Nella grande fioritura di giovani donne morte in concetto di santità, le cui cause di beatificazione sono in corso presso la competente Congregazione Vaticana o presso le Diocesi di origine, spiccano i nomi di quelle giovani, che hanno dimostrato la loro adesione alla volontà di Dio, accettando le sofferenze di malattie più o meno lunghe, più o meno invalidanti, vissute spesso per anni in un letto. Letto diventato altare per il sacrificio della loro giovinezza, offerta per la salvezza della propria anima e del mondo; ricordiamo alcune Serve di Dio italiane: Paola Renata Carboni (1908-1927), 19 anni di Fermo; Paola Adamo (1963-1978), 15 anni morta a Taranto; Teresa Ferdinandi (1912-1940), 28 anni di Todi; Angela Iacobellis (1948-1961), 13 anni morta a Napoli; Bianca Chilovi (1909-1934), 25 anni di Cles (Trento); Filomena Giovanna Genovese (1835-1864), 29 anni di Nocera Superiore; Luigia Mazzotta (1900-1922), 22 anni di Lecce. A loro bisogna aggiungere la Serva di Dio Santina Campana di 21 anni abruzzese, la cui Causa di beatificazione iniziata il 2 marzo 1968, è in avanzata fase conclusiva. Santina nacque il 2 febbraio 1929 ad Alfedena (L’Aquila), settima dei nove figli di Giuseppe Campana e Margherita Di Palma, contadini del piccolo paese montano, situato nell’incantevole Parco Nazionale d’Abruzzo. La sua era una famiglia benedetta da Dio, perché ben cinque fratelli oltre lei, dei sette che superarono l’infanzia, ebbero la vocazione alla vita consacrata: Maria Rosaria nelle Suore della Carità (suor Alfonsa), Requilde e Domenica fra le Figlie della Divina Provvidenza (suor Paola e suor Giuseppa), Sabatino tra i Benedettini (don Bruno Maria) e Michele tra i Cappuccini (padre Leone). Tanta Grazia in una sola famiglia era anche il frutto delle intense preghiere di Santina Campana, che sin da piccola offriva a Dio i suoi piccoli sacrifici e le accorate preghiere, affinché il sorgere e la perseveranza delle vocazioni delle sorelle e dei fratelli, desse il suo frutto fino in fondo, scrivendo così una bellissima pagina sulla fede e spiritualità della famiglia Campana. Santina essendo una delle più piccole, dovette sobbarcarsi della fatica, certamente non leggera, dei lavori da fare in casa e fuori, per sostituire man mano i fratelli e sorelle, che si allontanavano per rispondere alla chiamata di Dio (c’era anche una mandria di 15 bovini e un gregge di 150 pecore). L’11 giugno 1936 a sette anni ricevé la Prima Comunione e dal suo ‘Diario’, a cui confidò nella sua breve esistenza tutti suoi sentimenti, apprendiamo che scrisse: “Gesù fammi morire giovane e fa che in Paradiso sia vestita di bianco con guarnizioni rosse”. Trovava comunque il tempo di frequentare la chiesa parrocchiale, alternando la preghiera con le funzioni di catechista e di segretaria della locale Sezione Aspiranti dell’Azione Cattolica Femminile; riusciva a visitare malati ed anziani e a sera radunava a casa un folto gruppo di bambini per la recita del rosario; in una gara di cultura religiosa riuscì prima assoluta in tutte la diocesi di Trivento. Innumerevoli sono gli episodi riferiti da familiari, amici e coetanei sulla sua devozione verso Cristo, la Madonna ed i Santi, sulle mortificazioni e penitenze che si infliggeva nonostante la giovanissima età. Nel settembre 1943 la pace del suo paese montano, fu scossa dagli eventi della Seconda Guerra Mondiale, che per l’Italia era in corso ormai da tre anni; le truppe tedesche avevano steso una linea di resistenza ad oltranza del fronte bellico, per cui Alfedena veniva ad essere direttamente coinvolta, la popolazione fu invitata a trasferirsi verso Roma, ma molte famiglie, fra cui quella di Santina Campana, il 19 settembre 1943 preferirono rifugiarsi nei boschi degli alti monti, adattandosi a vivere in casolari abbandonati in un lungo e freddo inverno, con il pericolo dei bombardamenti e con quello d’incontrare pattuglie tedesche che rastrellavano gli uomini per scavare trincee. Santina quasi quindicenne, divenne l’animatrice dei gruppi di fuggiaschi, anche se colpita nel frattempo da una grave pleurite con dolori diffusi e febbre alta, malattia che l’accompagnò per tutto il periodo della clandestinità; i gruppi riuscendo a superare sani e salvi il fronte, sotto un violento bombardamento, raggiunsero gli alleati dove ricevettero assistenza. Spostatosi verso il Nord Italia il fronte della guerra, il 26 giugno 1944 gli abitanti di Alfedena poterono ritornare al loro paese quasi distrutto, pure la famiglia Campana riprese l’attività interrotta nella piccola