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Beato Ludovico Morbioli Penitente

9 novembre

Bologna, 1433 - 9 novembre 1485

Il beato Ludovico dell'antica famiglia Morbioli è un mirabile esempio di santità penitente. Dopo una giovinezza dissipata e gaudente, nel 1462, mentre si trovava a Venezia, fu afferrato dalla mano di Dio attraverso l'esperienza della malattia. La prospettiva della morte e l'amorosa assistenza dei Canonici Regolari di san Salvatore contribuirono al radicale cambiamento di vita, che al ritorno in patria colpì i vecchi compagni di bagordi. Portando l'immagine del Crocifisso su un'asta, passò per le strade di Bologna e di altre città d'Italia predicando la penitenza. Trascorse gli ultimi anni in umiltà e preghiera silenziosa, alloggiando in un sottoscala del Palazzo Lùpari in via Dal Luzzo n.4, ora trasformato in oratorio. Morì sul nudo pavimento, portando fino all'ultimo la sua testimonianza a Cristo amico dei poveri e dei peccatori.

Martirologio Romano: A Bologna, beato Ludovico Morbioli, che, convertitosi a Dio da una vita immersa nel vizio, scelse un severo tenore di vita da penitente e richiamò con la parola e con l’esempio i cittadini alla pietà.


Forse non si pensava neanche troppo male di lui, Ludovico, finché fu un giovanotto vistoso e, come tanti altri della sua età, gaudente; certamente peggiorò la sua stima quando sposò Lucia, figlia di Giovanni Tura, e tutti aspettavano, inutilmente, che egli mettesse la testa a posto …
Era nato nel 1433, era uno dei figli (cinque maschi e una sola femmina) di Agnese e di Francesco Antonio Morbioli; fu allevato con tutte le cure di una buona educazione, ma, più cresceva, più il suo modo di vivere dovette spiacere ai genitori.
Neanche quando si trasferì a Venezia, nel 1462, smise di cercare divertimenti sfrenati, come nella città natale. Se non che, là, accadde il fatto che decise davvero della sua vita. Una malattia, certamente una di quelle che non lasciano speranze, lo ridusse a chiedere asilo all’ospizio dei canonici regolari di s. Salvatore: allora, fatti i conti con il dolore, con la morte e con la carità cristiana, Ludovico fu insperabilmente restituito alla vita, guarito nella carne e segnato per sempre nello spirito da un fervente amore per il Crocifisso, immagine dolorosa della pietà divina.
«Me hano fatto assai più ch’io non meritava – scrisse al fratello Antonio, cui affidava l’estinzione di certi debiti, descrivendo l’operato dei padri veneziani – tanto ch’io ò campato el pericolo». Nella stessa lettera, chiedendo il perdono dei genitori, il suo pensiero è già indirizzato a Dio: «Raccomandatemi a mio Padre e a nostra madre e pregateli per l’amore di Dio [che] mi perdonino e che mi mandino la sua beneditione e siano contenti di quello [che] piace a Messer Jesu Cristo e siano contenti d’essere stati misericordiosi e della elemosina [che] fanno» 1.
Tornato a Bologna, non fece altro che cercare di compensare con una vita di espiazione i trascorsi peccaminosi e il cattivo esempio dato in gioventù ai concittadini: non si accontentò di astinenze e digiuni segreti, ma volle rendere pubblica e manifesta la sua penitenza; invocò lo Spirito Santo perché gli indicasse la via più efficace da tenere; quasi una risposta alla sua preghiera risultò l’arrivo a Bologna di fra Giovanni 2, dell’Ordine degli eremitani, che Ludovico, mescolandosi alla folla ascoltò predicare nei punti più frequentati della città: sotto il portico della cattedrale, sotto le logge dell’ospedale di s. Maria della Morte, al foro dei Mercanti presso la chiesa di porta Ravegnana (l’attuale chiesa dei ss. Bartolomeo e Gaetano), poi ancora sotto il portico di s. Maria del Baraccano e infine sotto quello di s. Maria dei Servi, dove fra Giovanni sconvolse i bolognesi prevedendo un grave lutto cittadino che sembrò realizzato nella distruzione, avvenuta di lì a poco, dell’intera famiglia Caccianemici 3. Ma Ludovico, attratto dal fervore penitenziale dell’eremitano, volle avvicinarlo personalmente per riceverne la direzione spirituale, deciso ormai a seguirne in tutto l’esempio. A questo punto la cronaca riporta alla ribalta Lucia, la moglie soavemente silenziosa del peccatore prima, e ora del penitente: a lei Ludovico espose il desiderio di farsi pellegrino, ed essa, acconsentendo, si ritirò in convento così da permettergli ogni libertà dal vincolo coniugale.
