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Beata Anna Maria Adorni Fondatrice

7 febbraio

Fivizzano, Massa Carrara, 19 giugno 1805 - Parma, 7 febbraio 1893

Nella vita di Anna Maria Adorni c’è un episodio che la fa rassomigliare a santa Teresa d’Avila: la fuga da casa, a 7 anni, assieme a una compagnetta, col desiderio di andare lontano lontano (la piccola sognava le Indie) per salvare anime. La situazione familiare non le permise subito di consacrarsi a Dio, come avrebbe desiderato, ma la vita coniugale e familiare fu da lei vissuta con pienezza di dedizione. Rimasta vedova a 39 anni, decise di consacrarsi alla carità, pur restando nel mondo, dedicandosi all’assistenza volontaria nelle carceri femminili. In tale opera seppe coinvolgere altre dame, fino a fondare una 'Pia Unione di dame visitatrici delle carceri'. Al lavoro dentro il recinto carcerario, si affiancò poi la gestione di una 'Casa del Buon Pastore' per le detenute che venivano dimesse e altre donne in situazione di particolare pericolo o abbandono. Soltanto nel 1857 Anna Maria si decise a fondare una famiglia religiosa, dedita all’assistenza delle 'donne cadute'. Nacque così la Congregazione delle Ancelle dell’Immacolata, oggi diffuse in tutta Italia e nell’Europa dell’Est. A tutte le sue figlie e compagne, madre Adorni dava esempio di dedizione senza limiti, ma riuscendo – come lei stessa gioiosamente affermava – a non interrompere mai la preghiera. Aveva fatto perfino il proposito di agire sempre «con la maggior perfezione possibile», e lo manteneva, come se fosse la cosa più normale del mondo. Per la sua capacità di pregare senza interruzione (come se la preghiera fosse il respiro stesso della sua azione) la chiamavano «Rosario vivente». A tutti diceva: «Se c’è nella vita una persona felice, quella sono io». È stata beatificata nel Duomo di Parma nel 2010.



"Al tramonto della vita saremo giudicati sulla carità". Così scrisse il mistico dottore S. Giovanni della Croce, commentando le parole del Vangelo, nelle quali Cristo affermò che nell'ultimo giorno avrebbe considerato come suoi coloro che lo avessero riconosciuto con la fede e circondato di carità nei più piccoli dei suoi fratelli, accogliendolo in essi come ospite, ricoprendolo nudo, visitandolo infermo e carcerato, soccorrendolo nella fame e nella sete. Questo, con santa e infaticabile attività, operò fino a tarda età la Serva di Dio Anna Maria Adorni, la cui vita fu un completo ininterrotto dono di carità verso le membra più umili di Cristo.

Nata il 19 giugno 1805 a Fivizzano, nel territorio dell'odierna diocesi di Pontremoli, ebbe come genitori Matteo Adorni ed Antonia Zanetti, pii cristiani, i quali quattro giorni dopo la nascita fecero rigenerare in Cristo la figlia col battesimo, educandola poi secondo gli insegnamenti della fede. Desiderosa di annunciare il nome di Cristo, a sette anni appena, lasciò con una compagna la casa, con l'intenzione di raggiungere le Indie per salvare le anime. Ricondotta subito a casa, venne formata specialmente dalla madre ad orientare la sua vita secondo il Vangelo ed avviata ai lavori femminili, fìnchè, morto il padre nel 1820, dovette trasferirsi a Parma con la madre, e fu scelta all'ufficio di istitutrice presso la famiglia Ortalli. Mentre pensava di abbracciare la vita religiosa tra le monache Cappuccine, in ossequio alla madre che si opponeva al pio desiderio, il 18 ottobre 1826 sposò il distinto Signor Antonio Domenico Botti, addetto alla Casa Ducale di Parma, al quale diede sei figli, tutti morti in tenera età, ad eccezione di Leopoldo che poi abbracciò la vita monastica nell'Ordine Benedettino. Il 23 marzo 1844 rimase vedova del marito, che aveva circondato di vero amore. Lo pianse piamente, ritenendo la sua morte come via della volontà di Dio, attraverso la quale condurre fìnalmente una vita consacrata a Dio solo. Tuttavia non entrò in alcun Istituto religioso; per consiglio del confessore, intraprese un cammino di carità a sollievo specialmente delle carcerate, per le quali fu in Cristo madre e sorella. Le avvicinava con umiltà, le ascoltava con affabile serenità, le consolava con parole ed aiuti, le ammaestrava con gli insegnamenti della fede, le innalzava con la speranza e la preghiera alle cose celesti, in modo tale che il carcere sembrava cambiato in un convento. Molte signore, attratte dagli esempi della Serva di Dio, la imitarono nel compimento della sua opera di carità, con la Associazione, riconosciuta canonicamente dal Vescovo nel 1847 ed approvata dalla Duchessa di Parma, chiamata: "Pia Unione delle Dame visitatrici delle carceri sotto la protezione dei Santissimi Cuori di Gesù e di Maria". Santamente sollecita anche delle donne dimesse dal carcere, Anna Maria potè prendere in affitto una casa per loro e per le fanciulle pericolanti ed orfane. L'opera prese ispirazione dal "Buon Pastore" -come poi fu chiamata - e per essa, superando innumerevoli difficoltà, trovò una sede adatta il 18 gennaio 1856 nell'antico convento delle monache Agostiniane, dedicato a San Cristoforo.

