Infanzia e primi anni
Salvo D’Acquisto nacque a Napoli, nel quartiere del Vomero, il 15 ottobre 1920. Era il primogenito di Salvatore D’Acquisto e Ines Marignetti, che ebbero in tutto otto figli, cinque dei quali sopravvissero all’infanzia. La famiglia, quindi, era molto numerosa, ma sopportava con onestà e dignità la propria umile condizione.
Nel mese di gennaio 1921 venne portato al fonte della parrocchia di San Gennaro al Vomero, dove ricevette, insieme alla grazia del Battesimo, i nomi di Salvo Rosario Antonio. Fu iscritto all’asilo delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che frequentò fino ai sei anni d’età.
Al catechismo dai Gesuiti, a scuola dai Salesiani
Frequentò le prime tre classi delle elementari presso l’Istituto Statale Luigi Vanvitelli. Nel frattempo, si recava spesso nella chiesa dei Gesuiti, dove prendeva lezioni di catechismo e serviva Messa; s’iscrisse anche all’Apostolato della Preghiera. Ricevette la Prima Comunione il 5 giugno 1927.
In seguito passò alla quarta come allievo dell’istituto «Sacro Cuore» dei Salesiani. Terminato quel ciclo, studiò per due anni, dal 1931 al 1933, alla scuola d’avviamento professionale Giovanni Battista Della Porta, ma per il ginnasio tornò dai Salesiani. Verosimilmente fu lì che apprese come amare il lavoro, la preghiera e il dominio di sé, maturando un carattere riservato e mite.
Prime prove di carità
Risalgono a quel periodo alcuni episodi che mostrano come si sentisse naturalmente incline a difendere chi veniva emarginato. Tornando da scuola, voleva deliberatamente stare vicino a un ragazzo che, invece, gli altri compagni prendevano in giro perché era gobbo.
Gli stessi ragazzi si comportavano male anche nei confronti di una giovanetta che aveva un occhio di vetro. Salvo si metteva tra lei e loro e, anzi, dava un bacio all’organo artificiale.
Un giorno d’inverno, sempre al ritorno da scuola, senza pensarci due volte si tolse le scarpe e le regalò a un ragazzo povero e infreddolito. Di fronte ai giusti rimproveri della madre, si discolpò: «Io sono robusto ed ho da mangiare, invece il poveretto era mingherlino e tremava dal freddo».
Giovanissimo lavoratore
Nel 1934 decise di proseguire gli studi da solo, perché, pur essendo intelligente e amante della lettura, aveva qualche difficoltà in latino. Fu quindi avviato al lavoro presso la piccola ditta di un prozio, Giuseppe Pindilfi.
Era insieme a lui quando, un giorno, vide che un ragazzo stava rischiando di essere investito da un tram. Senza avvisarlo, corse per impedire l’incidente e fece appena in tempo. Anche allora, per discolparsi, dichiarò: «Non potevo lasciarlo morire così», dopo aver precisato che si era come sentito spinto interiormente ad agire in quel modo.
Intanto, per qualche tempo, frequentò il Regio Conservatorio di Musica San Pietro a Maiella, dotato com’era di una bella voce da baritono. Si preparò infine come privatista all’esame di licenza liceale.
Carità e preghiera
Il prozio Giuseppe era molto dedito alla carità e spesso chiedeva a Salvo di accompagnarlo nelle visite agli ammalati, sia all’Ospedale della Vita (riservato ai tubercolotici), sia all’Ospedale degli Incurabili. A guidarlo verso un giusto rapporto con Dio contribuirono in maniera determinante anche la mamma e la nonna materna Erminia.
La sua devozione mariana si esprimeva tramite la preghiera del Rosario, appresa anch’essa dalla nonna: lei convocava tutti gli abitanti del palazzo dove abitavano al terzo piano, per recitarlo insieme alla sua famiglia.
Una scelta importante
Ormai diciottenne, Salvo ricevette la cartolina per la visita di leva. A causa della chiusura della ditta dello zio, aveva perso il lavoro e, con esso, la possibilità di sostenere la sua numerosa famiglia.
