† Paimol, Uganda, 18-20 ottobre 1918
La Chiesa ricorda oggi due catechisti proclamati beati da Giovanni Paolo II nel 2002: si tratta dei martiri ugandesi Davide Okelo e Gildo Irwa, figure molto significative in questo ottobre missionario. Erano poco più che ragazzini quando nel 1917 si presentarono al comboniamo padre Cesare Gambaretto offrendosi come volontari catechisti per la missione di Paimol, rimasta sguarnita dopo l'uccisione del fratello di Davide, Antonio. Battezzati e cresimati da pochi mesi, avevano appena diciotto (Davide) e quattordici anni (Gildo). Alle resistenze del missionario, titubante perché conosceva bene il pericolo cui andavano incontro, il più piccolo rispose: «Padre, non temere. Gesù e Maria sono con noi». A Paimol si diedero subito da fare. Di Gildo si racconta che coinvolgesse i ragazzi anche con piccoli giochi. Furono uccisi il 18 ottobre 1918 da due guerrieri locali. Avrebbero risparmiato loro la vita se avessero abbandonato il villaggio. Ma per loro era troppo importante annunciare quel Gesù appena incontrato. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel villaggio di Paimol presso la missione di Kalongi in Uganda, beati Davide Okelo e Gildo Irwa, catechisti e martiri, che, trafitti con la lancia dai pagani del luogo per essersi adoperati spontaneamente nell’opera di evangelizzazione del popolo, manifestarono con il loro intrepido martirio la potenza di Cristo.
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Non avevano neanche 18 anni, per la precisione 16 anni Daudi Okelo e 13 anni circa Jildo Irwa, i due giovanissimi catechisti ugandesi, che il papa Giovanni Paolo II ha beatificato il 20 ottobre in piazza S. Pietro.
Significativamente il loro stendardo che li raffigurava, scendeva dalla loggia centrale della basilica al centro della sfilata di stendardi di altri sei nuovi beati; sono i primi catechisti africani saliti agli onori degli altari.
I missionari comboniani fondati in Italia dal beato Daniele Comboni, tentarono più volte dal 1878 al 1915 di giungere nella Regione del Nord Uganda, ben tre spedizioni fallirono, finché nel 1915 i primi missionari giunsero prima a Gulu e poi a Kitgum dove stabilirono delle missioni e a quella di Kitgum appartenevano i villaggi natali di Daudi Okelo e Jildo Irwa e soprattutto il luogo del loro martirio, il villaggetto di Mutu.
Essi appartengono al popolo Acholi, l’etnia più numerosa e geograficamente più consistente del Nord Uganda; l’ambiente, il luogo e il tempo in cui nacquero e vissero i due giovani, era quello tradizionale dell’Africa degli inizi del secolo, con le sue strutture immemorabili, che dovevano fare i conti con una presenza straniera inglese sempre più incombente, con i protestanti e per ultimi, i missionari cattolici.
Daudi nacque nel 1902 ca. nel villaggio di Ogom-Payra da genitori pagani, fu tra i primi a contattare i missionari e venne battezzato il 6 giugno 1916, il missionario padre Gambaretto lo descrive come un giovane serio e timido, sul quale influì positivamente il fratellastro Antonio, cristiano esemplare.
Jildo Irwa invece era più giovane, nato non oltre il 1906 a Labongo Bar-Kitoba, fu battezzato e cresimato nel 1916 insieme a Daudi, di lui diceva il padre, che preferiva passare i suoi giorni alla missione con i Padri e ritornava talora a visitare i suoi ad aiutarli nel lavoro dei campi. Padre Gambaretto lo ricorda come un ragazzo gioviale, gentile e dotato di bella intelligenza.
I missionari tendevano ad istruire catechisti del luogo, per una più efficace propagazione della dottrina cristiana; Daudi aveva in famiglia già il fratellastro Antonio che era catechista a Paimol; non si sa bene il perché ma Antonio morì, forse ucciso, e Daudi andò a Paimol a raccogliere le poche cose personali rimaste, verso la fine del 1916 inizi del 1917, proponendo poi ai padri di sostituirlo.
Un anno dopo fu scelto Jildo per affiancare Daudi che era rimasto solo a fare il catechista a Paimol; i genitori e gli stessi missionari però erano incerti di mandarlo, così piccolo (12 anni) in un posto distante 80 km, in situazioni sociali difficilissime per la presenza di rivoltosi locali ed elementi musulmani (Abas) procacciatori di oro bianco (avorio) e oro nero (schiavi).
I due giovanetti insistirono per restare insieme e rispondendo che se li avessero ammazzati sarebbero andati in paradiso, già c’era andato anche Antonio. La loro situazione nel villaggio di Mutu dove erano stati destinati, per un anno andò bene, operavano discretamente, visitando i fedeli, insegnando con semplicità il catechismo e lavorando nei campi per sostenersi, tra la stima e il benvolere di tutti.
Ai primi del 1918 la situazione cambiò, per lotte che si instaurarono fra il capo del villaggio accusato di nascondere armi dagli inglesi, ma poi liberato perché innocente e il capo che nel frattempo era stato imposto; lo scontro fu alimentato da mercanti musulmani e rivoltosi locali e trasformato abilmente dagli stregoni in scontro antireligioso.
Il capo catechista Bonifacio arrivato a Paimol si rese conto che la situazione stava precipitando, costatando un astio contro la nuova religione, mai prima di allora avvertito; quindi suggerì ai due giovani catechisti di fuggire, cosa che fece anche lui; sarà un testimone d’eccezione del loro martirio.
I giovani furono sollecitati a tornare al loro villaggio, ma Daudi rispose che loro stavano là per insegnare al popolo la religione, compito che avrebbe svolto con chiunque fosse stato a capo del villaggio, erano stati collocati lì dal Signore e solo Lui poteva rimuoverli; così Daudi fu ucciso, allora Jildo disse “ se avete ucciso lui, perché lasciate stare me? Anche io sono insegnante di religione” allora fu preso e ucciso anche lui.
Dopo la loro uccisione avvenuta fra il 18 e il 20 ottobre 1918, si scatenò una reazione violenta contro chiunque fosse cristiano o portasse segni religiosi; l’odio alla fede che era stato abilmente nascosto, poteva ora manifestarsi senza freni.
Successivamente negli anni la Comunità cattolica locale ugandese ritrovò la sua fede, stringendosi attorno alle figure dei due martiri, perché di martiri si tratta, essi pur essendo giovani da così poco tempo convertiti e destinati ad una vita cariche di promesse per il futuro, affrontarono le ore che precedettero la loro morte con fortissima determinazione e con una fedeltà veramente stupefacente.
Essi vanno ad aggiungersi a quella schiera di santi e beati, che stanno onorando l’Africa cattolica in tutti i campi, compreso il martirio.
Autore: Antonio Borrelli
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