Ludovico cominciò allora a praticare il disprezzo completo di sé per amore di Dio: lasciate incolte la barba e la capigliatura che un tempo lo facevano ammirare, si vestì con un sacco bigio che lo copriva fino al ginocchio, vi applicò una croce di panno quale suo nuovo ed esclusivo contrassegno; prese a nutrirsi di pochi cibi vegetali astenendosi affatto dalla carne, a dormire per terra o su una grezza tavola o su un poco di paglia, accontentandosi di una pietra o di un tronco d’albero per capezzale. Fu per umiltà che egli non chiese di entrare in alcun Ordine, ma si limitò a seguire in un primo tempo lo stesso fra Giovanni da Milano, peregrinando con lui nelle province di Romagna, delle Marche, nella Toscana, impegnandosi fra l’altro ad esortare, oltre che alla conversione spirituale, alla lotta contro i Turchi, che nel 1471 avevano tentato pericolose invasioni in occidente 4.
A Modena e a Ferrara fu visto (e così in seguito raffigurato) pregare e predicare scalzo, con una catena al collo, reggendo nella destra un’asticella alla cui sommità spiccava l’immagine del Cristo.
Ristabilitosi nella città natale, volle piuttosto essere preso per pazzo che per santo: si vestì di una rozza veste bianca. Era l’inverno del 1472: a capo scoperto ed irto, a piedi scalzi, Ludovico Morbioli girava le strade della sua città invitando tutti alla mortificazione e alla penitenza. Scolpiva figure di santi in osso, quando non piangeva i suoi peccati percuotendosi il petto con una pietra, spazientendo prima e infine commuovendo i vicini che lo ascoltavano con meraviglia e compassione trascorrere notti intere adorando ed invocando in pianto il Crocifisso e l’Eucaristia. Per la sua singolare devozione al SS. Sacramento si fece promotore dell’uso bolognese di celebrare l’esposizione e la processione eucaristica con buon numero di ceri, e di far ardere il maggior numero di lampade davanti all’altare e al tabernacolo dove egli risiedeva 5. Quasi nomade nella sua stessa patria, alloggiò da allora nel sottoscala di Paolo Lùpari (depositario dei frati minori osservanti), che volle, per amicizia, fargli accettare l’umile rifugio. Lì morì, dopo aver rifiutato ogni cure del medico, il 9 novembre del 1485, nel giorno da lui stesso predetto, giacendo sul nudo pavimento, al modo di s. Francesco. Il sottoscala del Lùpari fu in seguito trasformato in luogo di preghiera 6; ma intanto i cittadini, devoti alla memoria del povero penitente, presero l’abitudine di andare a pregare davanti alla sua sepoltura, nella cripta sotto il coro (la «confessio») di s. Pietro.
«Nel giorno anniversario della morte del Beato Ludovico – scriveva l’arcivescovo di Bologna card. Lambertini – si fanno ad onor suo alcuni segni di festa; ponendosi intorno alla sua Immagine certi ornamenti, ed accendendosi davanti ad essa maggior numero di candele» 7. Una tela ad olio 8 che lo rappresenta in dimensioni naturali, eseguita nel 1597, è ancora visibile nella cripta; in quegli anni (dal 1566 al 1597) mentre si eseguivano importanti lavori nella cattedrale, andarono disperse le ossa del beato: ma la sua memoria fu invece rinsaldata ufficialmente: nel 1582 Ludovico Morbioli risulta iscritto nel catalogo dei beati bolognesi; il card. Paleotti lo inserisce nell’ «Archiepiscopale Bononiense», nel 15949. Le pratiche per la canonizzazione, iniziate solo nel 1614 (ma già tra il 1472 e il 1480 erano state indirizzate petizioni al papa Innocenzo VIII), non vennero mai concluse. Il suo culto venne tuttavia ribadito e permesso per la diocesi di Bologna e per l’Ordine carmelitano 10. Forse in ricordo della sua vita inquieta ed errabonda, per tanti anni si rivolgevano a lui i bolognesi afflitti e fiduciosi nell’intercessione sua, ricevendo benefici dell’anima e del corpo, come ricorda già un illustre elegia in distici latini composta nel 1502 da un altro beato carmelitano, poeta, oratore e predicatore 11, il quale aveva potuto personalmente conoscere la misera vita e la grande pietà di Ludovico Morbioli, catechista e riformatore singolarmente popolare in tutta Italia, ma specialmente ascoltato nell’agitata Bologna bentivolesca dai non irreprensibili costumi.

