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San Radbodo di Utrecht Vescovo

29 novembre

† Deventer, Olanda, 29 novembre 917

Martirologio Romano: A Deventer in Frisia, nell’odierna Olanda, traslazione di san Radbodo, vescovo di Utrecht, che, dotto e prudente pastore, morì mentre era in visita tra i contadini.


Discendente da nobile stirpe franca per parte di padre e da altrettanto nobile prosapia frisone da parte di madre, Radbodo nacque a Namur intorno all’850. Studiò dapprima nella scuola annessa alla cattedrale di Colonia, dove era arcivescovo Guntero, suo zio materno, quindi, dopo la deposizione di questi, nell’ottobre 862, per la parte avuta nella questione del divorzio di Lotario II da Theotberga, Radbodo fu mandato alla scuola di corte di Carlo il Calvo, «non palatini honoris avidus», come dichiara il suo biografo, ma per seguirvi gli studi filosofici, che allora vi fiorivano sotto la sapiente direzione di Marinone. Quivi Radbodo si segnalò ben presto per i grandi progressi fatti non solo nello studio, ma soprattutto nella virtù, riuscendo in tal modo a cattivarsi la stima generale.
Monaco a trent'anni, ebbe a maestro il famoso abate Ugo, sotto la cui guida poté corroborare le sue doti morali ed intellettuali, che gli valsero, alla morte di Ogebaldo sulla fine dell’899, l’elezione a vescovo di Utrecht, di cui fa menzione egli stesso in una breve cronaca da lui compilata sotto l’anno 900: «Ego peccator Radbodus inter famulos sanctae Traiectensis ecclesiae conscribi meruiatque, o utinam, cum eisdem aeternae vitae consortium megera adipisci». Sceltisi a modelli san Bonifacio e san Willibrordo, suoi predecessori, Radbodo intraprese la sua attività pastorale con grande entusiasmo, dimostrando ottime qualità di governo. Allo scopo di eliminare le ultime tracce dell’antico paganesimo frisone, viaggiò continuamente per la sua diocesi, che seppe peraltro amministrare con vera perizia e con somma prudenza, preoccupandosi altresì di garantirne la stabilità e l’efficienza delle rendite, attraverso la conferma deU’immunità di cui godevano, accordata, infatti, dal re Corrado I il 9 luglio 914.
L’intensa attività episcopale, a cui attese sempre con cosciente zelo di pastore e di padre, non impedì tuttavia a Radbodo di coltivare i suoi studi prediletti e di abbandonarsi alla sua vena poetica, di cui ci resta valida testimonianza nella sia pur non abbondante produzione letteraria, e che comprende alcune omelie su san Switberto, santa Amalberga e san Lebuino, un panegirico di san Willibrordo ed un altro di san Bonifacio, un ufficio liturgico per la festa di san Martino, verso il quale aveva sempre nutrito una speciale devozione (egli stesso poi ne recitò qualche passo sul letto di morte), un Carmen allegoricum de sancto Switberto, un poemetto de virtutibus beati Lebuini, ed alcuni epigrammi, nonché un Sermo de sancto Servatio ed una Vita Bonifatii.
Dopo una vita esemplare, Radbodo morì il 29 novembre 917 a Deventer, dove era stato costretto a dimorare abitualmente a causa della pressione normanna che gli impedì di occupare la sua sede di Utrecht, in cui nondimeno egli «corde iugiter inhabitavit». Tanto grande fu il ricordo di bontà e di santità da lui lasciato tra i suoi fedeli, che il successore Balderico non esitò ad esporre le sue reliquie alla venerazione popolare e ad iscrivere il suo nome nelle litanie e nel Canone della Messa. Il culto di san Radbodo restò tuttavia limitato alla diocesi di Utrecht, dove due feste venivano celebrate in suo onore, una il 29 novembre, giorno anniversario della morte, e l’altra il 25 giugno, anniversario della traslazione.
Sotto l’invocazione di questo santo venne istituita nel 1905 la Società di san Radbodo, fondatrice nel 1923 dell’Università cattolica di Nimega (Olanda), di cui l’antico vescovo di Utrecht è stato dichiarato alto protettore e presso la quale riposano attualmente le sue reliquie.


Autore:
Niccolò Del Re


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2019-05-07

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