azienda agro-pastorale, ricostruendo gli edifici bombardati. Santina riprese più fervorosa e decisa la sua aspirazione a consacrarsi a Dio, come già per i suoi fratelli e sorelle; già dai 13 anni aveva fatto voto di verginità rinnovato ogni anno; consigliata anche dal fratello benedettino don Bruno, il 1° ottobre 1945 a 16 anni, lasciò Alfedena e accompagnata dalla madre si recò a Roma per essere ammessa come postulante fra le Suore della Carità, fondate da s. Giovanna Antida, lo stesso Ordine della sorella suor Alfonsa. Qui riprese gli studi interrotti alle classi elementari e con grande intelligenza e volontà recuperò in un anno i tre anni di scuola media, presentandosi come privatista al difficile esame e conseguendo il relativo diploma. L’8 settembre 1946 fu ammessa al Noviziato, prendendo l’abito religioso con sua grande gioia, che esprimeva nel suo continuo scrivere, soprattutto nel ‘Diario’, prezioso documento che attesta la sua intensa spiritualità e accettazione della volontà di Dio, qualunque essa sia, “Dammi o Gesù, un silenzio perfetto. Tu solo, mio Diletto, devi parlarmi al cuore…”; “Eccomi qui. Mi hai chiamata e sono venuta. Si, sono tua e sempre più tua voglio essere. Sono pronta a fare la tua volontà: amare e soffrire. Tutto qui è pace, tutto è amore, tutto mi fa pensare al Cielo, là quando saremo tutti riuniti nella vera gioia, che nessuno potrà toglierci…”. Ma l’edificante percorso non si completò con il prescritto anno, perché già il 25 marzo 1947, con una improvvida emottisi, si rivelarono i sintomi di una gravissima malattia polmonare; lei sempre serena e felice si sottopose agli esami medici e radiografici fra l’incredulità dei sanitari, che la vedevano florida, di un bel colorito roseo, alta e robusta, dotata di una singolare bellezza fisica. Purtroppo le radiografie confermarono che era affetta da una grave e violenta forma di tubercolosi polmonare, che le avrebbe dato poche settimane di vita. Invece Santina, trasferita al sanatorio “Villa Rinaldi” di Pescina (L’Aquila) il 16 luglio 1947, tra i suoi monti abruzzesi, respirando l’aria salubre, visse altri quattro anni; sradicata dal Noviziato e allontanata per sempre dal suo ideale di essere Suora, aderì con gioia alla volontà di Dio, che così si manifestava; “Anche la malattia è una grande Missione da compiere”. Le sue condizioni purtroppo non erano buone, la malattia era troppo avanzata per poterla fermare e ogni intervento chirurgico che si mise in atto, non fece altro che procurare nuove sofferenze, in un corpo attaccato da forti febbri fino a 42 gradi e che dagli iniziali 84 kg di peso era sceso a 48 kg. Sempre sorridente, diventò l’angelo del sanatorio, un vescovo che l’andava a trovare disse: “Quella figliola è un sorriso vivente. È come un prisma che riceve la luce da Dio e la riflette!”. Aveva instaurato un rapporto e un colloquio intimo con Dio e la sua anima rallegrata traspariva dal suo viso, nonostante le atroci sofferenze fisiche e morali. Organizzò una fiorente Azione Cattolica, che diresse come Presidente con energia e rare virtù. Fu Zelatrice delle Missioni che aiutava con ogni mezzo; si iscrisse all’Unione Cattolica Malati, assumendo il nome di “Sentinella della Croce”. Dal suo “trono bianco”, come lei chiamava il suo letto, pregava i dottori di non darle calmanti, perché voleva essere vigile e accettare con volontà e gioia il dolore. Aveva avuto il presentimento della sua morte e un paio di giorni prima fece informare il suo confessore padre Ireneo, che era giunta la sua ora. Assalita da tosse che le squassava il petto, emottisi frequenti, sudore diffuso, mancanza d’aria, Santina sempre lucida, confortava i presenti fra cui l’afflitta madre, giunta da Alfedena con il fratello don Bruno; il 4 ottobre 1950 dopo una giornata trascorsa a chiedere perdono a tutti, pregando e facendo pregare i presenti, lucidissima fino alla fine, Santina Campana lasciava questa terra per il cielo alle 22,05. Una strana sensazione di gioia profonda invase tutti i presenti, suore e sanitari, compreso la mamma e il fratello. Fu sepolta nella nuda terra nel cimitero di Pescina e la sua tomba divenne subito meta di pellegrinaggi. Crescendo la fama di grazie e prodigi dovuti alla sua intercessione, il 9 aprile 1977 il suo corpo fu riesumato e deposto in un sarcofago di travertino, donato per grazia ricevuta da un fedele di Tivoli; poi il 3 settembre 1977 fu traslato nella chiesa parrocchiale di S. Giuseppe in Pescina.
Autore: Antonio Borrelli
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