore che sprizza da tutti i pori e coraggio da vendere. La sosta messicana dura un anno o poco più e di qui raggiunge le Isole Filippine. Per due anni si spende per i filippini di Cagayan, poi si dedica all’apostolato tra i cinesi, in una loro colonia alle porte di Manila, prendendosi soprattutto cura dei malati, ma anche impegnando pazientemente molto del suo tempo nello studio e nell’approfondimento della loro cultura, tanto che della lingua, dei costumi e della mentalità cinese diventa un profondo conoscitore, in un tempo in cui il dialogo con i non credenti è ancora di là da venire e di inculturazione non si parla sicuramente tanto. Fra Giordano non si ferma qui: in una monumentale opera, di cui purtroppo a noi è giunta solo notizia, passa al vaglio della dottrina cattolica le credenze religiose e filosofiche dei cinesi, nella speranza di poter aprire con loro un sereno confronto, premessa per una futura evangelizzazione. Intelligente, intraprendente, aperto, soprattutto innamorato di Cristo, Fra Giordano, pur sentendosi permanentemente in missione, non perde di vista il Giappone, il suo primo amore, nel quale spera in ogni caso di andare un giorno a predicare. E’ nota la sua ostinazione e la sua fermezza, ben riassunte nella sua lapidaria frase “Jordanus non est retrorsum” perché, spiega con riferimento al fatto biblico, il fiume Giordano “potè tornare indietro, io, Giordano, no, non torno indietro”. Per la serie “chi la dura la vince” riesce a mettere piede in Giappone nel 1632, ma travestito da mercante, perché la persecuzione contro i cristiani (iniziata, a dire il vero, prima ancora che lui nascesse) negli ultimi 16 anni si è estesa a macchia d’olio, sta sconvolgendo le comunità e sta facendo molti martiri. Suo primo compito è dunque rincuorare, incoraggiare, sostenere i perseguitati. E’ pienamente cosciente dei rischi cui va incontro e il martirio per lui non è solo un’eventualità. Che comunque non lo sfugga lo dimostra il fatto che, ammalatosi un giorno gravemente, chiede ed ottiene la guarigione per intercessione della Madonna, per non morire nel proprio letto ma poter offrire a Cristo e ai giapponesi la testimonianza del sangue. Lo arrestano dopo due anni, il 4 agosto 1634: sotto le torture e davanti ai giudici non ha paura di confessare di essere venuto in terra giapponese a diffondere l’amore di Cristo, un amore che si è spinto fino alla croce. A Nagasaki lo sospendono ad una forca a testa in giù e seminterrato in una fossa, dove agonizza per sette giorni, fino alla morte che arriva il 17 novembre. Padre Giordano Ansalone nel 1981 è stato proclamato beato a Manila da Giovanni Paolo II°, lo stesso papa che lo ha canonizzato sei anni dopo a Roma.

La data in cui viene celebrato è il 17 novembre mentre in Sicilia è ricordato il 19 novembre.

Autore: Gianpiero Pettiti
 




Nel 1625 un domenicano nato in Sicilia s’imbarca in Spagna per il Messico, che all’epoca è colonia spagnola. Lavora per qualche tempo nella capitale e poi riparte attraverso il Pacifico: quattro mesi di navigazione ed eccolo nelle Filippine, anch’esse dominio di Spagna. Questo sembra l’approdo per fra Giordano Ansalone, di origine agrigentina (al battesimo è stato chiamato Giacinto), studente presso i domenicani locali, poi accolto nell’Ordine col nome di fra Giordano e infine ordinato sacerdote in Spagna. Il suo campo di lavoro nelle Filippine è dapprima il Nord dell’isola di Luzon. Più tardi ritorna a Manila per l’assistenza religiosa agli immigrati cinesi, e questo contatto è decisivo: sta con loro, insegna e impara, studia lingue, costumi e culti orientali, sicché poi diventa maestro dei missionari destinati alla Cina.
Ma il traguardo suo si chiama Giappone. Qui il cristianesimo, portato da san Francesco Saverio nel 1549, nel 1600 aveva quasi un milione di seguaci. Ma per essi è cominciata la Via Crucis. Sul Paese regna di nome l’imperatore, ma di fatto comanda lo shogun. Questo titolo indicò dapprima un incarico temporaneo (tipo l’antico dictator romano) ed è poi diventato ereditario nella potente famiglia Tokugawa. Il primo shogun della casata, Ieyasu (1546-1616), favorisce dapprima gli scambi con l’Occidente e non combatte i cristiani. Ma gravi incidenti provocati da stranieri lo spingono verso la politica del sakoku, lo Stato chiuso agli occidentali (tranne gli olandesi, però controllatissimi), e verso la lotta attiva al cristianesimo, visto come dottrina nemica. Già nel 1597 erano stati crocifissi a Nagasaki 26 tra missionari e neofiti. Ma dal 1616 la persecuzione diventa generale, continuando anche sotto i due successori di Ieyasu, Hidetada e Iemitsu: cacciata dei missionari, uccisione di quelli rimasti e anche di cristiani giapponesi; oltre 200 morti fino al 1632 e comunità cristiana sconvolta.
A questo punto fra Giordano decide: "Vado in Giappone". Sa ciò che lo aspetta. E vuole lucidamente farsi imitatore di Cristo, fino a dare la vita sul suo esempio. Arriva a Nagasaki travestito da mercante, con altri tre sacerdoti. Riprende l’evangelizzazione clandestina nei villaggi, dà coraggio ai cristiani, vive nei nascondigli protetto da loro. Ma nell’agosto 1634 viene catturato insieme al domenicano fra Tommaso Nishi. Prima della condanna a morte ci sono mesi di torture per loro e per Marina di Omura, una terziaria domenicana giapponese che li ha ospitati. Altri missionari e fedeli vengono intanto uccisi, e per loro la fine viene in novembre. Marina è messa a morte l’11, fra Giordano e fra Tommaso il 17. Tutti e tre verranno canonizzati a Roma nel 1987 da Giovanni Paolo II, insieme ad altri 13 testimoni della fede, occidentali e giapponesi, uccisi nel 1633, nel 1634 e nel 1637.


Autore:
Domenico Agasso


Fonte:
Famiglia Cristiana

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Aggiunto/modificato il 2007-12-30

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