Il movimento penitenziale laico nel tardo medioevo
Modelli di penitenti. Per comprendere la figura del b. Morbioli occorre distinguere il diverso significato che nel medioevo ha assunto il movimento dei penitenti. In senso lato penitenti sono i laici che hanno cercato di condurre una vita pia («religiosi») senza entrare in un ordine monastico. Non si devono confondere con coloro che entravano nell’ «ordo» della penitenza pubblica della chiesa, del resto già in disuso nel medioevo. Né si può catalogare il nostro b. Morbioli come appartenente all’ «ordo de paenitentia» che si è sviluppato in Italia nel sec. XIII (1221: Bolla di Onorio che pone sotto la sua protezione i penitenti laici devoti di Faenza: cf. G.G. Meersseman, Dossier de l’ordre de la pénitence, au 13e siècle, Fribourg 1982, pp. 88-112). Neppure il nostro Ludovico si è aggregato ad un qualche Ordine religioso: non è stato neppure terziario carmelitano, nonostante il suo abito somigliante a quello dei carmelitani. Siamo dunque di fronte ad un caso atipico ma che ben si inquadra nello spirito di riforma spirituale già indicato nel precedente saggio sugli osservanti. Infatti non a caso egli è contemporaneo del Savonarola; quando ritorna a Bologna da Venezia nel 1470 per intraprendere la sua vita penitente ed itinerante, fino al 1485, il Savonarola è novizio presso i domenicani di Bologna (1475). Non mancavano allora i predicatori che, come oratori popolari, sconvolgevano le folle: come quello che il Savonarola aveva ascoltato a Faenza nel 1474 (forse il b. Bonaventura da Forlì, servita). Nella basilica di s. Petronio in questi anni, noti francescani osservanti erano saliti sul pulpito per incitare il popolo alla conversione, durante la quaresima (cf. C. Piana, Il beato Marco da Bologna, o.c., p. 148). E finalmente nel 1481, quattro anni prima della morte, Ludovico avrà potuto cogliere l’eco della infuocata predicazione del Savonarola a Firenze, dove però questi non aveva ottenuto grande successo. Ludovico eserciterà un nomadismo penitente, per diventare un nuovo Francesco nella Bologna bentivolesca. Nella vita si legge che, dopo aver ascoltato a Bologna nel 1472 Giovanni Milanese dell’Ordine eremitano (che proveniva da Venezia e predicava a favore della crociata contro i Turchi), Ludovico pure ne imitasse l’esempio: siamo negli anni in cui il principe turcomanno Ouzoun Hassan, nemico giurato del sultano, aveva promesso a Venezia il suo aiuto contro Maometto II. La vittoria parziale della armata navale, composta dalle navi papali, dalle galee veneziane e napoletane, ottenuta ad Adalia, non evitò la clamorosa sconfitta dell’Hassan (1473) che lasciò ai Turchi maggior spazio per i successivi attacchi, fino alla caduta di Otranto nel 1480 (la strage dei cristiani sulla collina dei martiri). Questa roccaforte fu riconquistata solo nel settembre del 1481, dopo l’enciclica papale per esortare gli stati cristiani alla crociata. Il Morbioli, che pellegrinava facendo penitenza, era dunque uno dei non pochi predicatori ed eremiti erranti che avevano scelto le piazze come luogo privilegiato della loro evangelizzazione popolare.
Come scrive G. Fantaguzzi (Caos, Cronache cesenati del secolo XV, Cesena 1915) «uno, vestito all’apostolica, venne quest’anno (1477) a Cesena e predicando per le piazze diceva: “Timete Deum”. E doppo seguitò uno tempo contagioso e pestilente». In questo clima di tensioni politiche da crociata contro la minaccia turca, di desiderio di riforma dei costumi, di denunce ed invettive contro gli abusi degli ecclesiastici, la predicazione silenziosa ed esemplare di Ludovico, che accompagnava anche i condannati al patibolo, armato della sola croce, appare come un emblema del suo tempo. Il modello più vicino al nostro beato nella predicazione penitenziale di questo tempo, sia a Faenza dove è vissuto lungamente sia a Venezia (dove ha predicato nel 1482 e 1488), è quel Bonaventura (già citato) da Forlì (1410-1491) che, portando la barba incolta (soprannominato «fra barbetta»), a piedi nudi anche d’inverno, con un abito estremamente povero, coricato di notte sulla nuda terra, percorreva piazze e spiazzi campestri, richiamando sempre a penitenza. Anche lui fu per qualche tempo eremita.