Un giorno chiese alla sorella Francesca di accompagnarlo alla chiesa della Madonna del Rosario di Pompei, da non confondersi col più celebre Santuario omonimo. Dopo aver a lungo pregato, prese una ferma decisione: arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri. Probabilmente la scelse perché vi avevano militato anche il nonno materno, che fu Maresciallo maggiore, due zii materni e uno zio da parte di padre.
Nell’Arma dei Carabinieri
Il 15 giugno 1939 passò la visita di leva al Distretto militare di Napoli. Tre mesi dopo, il 15 agosto, veniva accolto a frequentare il corso per Carabinieri effettivi presso la Scuola Allievi di Roma.
Cercò di affrontare con serietà quella nuova vita sin dal primo giorno. Quando era di libera uscita, visitava spesso sia il Museo Storico dell’Arma, che gli ricordava la storia di servizio della quale era entrato a far parte, e le chiese di Roma, specie quelle del Vaticano. Il suo buon carattere, intanto, si andava affinando nella scelta di stare accanto a chi più avesse bisogno. Appena possibile, poi, scriveva alla famiglia per far avere sue notizie.
Divenne effettivo il 5 gennaio 1940 e fu assegnato alla Compagnia Comando della Legione di Roma; di lì passò al nucleo Fabbricazioni di Guerra, fino al termine del mese di ottobre.
A Tripoli
Dopo l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, Salvo fu inviato in Africa settentrionale. Sbarcò a Tripoli il 23 novembre 1940, con la 608.a Sezione Carabinieri. Fu al fronte per alcuni mesi, ma nel 1941 dovette essere ricoverato: prima all’ospedale da campo di Derna, poi a quello militare di Bengasi per enterocolite, sopraggiunta a una ferita alla gamba.
A consolarlo in mezzo alle fatiche della guerra contribuì un intenso rapporto epistolare con le sue madrine di guerra: Ines Maria Monda e, soprattutto, Maria Calignano. Fu pieno di gioia quando ricevette da lei, dentro un libro, un santino che raffigurava il Sacro Cuore di Gesù che benediceva i militari: «Non potevi farmi un regalo più bello e più gradito. Da tanto tempo desideravo un’immagine così…».
Anche sotto la tenda pregava pubblicamente e invitava gli altri a unirsi a lui, specie durante gli attacchi aerei. Per questo motivo, sia gli ufficiali sia i commilitoni ebbero una grande stima di lui, sia per i suoi principi morali sia per la sua fede.
A Firenze
Rientrò in Italia il 13 settembre 1942, subito aggregato alla Scuola Sottufficiali di Firenze, dove frequentò il corso accelerato per essere promosso vice-brigadiere: ottenne il grado il 15 settembre 1942. Anche durante quei due mesi spiccò per il suo senso di responsabilità e per l’impegno nello studio.
In quel periodo gli giunse la notizia che era morto per una grave malattia un suo zio materno. Fu quindi lui a consolare la madre, scrivendo: «Bisogna rassegnarsi ai voleri di Dio a prezzo di qualsiasi dolore e di qualsiasi sacrificio».
Da un suo tema si apprende il suo pensiero circa la guerra, molto diverso da quanto insegnava la retorica fascista. Sperava infatti che «i rapporti internazionali potessero essere dominati e guidati da spirito di collaborazione tra i popoli e da giustizia sociale», mentre interpretava la guerra come «lo sforzo dell'umanità per raggiungere un nuovo equilibrio».
Torrimpietra
Dopo essere stato promosso vice-brigadiere, Salvo espresse il desiderio di essere destinato a una stazione periferica, per essere ancora più vicino ai poveri. Il 19 dicembre 1942 venne dunque assegnato alla Legione di Roma e destinato a Torrimpietra, sul litorale laziale, a 30 km a nord di Roma.
Gli abitanti del luogo lo conobbero ben presto per i suoi lati migliori, specie per la dedizione e l’atteggiamento cordiale con cui si rivolgeva loro. Lo vedevano regolarmente a Messa, dove non mancava di accostarsi alla Comunione.
In seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, con l’Italia divisa tra l’occupazione tedesca osteggiata dai partigiani e l’avanzata degli americani, anche Torrimpietra patì la fame: il vice-brigadiere si occupò dunque di placare i contrasti e distribuì tra le famiglie, specie quelle più numerose, il poco che ricevevano i Carabinieri.
