EUSTACHIO, PLACIDO (lat. Placidus), TEOPISTA, TEOPISTO e AGAPIO, santi, martiri a ROMA. Placido, ricco e vittorioso generale di Traiano, benché pagano era spinto a grandi beneficenze per sua bontà naturale, come già il centurione Cornelio. Un giorno, a caccia, inseguì un cervo di straordinaria bellezza e grandezza che, fermatosi sopra un'alta rupe, si volse all'inseguitore. Aveva tra le corna una croce luminosa e, sopra, la figura di Cristo: "Placido", disse, "perché mi perseguiti? Io sono Gesù, che tu onori senza sapere". Riavutosi dallo spavento, Placido fu invitato a farsi battezzare insieme coi suoi. Egli prese il nome di Eustachio o Eustazio, la moglie quello di Teopista e i figli quelli di Teopisto e Agapio. Ritornato sulla montagna, udì la voce misteriosa preannunziare che, novello Giobbe, avrebbe dovuto dar prova della sua pazienza. Infatti, la peste gli rapì i servi e le serve e, poco dopo, i cavalli e il bestiame. I ladri gli tolsero ogni altro suo avere. Allora decise di emigrare in Egitto; durante il viaggio, non avendo di che pagare il nolo, si vide togliere la moglie dal capitano della nave, che se n'era invaghito. Ridiscese a terra e continuò con i figli il viaggio a piedi; ma poco dopo questi gli furono rapiti, da un leone l'uno, da un lupo l'altro. Salvati dagli abitanti del luogo, i due giovanetti crebbero nello stesso villaggio senza conoscersi. Eustachio, rimasto solo, si stabilì in un villaggio vicino, detto Badisso, ridotto a guadagnarsi il pane custodendo i raccolti degli ospiti. Quindici anni dopo, avendo i barbari violato i confini dell'Impero, Traiano si ricordò di Placido e lo fece cercare. Due commilitoni lo ritrovarono e lo condussero a Roma. Nuovamente a capo delle truppe, trovandole insufficienti, fece reclutare dovunque nuovi soldati: tra le reclute c'erano, sempre ignari l'uno dell'altro, i suoi figli, così robusti e ben educati che li fece sottufficiali e anche suoi commensali. Ricacciati gli invasori e occupato il loro territorio, le truppe sostarono per un breve riposo in un oscuro villaggio, proprio quello dove Teopista, dopo la morte del capitano della nave, viveva coltivando l'orto d'un abitante del luogo, dimorando in un povero abituro; i due ufficiali le chiesero ospitalità. Al racconto delle vicende della propria vita, i due si riconobbero; anche Teopista li riconobbe, ma non rivelò loro la propria identità. Il giorno seguente presentatasi al generale per chiedergli d'essere rimandata in patria, riconobbe in lui il proprio marito. La famiglia cos1 si ricompose. Nel frattempo, a Traiano era succeduto Adriano, il quale accolse il vincitore in trionfo. Però, all'indomani, essendosi Eustachio rifiutato di partecipare al rito di ringraziamento nel tempio di Apollo, perché cristiano, fu condannato al circo insieme con i suoi. Tuttavia il leone, quantunque aizzato contro di loro, neanche li toccò. Allora furono introdotti entro un bue di bronzo arroventato: morirono all'istante, ma il calore non arse loro un capello. I corpi, sottratti dai cristiani, ebbero una conveniente sepoltura sulla quale, dopo la pace di Costantino, sorse un oratorio, dove il loro dies natalis era festeggiato il 1o novembre. Questa leggenda ebbe nel Medio Evo straordinario successo. Ci è pervenuta in molte redazioni e versioni, greche, latine, orientali (armena, siriaca, georgiana, copta, slava, eoc.) e volgari (italiana, francese, spagnola, inglese, tedesca, irlandese, ecc.), diverse nei particolari, ma concordi nella sostanza. W. Meyer, argomentando dal fatto che si tratta d'un martire romano, conclude essere la redazione originaria quella latina; il Delehaye lo esclude in modo assoluto; la Depositio martyrum Ecclesiae Romanae e il Martirologio Geronimiano non conoscono affatto Eustachio. La redazione originaria è invece quella greca; il suo autore non partì da alcun dato reale (storico, monumentale, liturgico), ma ricucì insieme alla meno peggio motivi ricorrenti nella novellistica popolare e nell'agiografia cristiana. Nella sua opera si distinguono chiaramente tre racconti: la conversione miracolosa, le avventure familiari e il martirio. Il racconto di quest'ultimo rientra nel genere delle passiones romanzesche. Invece, il racconto del cervo prodigioso ripete un motivo che compare spesso nell'agiografia cristiana (v. s. GIULIANO lo Spedaliere, s. MEINULFO, s. GIOVANNI di Matha e s. FELICE di Valois, s. FANTINO, s. UBERTO di Liegi, ecc.) e ha radici nella letteratura indiana. La stessa cosa va detta pure del racconto delle avventure familiari di Eustachio. Il motivo ricorreva in India ancor prima di Buddha: da quel fondo comune passò alla novellistica universale. Lo ritroviamo, infatti, nell'antica letteratura greca, in quella araba, armena, giudaica, kabila, ecc., in molti romanzi del Medio Evo ed anche nelle Omelie pseudo-clementine e nella leggenda di s. Senofonte, Maria e i suoi figli. Concludendo il suo ampio studio, il Delehaye dice che nessun testo agiografico è, ora, più conosciuto della leggenda di s. Eustachio, ma anche nessuno s'è rivelato altrettanto privo di valore storico. Eppure, l'eroe del pio romanzo agiografico, grazie all'abilità del narratore, s'impose alla credulità popolare, che ne fece un personaggio reale. La prima traccia, che si conosca finora, d'un culto in suo onore è la diaconia S. Eustachii o basilica beati Eustacii che compare già all'inizio del sec. VIII in documenti del papa Gregorio II. Ne parla il Liber Pontificalis, nella biografia dei papi Leone III (795-816) e Gregorio IV (827-844). Era detta in platana, perché sorgeva in mezzo ai platani fra le rovine delle terme di Nerone e di Alessandro Severo, "iuxta templum Agrippae". Fu ricostruita durante il pontificato di Celestino III (1191-1198), che la consacrò il 12 maggio 1196, dopo aver rimesso nell'altare maggiore i presunti corpi di s. Eustachio e dei suoi familiari. S. Eustachio diede il nome al XIII rione della città. La celebrità del santo spiega il sorgere di altre leggende, come quella che identifica il luogo del prodigio del cervo nei monti della Mentorella, là dove sorge il santuario di S. Maria in Vulturella, sopra Ceciliano (Tivoli), e l'altra, che faceva discendere il santo dalla casa Ottavia, quella dell'imperatore Ottaviano Augusto, e, a sua volta, faceva discendere dal santo i conti di Tuscolo, che presero appunto il nome di conti di S. Eustachio. La leggenda mette la sua festa al 1 novembre, alla cui data compare anche nel corbeiese majus (sec. XII) del Martirologio Geronimiano. Fu spostata al 2 novembre, dopo l'introduzione della commemorazione di tutti i santi e poi in altro giorno dopo l'introduzione della commemorazione dei defunti. Alla data del 20 settembre compare negli evangeliarii di tipo romano puro dalla metà del sec. VIII e nel Sinassario di Costantinopoli nella quale città era festeggiato nella chiesa (col. 61). Questa data, passata nel Martirologio Romano, finì per diventare universale. S. Eustachio figura tra i santi Ausiliatori ed è protettore dei cacciatori e guardiacaccia.
Autore: Ireneo Daniele
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