Per provvedere in maniera più idonea all'opera iniziata, pensò di fondare una famiglia religiosa, i cui membri alimentassero quella fiamma di carità che lo Spirito Santo aveva acceso nel suo cuore. Pose le fondamenta del nuovo Istituto il 1° maggio 1857 con otto compagne; nel 1859 pronunciò con esse i sacri voti privati di castità, obbedienza e povertà e con nuovo saldissimo voto religioso consacrò la vita al recupero delle donne cadute, alla tutela delle pericolanti, alla materna assistenza delle derelitte e delle orfane. Date sapienti Regole al nuovo Istituto, fu nominata superiora delle Sorelle. Le precedette con gli esempi di tutte le virtù e soprattutto di una intensissima carità, ammirevole per la attività e totale donazione di sè nelle cose più difficili e più umili.

Il 25 marzo 1876 il Vescovo di Parma Domenico Villa eresse canonicamente l'Istituto del Buon Pastore in Congregazione religiosa, sotto il titolo di "Pia Casa delle Povere di Maria Immacolata" e le Regole vennero confermate il 28 gennaio 1893 dal suo successore, Andrea Miotti. La Serva di Dio, sempre intenta con animo giovanile alle opere di carità, colpita da paralisi di breve durata, il 7 febbraio 1893, notissima per fama di santità, in Parma passò da questo mondo al Padre, per ricevere il premio riservato a coloro che vedono, amano ed aiutano Cristo nei poveri e negli infelici.

Tutta la vita della Serva di Dio fu esercizio di intensa carità, con cui si sforzò di imitare il Salvatore, il quale " ci amò e diede la sua vita per noi ". Ebbe come fonte inesauribile di amore la comunione con Dio,alla cui presenza sempre camminò.

Come essa stessa confessò in vecchiaia, già da molti anni Dio le aveva concessa la grazia di non distogliersi mai dall'intima comunione con Lui, in modo tale che, benchè piena di occupazioni, dedita all'educazione delle fanciulle, impegnata in colloqui ed occupata da affari di ogni genere, mai si dimenticò di Dio presente in lei. Infatti pregava sempre e in "ogni circostanza, veramente degna di essere chiamata comunemente dalle sue figlie "Rosario vivente", come se questo fosse il suo nome. Era attratta da singolare devozione all'Eucarestia; partecipando ad essa con fede, alimentava la carità ed anche le forze fisiche, colle quali soccorreva attivamente tutti i bisognosi nelle loro necessità. Non vi era in essa alcuna frattura tra contemplazione ed azione; con la stèssa fede e carità tendeva a Dio nella preghiera e comunicava con Cristo vivente negli infelici, ricercandolo e servendolo in loro, nè poteva mai separarsi dal suo amore.

Con l'aiuto di Dio, potè raggiungere questo in forza della grande fedeltà per la quale fece il proposito, e lo praticò fino in fondo, di fare sempre le cose più perfette, di cercare con le opere la gloria di Dio, di morire a se stessa in tutto e di servire attivamente i fratelli. Poverissima per sè, ma ricchissima per gli altri, disprezzò l'oro e l'argento, di cui tuttavia si servì con grande liberalità quando si trattava di lenire dolori e distogliere le anime dal peccato. Sostenne innumerevoli difficoltà e contrarietà, e non ne fu mai abbattuta;accoglieva le tribolazioni come dono col quale poter godere nella speranza, e rianimare lo spirito dei fratelli contro ogni disperazione. Di qui l'invitta fortezza della Serva di Dio in tutto, l'inalterabilità dello spirito anche nelle avversità, la dolcezza dei modi unita ad una santa affabilità; sapeva infatti che non sarebbe stato deluso nessuno che avesse posto la sua fiducia in Dio e avesse speso generosamente la propria vita al suo servizio. Di qui anche la sua costante perseveranza fino alla morte, nelle iniziative destinate soprattutto a sollevare le miserie delle donne. Consacrata in tutto alla carità per vocazione ed opere, sentI intensamente come suo maggior impegno di ripetere in sè l'immagine del Salvatore, veramente felice allorquando, divenuta un angelo vivente, abbracciava nella carità tutti quelli che soffrivano nel corpo e nello spirito e li affidava all'amore di Cristo.

La fama della santità della Serva di Dio non si affievolì dopo la morte e infine, nell'anno 1940, per disposizione del Vescovo, si istruì presso la Curia di Parma il processo informativo sugli scritti e il "non culto" della Serva di Dio; gli atti furono trasmessi a Roma per essere discussi secondo le norme del diritto.

Il 15 dicembre 1977, fatta relazione al Sommo Pontefice Papa Paolo VI, Sua Santità, considerato il responso della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, ordinò che si stendesse il Decreto sulle virtù eroiche della Serva di Dio, che fu dichiarata Venerabile.


Autore:
Padre Guglielmo, Postulatore

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Aggiunto/modificato il 2012-02-07

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