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Beata Maria Fortunata Viti Benedettina

20 novembre

Veroli, Frosinone, 1827 - novembre 1922

Anna Felice Viti era nata a Veroli (Frosinone) nel 1827, figlia di un possidente dedito al vino e al gioco. Perse la mamma a 14 anni. E lei si caricò molte responsabilità nell'accudire gli otto fratelli e sorelle. Per mantenerli andò anche a servizio come domestica. A 24 anni entrò tra le monache benedettine di Santa Maria de' Franconi a Veroli, dette le «monache buone». E mutò il nome in Maria Fortunata. La sua giornata era scandita, oltre che dalla preghiera, dai compiti più umili: filare e cucire. Visse oltre 70 anni nell'anonimato della sua cella. Alla sua morte, nel 1922, 95enne, fu seppellita nella fossa comune. Ma il suo nome restò e Papa Paolo VI la proclamò beata. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Veroli nel Lazio, beata Maria Fortunata (Anna Felice) Viti, dell’Ordine di San Benedetto, che per quasi tutto il corso della sua vita svolse l’incarico di guardarobiera, intenta solo ad osservare con tutto il cuore i precetti della regola.


Di eccezionale in questa vita non c’è proprio niente, a parte una straordinaria longevità: quasi 96 anni, ma di una vita così umile, nascosta, insignificante direbbe qualcuno, che quasi si fa fatica a parlarne. Le premesse non sono delle più felici: il papà è un ricco possidente di Veroli che si rovina salute e portafoglio grazie alla sua passione per il gioco e alla sua tendenza a consolarsi con troppi bicchieri di vino. La mamma muore di crepacuore a 36 anni dopo aver dato alla luce nove figli e lei, a 14 anni, si ritrova mammina precoce degli altri otto. Ha così tanto da fare che non riesce a pensare a sé e nemmeno al suo futuro. La sua maggiore occupazione è fare in modo che in casa tutti rispettino quel padre collerico, alcolizzato e ridotto in miseria, come è capace di fare lei, che ogni sera gli bacia la mano e gli chiede la benedizione, ingoiando lacrime e umiliazioni: e pensare che l’avevano battezzata Anna Felice e da suora l’avrebbero chiamata Fortunata! A 24 anni, infatti, decide di entrare nel convento delle “monache buone”, cioè le benedettine della sua città. Si conserva di lei il fermo proposito, formulato in quel giorno, di “farsi santa”: non sa che per raggiungere l’obiettivo dovrà vivere più di 70 anni, “sepolta viva” nell’anonimato della sua cella, con giornate tutte uguali, scandite da azioni ripetitive che qualcuno potrebbe anche definire monotone: filare e cucire, lavare e rammendare. E pregare, anche se questo per lei non dovrebbe essere un problema, assorbita come sempre sembra nella contemplazione del suo Dio. Soltanto dopo si potrà scoprire quanta aridità spirituale si nascondeva dietro quel suo fervore; quanti tormenti ed intimi combattimenti venivano coperti dalla sua apparente imperturbabile serenità. Non sa né leggere né scrivere per le sue ben note vicende familiari e così non può essere ammessa tra le “coriste”, cioè le monache che si dedicano alle funzioni liturgiche. Per lei soltanto il lavoro, con la giornata che inizia alle tre e mezza di mattinata e prosegue in azioni faticose e umili, che lei compie così bene da farle diventare un capolavoro, condendole con tanta preghiera anche in mezzo alla più completa aridità spirituale. Frusta di lavoro e consumata dagli anni, tormentata dai reumatismi che negli ultimi anni la costringono a letto, incapace anche del più piccolo movimento, si spegne cieca, sorda e rattrappita, dopo 72 anni di clausura, nel 1922. Di lei sembra non accorgersi nessuno e così la seppelliscono in fretta, il giorno dopo, nella fossa comune. Ma la tirano fuori 13 anni dopo, a furor di popolo, e la seppelliscono in chiesa, tanti sono i miracoli che si verificano sulla sua tomba. E non basta: Paolo VI, nel 1967, proclama beata Suor Maria Fortunata Viti, la suora che, lavorando e sorridendo, si era fatta santa nella monotonia del quotidiano, nel chiuso di un convento e con un sacco di malanni, e che da allora possiamo festeggiare il 20 novembre.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

Umiltà è la parola che riassume la vita della beata laziale ricordata oggi. Nata a Veroli (Frosinone) nel 1827, terza di nove figli, i suoi genitori, Luigi Viti e Anna Bono, la chiamano Anna Felice. Il padre è un commerciante e possidente terriero e alla numerosa famiglia non fa mancare il necessario. Tuttavia, come era usanza a quei tempi per le fanciulle, Anna Felice non frequenta la scuola e rimane analfabeta. Purtroppo la mamma di Anna Felice, donna buona e molto religiosa, all’età di trentasei anni, muore. Anna Felice ha quattordici anni. Non ha tempo di piangere. Deve occuparsi dei suoi fratellini e del papà rimasto solo. Cucina, lava i piatti, pulisce la casa, riordina le stanze e i letti, fa il bucato. Il suo unico conforto è la preghiera. Ben presto il padre inizia a condurre una vita disordinata. Affoga i suoi dispiaceri nel vino e nel gioco. Rientra a casa sempre arrabbiato. Arriva la miseria. Anna Felice non si vergogna di andare a fare la domestica in una ricca famiglia, pur di guadagnare il denaro necessario a sfamare i suoi fratellini. Non odia il padre, anzi, lo rispetta, e lo fa rispettare anche dai fratelli. Quando arriva a casa ubriaco lo aiuta a coricarsi e gli dimostra ancora più affetto. È con l’amore che cerca di rendere la vita famigliare più tollerabile. In seguito Anna Felice rifiuta la proposta di matrimonio di un uomo facoltoso perché ha in mente altre scelte: matura in lei l’aspirazione di dedicarsi al Signore. Così, all’età di ventiquattro anni, decide di entrare nel Monastero di Santa Maria de’ Franconi, a Veroli, presso le monache benedettine di clausura. D’ora in avanti verrà chiamata suor Maria Fortunata. Essendo illetterata, il suo compito sarà per tutta la sua lunga vita quello di filare, cucire, rammendare e pregare, seguendo la Regola benedettina ora et labora, “prega e lavora”. Si alza tutte le mattine prima dell’alba e inizia il suo umile lavoro, svolto con precisione e impegno. Sempre ubbidiente, modesta, mite, sorridente, silenziosa, disponibile ad aiutare le consorelle, soprattutto se malate, suor Maria Fortunata muore nel 1922, all’età di 95 anni, nel Convento di Veroli. Viene sepolta in una fossa comune, ma dopo la sua morte vengono raccolte tante testimonianze di miracoli avvenuti grazie alle preghiere a lei rivolte, per cui oggi il suo corpo riposa a Veroli, nella chiesa accanto al monastero dove ha vissuto. Questa umile suora, che per tutta la vita è rimasta nascosta, nel 1967 viene proclamata beata da San Paolo VI, papa Giovanni Battista Montini.  


Autore:
Mariella Lentini


Fonte:
Mariella Lentini, Santi compagni guida per tutti i giorni

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Aggiunto/modificato il 2022-11-25

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