La storia della famiglia illustre dei Gradenigo, s’intreccia con la storia di Venezia e della sua Repubblica sin dalle origini e che affonda nella storia di Aquileia e del patriarcato di Grado, da cui alcuni studiosi fanno derivare l’origine etimologica del casato Gradenigo. Si ha notizia di un Gradenigo partecipante all’elezione dogale ad Eraclea nel 697; durante il Medioevo li ritroviamo in oscuri episodi come l’uccisione del doge Pietro Tradonico nell’864, oppure in episodi di pietà, che coinvolgono il beato Giovanni Gradenigo, il quale con la sua intercessione ottenne la pietosa ricomposizione e la cristiana sepoltura delle salme del doge Pietro Candiano IV e del suo figlioletto, che assassinati, erano rimasti esposti alla pubblica ignominia in piazza delle Beccherie. La famiglia, quasi una ‘dinastia’, prosegue la sua ascesa nella vita sociale veneziana, fino a raggiungere fra il 1232 e il 1285 con tre duchi, il potere interno e fra il 1289 e il 1356 il massimo del potere con tre dogi, instaurando così ‘l’età dei Gradenigo’ che vide la ‘Serenissima’ stabilizzarsi sia all’interno che sulla terra ferma. La storia della famiglia continuerà con alterne vicende, con alti e bassi, fino al declino del luminoso crepuscolo della Repubblica Veneta. Come già detto a questa millenaria e illustre famiglia appartenne il beato Giovanni di cui si sa che visse nel periodo della tragica morte del doge Pietro Candiano IV, avvenuta nel 976. Verso il 978, fuggì da Venezia insieme con s. Romualdo, l’eremita Marino, il beato Giovanni Morosini e col doge Pietro Orseolo, diretti verso il monastero cluniacense di Cuxa nei Pirenei Orientali. Qui ebbe per un anno l’esperienza monastica sotto la guida dell’abate Guarino e poi l’esperienza eremitica come discepolo di s. Romualdo attuata nell’eremo di Longadera, attiguo al monastero, con una vita dedita al lavoro agricolo e alla penitenza. Per incarico di s. Romualdo, fondatore dei Camaldolesi, si spostò insieme a Guarino al cenobio di Ravenna. Nel 988 s. Romualdo ritornò in Italia e incaricò Giovanni di accompagnare il conte di Vich, Óliba Cabreta, al monastero di Montecassino perché voleva farsi monaco e dicendogli di rimanere con lui per fargli da guida spirituale. Giovanni Gradenigo, però dopo un po’ decise di accompagnare Guarino nel pellegrinaggio in Terra Santa, ma un po’ distante dal monastero il cavallo di Guarino disarcionò l’instabile cavaliere e diede un calcio a Giovanni, fratturandogli una gamba, il quale vide in ciò la volontà di Dio di non abbandonare Montecassino. Si costruì vicino al monastero una chiesetta dedicata alla Vergine, vivendo una vita eremitica; tanti monaci, abati, ecclesiastici, un futuro papa si rivolsero alla sua scuola; è ricordato per i suoi digiuni, le sue grandi virtù, l’avversione che aveva per le mormorazioni. Morì agli inizi dell’XI secolo e sepolto nella chiesetta, compì alcuni miracoli; il catalogo dei santi del patriarca veneziano Tiepolo del 1620, lo ricorda al 5 dicembre, come pure in tutti i calendari benedettini.
Autore: Antonio Borrelli
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