Una lettera autobiografica.

Si riporta qui sotto una parte della lettera del b. Ludovico (la prima), perché è biograficamente più significativa (da Melloni, O.C., pp. 416-417: «Lettera del B. Ludovico al fratello – 20-XII-1462 da Venezia»).

«Per questa scritta avixovi come da poi ch’io non vi scrissi sono stato in termini della vita. Iddio sia laudato. Sono gionto a bon porto e tanto quanto ò avuto e buon governo di continuo da questi benedetti Padri e Fratelli di S. Salvadore avendone di continuo dui apresso de me suvignendomi in one cosa, e tanto più quanto ch’el male è stato pestenziale, non so chi non mi avesse abandonato: nondemeno me hano fatto assai più ch’io non meritava tanto ch’i ò campato el pericolo. E non vi gravi de andare a San Salvadore e trovati Frà Diodà el quale è fratelo carnale del Priore ch’è quà e rengratiatilo per vui e per mi e racomandatime a lui, perché son certo che scrivrà qui a Vinexa e giovarame asai e non falè perché questo Priore mi retrovarà tale aviamento qua oltra che ferà meglio che niun altro per mi se fusse a Bologna, e potria essere tale che vui ve contentaristi assai, massì che potendo vui asetare le cose in buona forma come m’à detto Francesco de Ghid. con lo termine satisfaria a ogniun e lasative consiliare a lui perché son certo mi ama e piliati etiandio lo consilio de Gabriele Guidotti so che cercarà de fare cosa che vi piazerà per la salute nostra. Mi per conditione non virìa a Bologna per lo tutto del pasato. […] Rachomandatime a mi Patre e nostra matre e preghatile per l’amore de Dio mi perdonino e che mi mandeno la sua beneditione e siano contenti de quelo piaze a Messer Jesu Cristo e sieno contenti d’essere stati misericordiosi e dela lemosina fano. Io vò mandato a dimandare lo mio Officiolo mandatimelo per one modo chusì come sta. Le camise e le mudande non le voglio siano vostre. Li danari v’ò mandato a dimandare vi priegho per l’amore de Dio me li mandati. La lettera de Messer Jacomo non avendo data datila e più la lettera mandai a Matteo Zambeccari fate de avere resposta se dovesti mandare uno apostado per fe. Antonio fratello charissimo te priego tu fenise quela carta de la Ternità con quel puoco de sermon in laude de Sam Salvador perché poi darì a quela Imagine el titolo de S. Salvadore fazendo mentione della Congregatione di questi Frati e volendo sapere come informate con Fra Diodà lì in S. Salvadore e farai el tutto. El Priore ché qui se chiama Frate Augustin da Bologna non so el sopranome el quale Priorato à autorità de potere apararsi come el Vescovo e celebrare simile ed è una cosa molto degna e sono in lo principale logo de Vinixa. El Vicario se chiama Frate Stefano di Prendiparte nostro cittadino Non ti agravi del tutto e fa ch’io abia in questo Natale. So quel che valerà a ti e a mi e non fali per l’amore tu mi porti. So che ne seguirà gran utilità più a ti che a mi perché venendomi latta un pensiro tu avristi uno beneficio de ligero. Racomandami a tutti quanti e avixame dil tutto. Non più. Christo vi conservi. Ludovico Morbioli in S. Salvadore».
 