Salvo, per quanto lo riguardava personalmente, era intenzionato a formarsi una famiglia. A Torrimpietra conobbe una ragazza, Giuliana, con la quale ci fu sintonia, ma non sfociò mai in un fidanzamento vero e proprio, sebbene fosse apprezzata dai suoi genitori.
L’eroismo
Gli fu suggerito di rifugiarsi a Roma, nella situazione caotica che si era venuta a creare, ma ribatté: «Il mio dovere è di essere con la gente che è stata affidata a noi». Fu così che, il 23 settembre 1943, si presentò alla Torre di Palidoro, dove ventidue abitanti di Torrimpietra erano tenuti in ostaggio e minacciati di morte.
Il motivo della rappresaglia era che, la sera precedente, alcuni soldati tedeschi erano entrati nella torre, già deposito della Guardia di Finanza, e avevano provocato lo scoppio di una bomba a mano: un militare rimase ucciso e altri due feriti.
Il vice-brigadiere D’Acquisto, con l’aiuto di un interprete, cercò di trattare con il comandante del plotone, ma questi chiedeva con insistenza chi fosse il responsabile del presunto attentato. Per rasserenare gli ostaggi, disse a uno di loro, Nando Attili, che conosceva bene: «Senti, Nando, il mio dovere l’ho fatto. Per quanto io ho detto penso che voi sarete salvi. Io devo morire. Una volta si nasce e una volta si muore».
Alla fine il giovane si dichiarò colpevole, purché gli ostaggi venissero rilasciati. Tutti vennero quindi fatti uscire dalla fossa che loro stessi avevano scavato, tranne Salvo, il quale, alcuni istanti dopo, venne fucilato.
Medaglia al valore militare
Il 15 febbraio 1945 a Salvo D’Acquisto venne conferita da Umberto di Savoia, principe di Piemonte, la medaglia d’oro al valore militare alla memoria, come «esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita».
L’8 giugno 1947 il suo corpo, che dalla fossa dov’era stato ucciso era stato portato al cimitero di Palidoro, fu tumulato nel Mausoleo dei Caduti di Guerra a Napoli, presso Posillipo.
Il processo di beatificazione
La storia del suo eroismo, da più parti equiparato al martirio, si diffuse largamente, dando origine a una consolidata fama di santità. Per questo motivo l’Ordinariato Militare per l’Italia, da poco costituito, si rese attore del suo processo di beatificazione.
La fase diocesana si svolse quindi dal 4 novembre 1983 al 25 novembre 1991 presso il Tribunale ecclesiastico dell’Ordinariato Militare, ma ottenne il nulla osta dalla Santa Sede nel 1992. L’inchiesta venne convalidata il 19 novembre 1993, mentre un supplemento d’inchiesta, domandato dal nuovo postulatore della causa e svolto nella diocesi di Napoli nel 1986, fu convalidato nel 1999. I due volumi della “Positio” furono consegnati alla Congregazione delle Cause dei Santi il 17 gennaio 1996.
Intanto i suoi resti mortali erano stati definitivamente collocati, nel 1986, nella basilica di Santa Chiara a Napoli; precisamente, nella prima cappella della navata sinistra.
L’indagine sul martirio di carità
Tuttavia, il frontespizio e il titolo della causa parlavano di inchiesta “sulla vita, martirio e fama di martirio del servo di Dio Salvo D’Acquisto”, ma il postulatore iniziale l’aveva avviata per indagare l’eroicità delle virtù.
Per questo motivo, si rese necessaria un’indagine suppletiva per accertare il martirio “per testimonium caritatis heroicis”, ossia “in base all’eroica testimonianza della carità”, possibilità aperta dalla canonizzazione, con quel titolo, di san Massimiliano Maria Kolbe. Lo svolgimento dell’inchiesta si tenne nel 1999, anno nel quale venne presentato un terzo volume della “Positio”, stavolta “super martyrio”.
Un Convegno di studio, indetto dalla Congregazione delle Cause dei Santi nel novembre 2007, ha tuttavia portato un voto in maggioranza sospensivo circa la possibilità di dichiarare ufficialmente martire Salvo D’Acquisto, ma l’esame della documentazione da parte dei membri della Congregazione non è ancora avvenuto.
Autore: Emilia Flocchini
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