Anna Wang nacque nel 1886, nel villaggio di Maijiazhuang (o Machiazhuang), presso Weixian, nel sud della provincia dello Hebei. I suoi genitori, cristiani, la battezzarono in tenera età, ma, mentre sua madre era estremamente pia, il padre trascurava l’istruzione religiosa e la frequenza ai sacramenti. In ciò era appoggiato dalla sua anziana madre, che vessava la bambina costringendola a lavori durissimi, come andare a raccogliere la legna prima di andare a scuola.
A cinque anni, Anna perse, con la morte della madre, un sostegno nella fede. A scuola, però, ne trovò un altro: suor Lucia Wang, la sua maestra. Nonostante fosse, come detto, obbligata a lavorare, risultava una delle migliori allieve della classe, non solo nei risultati, ma anche nel profitto. Ad alcune compagne, povere come lei, che l’invitarono a rubare con loro delle spighe mature dai campi, la piccola rispose che nel Padre nostro si prega Dio affinché conceda il pane quotidiano.
Nella comunità cristiana era molto apprezzata, perché sapeva intonare con dolcezza i canti religiosi, in particolare l’Ave Maria, che le era stata insegnata dalla mamma. Anche in base a questo suo contributo, venne presto ammessa alla Prima Comunione.
Tempo dopo, il padre si risposò con una donna battezzata, ma irrispettosa come lui; di conseguenza, Anna non le risultava particolarmente gradita. Lei, però, amava ugualmente i suoi congiunti, arrivando a regalare, soprattutto alla nonna, i piccoli premi che le venivano consegnati a scuola.
Arrivata all’età di undici anni, venne promessa in sposa a un ragazzo che non conosceva. Il suo rifiuto fu deciso: voleva essere come suor Lucia. Interrogata dalla sua allieva su quel dilemma, la religiosa le suggerì di pregare con fede: se il Signore avesse voluto, sarebbe diventata sua sposa.
Ben altri, però, erano i problemi che Anna dovette affrontare. Nel 1900, infatti, esplose con violenza la rivolta cinese contro gli occidentali, promossa dalla Società Segreta dei Pugni e dell’Armonia, meglio nota come quella dei “Boxer”. Il Cristianesimo e tutti coloro che vi aderivano, anche nativi cinesi, vennero visti come pericolosi e destabilizzatori dell’armonia nazionale.
Quando i Boxer arrivarono a Majiazhuang, anzitutto incendiarono la chiesa del villaggio. Il capo della squadriglia pose gli abitanti del villaggio di fronte a un’alternativa: apostatare o affrontare la morte. In quel momento, Anna si trovava a scuola, dove udì, insieme a suor Lucia, il proclama del Boxer. Mentre la maestra incoraggiava le bambine ad affidarsi alla Madonna, lei era serena, con la coscienza tranquilla.
Suo padre, invece, pensò bene di metterla in salvo, rifugiandosi con lei in un villaggio vicino, nell’abitazione del suo mancato promesso sposo. Temendo di rimanere compromessa in qualche maniera, la ragazzina tornò a casa sua, per cercare di convincere la matrigna a perseverare nella fede e la nonna a non aver paura di morire. Neanche quell’ambiente, quindi, sembrava ideale per lei. Così, nottetempo, Anna raccolse le sue poche cose e scappò verso la scuola, non prima di essere passata presso la tomba della mamma.
Arrivata in quel luogo che pensava sicuro, non vi trovò suor Lucia, fuggita altrove con le allieve, ma un anziano, Giuseppe Wang Yumei. Era il custode della casa dei missionari e, in quel momento, faceva la guardia alla scuola, per difendere alcune donne che vi si erano rifugiate. Accolta calorosamente perché riconosciuta come la fanciulla che cantava in chiesa, Anna vi trascorse il tempo esortando le presenti e pregando con fervore, soprattutto quando, verso l’alba, arrivava un sacerdote per la celebrazione dell’Eucaristia.
I roghi appiccati dai Boxer, però, si facevano sempre più vicini. Quando i soldati arrivarono, Giuseppe disse alle presenti, tra le quali vi erano alcune madri di famiglia con i loro bambini, di rifugiarsi nel sotterraneo della scuola; lui avrebbe cercato di sviare gli aggressori accogliendoli sull’ingresso principale. Dato che si rifiutava di parlare, il capo ordinò di sparare contro le finestre dell’edificio: il fragore dei vetri spaventò i bambini, che, urlando, fecero scoprire il nascondiglio.
Tutti i presenti vennero quindi costretti a salire su di un carro e condotti al villaggio dov’era ospitato il quartier generale dei Boxer. Anna assistette all’interrogatorio a cui furono sottoposti l’anziano custode e Lucia Wang, madre di Andrea, nove anni, e di una bambina più piccola. Il primo a morire fu Giuseppe Wang, colpito alla gola da una lancia e decapitato.
Dato che i prigionieri inorridivano, ma non si smuovevano, i persecutori adottarono un sistema per farli cedere: separarono i figli dalle madri, poi li condussero in una saletta adiacente a due stanze. Una, situata ad ovest, era indicata da un cartello con scritto “Liberazione”, dove i soldati avevano ammassato giocattoli, ventagli e altre mercanzie; se vi fossero entrati, sarebbero stati salvati. L’altra, a est, era contrassegnata dalla scritta “Morte”.
Di fronte alla perplessità dei piccoli, venne deciso di far venire alcune delle donne e di porle di fronte alla medesima scelta. La matrigna di Anna, che era fra di loro, apostatò e segnalò la presenza della figliastra; i soldati, quindi, le ordinarono di condurla con sé nella stanza ad ovest. La fanciulla inizialmente la seguì, poi, vedendo che le sue parole non sortivano effetto, tornò indietro, mescolandosi alle altre compagne. Così racconta il salesiano don Eugenio Pilla, nella biografia intitolata «Giglio purpureo di Tai-Ning», pubblicata dalle Edizioni Paoline nel 1960.