Note

1 La lettera è del 20 dicembre 1462; se ne conosce un’altra, allo stesso fratello Antonio, del 23 dicembre 1471. La prima è qui riportata.

2 Il predicatore milanese alloggiò a Bologna in via Galliera; vestiva di cilicio e portava con sé una grande croce di legno. A quel tempo (genn. 1472) comparve nel cielo una cometa che fu interpretata come pronostico di rivoluzioni preconizzate dallo stesso fra Giovanni eremitano.

3 Così il Sigonio (cf. Melloni, cl. I, v. III, p. 136, nota 6): De Episcopis Bonon., riporta questa strage nel 1-XII-1472, dicendo: «Un uomo laico seduto su di un asinello, … si allontanò dalla città il 7 dicembre, dopo aver mostrato il giorno precedente che un grave male incombeva sui cittadini». Ciò che è avvenuto il 9 dic. quando la famiglia Caccianemici fu sterminata dai nemici.

4 Dopo l’invasione turca del 1471 il papa Sisto IV decretò, alleandosi con i veneziani e con il re di Napoli, di formare un’armata navale contro di essi; con un suo breve del 9 aprile 1472 invitò tutti i fedeli ad arruolarsi nell’armata navale ecclesiastica.

5 I versi della Vita scritta dal Mantovano (cf. Melloni, o.c., p. 423) sono significativi (381-384): «Candida solemni celebrentur ut orgia ritu / Instituit taedas, muitiplicesque focoso / Ardentes statuit lichnos altaria circum. / Ut sacer accenso luceat igne focus».

6 Dall’antica proprietà del Lùpari (il casato terminò nella famiglia Isolani), l’oratorio passò alla famiglia Rusconi-Rizzi.

7 Card. P. Lambertini, De Canonizatione Servorum Dei, l. 2, c. 8, n. 5. Cf. BSS, IX, Morbioli Ludovico, pp. 588-589 (C.D. Gordini).

8 La tela riporta, come data di morte, il 9 novembre, che differisce dall’ altra, 17 novembre, fatta scrivere dal cardo Viale Prelà nel 1859 sull’immaginetta stampata; la sua memoria liturgica ha subìto uno spostamento dal 17 al 16 novembre, che è data più prossima al «dies naralis», ovvero della morte.

9 Cf. Catalogus Sanctorum et Beatorum, p. 595: 1480 Beatus Ludovicus Morbiolus; cf. C.B. Chiuol., Vita del B. Ludovico Morbioli Bolognese, Bologna 1586.

10 Così nel 1843: l’Ordine carmelitano fu preso in considerazione perché lo stesso beato, data la sua prima veste grigia, fu ritenuto erroneamente un terziario dell’Ordine. Il Battista Spagnoli (1448-1516), religioso carmelitano, generale del suo Ordine, noto anche come «il Mantovano»; di famiglia spagnola, insegnò teologia a Bologna. Celebrato e prolifico autore, dedicò a Ludovico dei Morbioli un’elegia in 496 versi latini, che indirizzò al papa Innocenzo IV, illustrando la vita, la morte e i miracoli del bolognese. Vi si legge fra l’altro (vv. 479-487) (cf. Melloni, p. 424): «Hic nova concursi fiunt miracula magno / Votaque dal sacro Felsina tota loco. / Qui venit aegrotans redit ad sua limina liber: / et miseros homines ossa sepulta iuvant. / Loripedes, oculis capii, nodisque podagrae / Divinam illab: testificantur opem. /Summa virum probitas, simul et miracula Sanctum, / Esse probant, fidei si sit habenda fides».


Fonte:
www.paginecattoliche.it

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Aggiunto/modificato il 2021-10-15

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