Altre fonti, invece, affermano che le stanze erano solo due, senza quella in mezzo, e che, quando la matrigna entrò nella stanza della liberazione, improvvisamente si voltò e, tirando Anna per un braccio, volle trascinarla con sé. Lei, aggrappandosi agli stipiti della porta, gridò: «Io credo in Dio. Sono cristiana. Non voglio rinunciare a Dio. Gesù, salvami!». La stessa frase è attestata anche come: «Voglio credere in Dio. Voglio essere cattolica. Non voglio lasciare la Chiesa! Gesù, aiutami!».
Le madri che non avevano apostatato subirono una nuova minaccia: tornare alla religione degli antenati, o essere sepolte vive insieme ai figli; lo stesso valeva per le ragazze. Venne quindi loro concessa una notte di riflessione.
Osservando le candele che illuminavano la stanza dov’era rinchiusa con gli altri, Anna commentò: «Queste candele vengono dalla chiesa. Guardate quanto sono belle queste fiamme! Comunque, la gloria del paradiso è milioni di volte più gloriosa di queste belle fiamme!». Così dicendo, le guidò nella preghiera della sera.
L’indomani, il 22 luglio 1900, donne e bambini vennero condotti in uno spiazzo, dove erano state preparate delle fosse. Prima avevano subito un nuovo interrogatorio a cui non risposero, perché incoraggiate dallo sguardo di Anna. I soldati dissero loro che, se fossero rimaste ostinate nel loro proposito, sarebbero dovute entrare nelle fosse insieme ai figli.
Le donne avanzarono, ma la ragazza suggerì loro, a voce bassa, d’inginocchiarsi rivolte verso la chiesa del villaggio. Il capo, allora, ordinò che tutte venissero colpite con la spada, a cominciare dalle più anziane, e spinte nelle buche. Una delle ultime a cadere fu Lucia Wang, che, dopo aver nuovamente dichiarato di essere cristiana e che lo era anche il figlio Andrea, disse ai suoi carnefici che avrebbero dovuto uccidere prima lui. Così fecero: dapprima decapitarono il bambino, poi sua madre e sua sorella minore.
Venuto il turno delle più giovani, Anna si preparò intensificando la propria preghiera, proprio come quando era nella sua chiesa. Il capo dei Boxer, di nome Song, a quella vista si arrestò, rifletté un momento, poi ordinò alla ragazza di lasciare la sua religione. Immersa nell’orazione, lei non lo sentì neppure. L’uomo, allora, le toccò la fronte e ribadì la sua richiesta. Anna si riscosse, fece un passo indietro e gridò: «Non toccarmi!». Subito dopo, si calmò e disse: «Sono cattolica. Non rinnegherò mai Dio. Preferisco morire».
Il soldato, allora, le propose che, se avesse apostatato, l’avrebbe data in moglie a un uomo molto ricco. La ragazza replicò: «Non lascerò mai la mia religione. Inoltre», disse, indicando il villaggio e la sua chiesa, «sono già stata promessa in sposa», riferendosi sia al Signore, sia alla sua parrocchia, vale a dire alla Chiesa.
Furibondo, Song le tagliò un pezzo di carne dalla spalla sinistra e ribadì la sua richiesta, ma, al ricevere un ulteriore rifiuto, tranciò di netto il braccio sinistro. Anna, rimasta inginocchiata, disse sorridendo: «La porta del paradiso è aperta per tutti». Poi, sussurrando tre volte il nome di Gesù, offrì il collo al carnefice.
Un testimone oculare dichiarò che, dopo la decapitazione, il resto del corpo rimase ritto sulle ginocchia per parecchio tempo e non cadde finché un soldato non gli diede un calcio. Un’altra testimone, una donna anziana che conosceva molto bene la ragazza, affermò di aver visto la sua anima andare in cielo, vestita di un abito di seta azzurro e verde, con una corona di fiori sul capo.
Il 6 novembre 1901 si procedette alla riesumazione dei cadaveri, per concedere loro una degna sepoltura. Padre Albert Wetterwald, che presiedeva alla cerimonia, scrisse nella sua relazione: «Quando gli incaricati, lavorando con precauzione, tra un silenzio solenne tolsero lo strato di terra che ricopriva i cadaveri; allorché tutti gli sguardi avidi videro apparire confuse, ma intatte le membra e le teste delle vittime, fu un grido solo di ammirazione e di dolore insieme. I pagani gridavano al miracolo. I cristiani piangevano, ma più di gioia che di tristezza».
Dopo i solenni funerali, i compaesani di Anna iniziarono ad invocare la sua intercessione, che fu comprovata da numerose grazie singolari. Sul piano delle guarigioni spirituali, invece, i primi a beneficiarne furono proprio i familiari che tanto aveva amato nonostante tutto: la nonna morì santamente, mentre la matrigna ridiventò cattolica. Il padre, tornato anch’egli alla fede, rimase cieco: pregò la figlia che gli ridonasse la vista, ma non accadde. Accettò, quindi, quella condizione per espiare le sue colpe.
La causa di canonizzazione per Anna Wang venne inserita in quella del gruppo capeggiato dal gesuita padre Leone Ignazio Mangin e composto in tutto da cinquantasei martiri. Il riconoscimento del loro martirio venne sancito il 22 febbraio 1955. Il 17 aprile dello stesso anno, domenica “in albis”, si svolse invece la beatificazione. La canonizzazione del gruppo, inserito nel più ampio elenco dei 120 martiri cinesi, avvenne invece il 1 ottobre 2000.
Autore: Emilia Flocchini
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