Il contesto storico
Dalla grande carneficina che fu la seconda guerra mondiale, con tutto il suo strascico di orrori contro l’umanità, spuntano ormai con frequenza tante belle figure di sacerdoti, religiosi, laici che hanno testimoniato la loro fede cattolica e l’amore per i fratelli sofferenti, a qualunque parte dei belligeranti appartenessero.
I giovani vissuti in quegli anni bui furono i più colpiti, ma tra di essi ci furono anche eroi silenziosi, capaci di pagare con la vita la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa, o comunque di spendere i loro anni migliori per un ideale più alto. È il caso, ad esempio, di Gino Pistoni.
Infanzia e prima educazione
Nacque a Ivrea, nell’omonima diocesi e in provincia di Torino, il 25 febbraio 1924. Era il secondo dei quattro figli di Dante Giacomo Pistoni e Maria Ferrando, gestori di un negozio di casalinghi. Fu battezzato il 28 febbraio, tre giorni dopo la nascita, nella Cattedrale di Ivrea, coi nomi di Luigi Adolfo.
Gino, come lo chiamavano i familiari, stava bene con loro, dimostrando un affetto tenero e rispettoso. I genitori, dal canto loro, fecero in modo di garantirgli il meglio che si potesse desiderare per un’educazione cristiana e una formazione umana completa.
Iniziò quindi le elementari all’Opera Pia Moreno, gestita dalle Suore di Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea. Il 25 maggio 1931 ricevette la Prima Comunione e la Cresima nella Cattedrale di Ivrea.
Frequentò poi le prime classi del ginnasio al Collegio salesiano «Giusto Morgando» di Cuorgnè. Infine, concluse le superiori al Collegio «San Giuseppe» di Torino, retto dai Fratelli delle Scuole Cristiane. Non era uno studente eccellente, ma andava bene nelle materie tecniche commerciali, in matematica, storia e geografia. Alla fine si diplomò ragioniere con ottimi voti.
Socio di Azione Cattolica
Nel 1942, Gino ebbe una vera svolta: invitato da alcuni amici, entrò nelle file dell’Azione Cattolica della città di Ivrea. Gradualmente la sua esistenza si rivestì di entusiasmo, la sua fede divenne contagiosa, la sua allegria si fece esplosiva e coinvolgente.
Conobbe quindi personalità eminenti nella formazione della gioventù: sacerdoti come l’assistente ecclesiastico di Azione Cattolica don Mario Vesco o come il rettore del Seminario di Ivrea, don Cesare Meaglia, che divenne il suo confessore abituale; ma anche laici, come il professor Giovanni Getto, presidente diocesano. Queste figure e altre lo guidarono a mettere in pratica il triplice programma dell’associazione: «Preghiera, Azione, Sacrificio».
A Gino fu subito affidata la segreteria del centro diocesano, a stretto contatto con l’assistente diocesano e il gruppo dirigente, che assistettero sbalorditi alla metamorfosi della sua vita, sconvolta dall’incontro con Gesù. Preciso nei calcoli e nell’organizzazione, non lo era altrettanto nella redazione dei verbali, ma sentiva di dover mettere a disposizione tutte le sue doti migliori.
La sua spiritualità
Gino alimentava la sua fede anche grazie alle letture spirituali. Su una copia dell’«Imitazione di Cristo», ad esempio, sottolineò una frase: «O Signore, insegnami a fare la tua volontà, insegnami a stare degnamente ed umilmente in tua presenza».
Spesso lo si vedeva in preghiera, nel Duomo della sua città o in qualche chiesetta di montagna. Era pure molto devoto alla Madonna: recitava non solo il Rosario, ma anche il Piccolo Ufficio, perfino quando giocava a calcio da portiere.
Riceveva la Comunione quotidianamente, anche se faceva fatica ad alzarsi presto per arrivare in tempo alla Messa in Duomo. Un giorno arrivò a chiedere alla sorella Laura: «Ti do il permesso di spruzzarmi con l’acqua, aprire le persiane, tutto ciò che vuoi, purché mi svegli!».
Don Meaglia, il suo direttore spirituale, poteva quindi ben dire che Gino «È un giovane che ha saputo rispondere generosamente al primo impulso della Grazia, dire di sì a Cristo che gli passava accanto».
Sentiva, comunque, la distanza che lo separava dai suoi coetanei. Un giorno, l’amico Giovanni Getto gli confidò le sue impressioni circa quei giovani che, invece di adoperarsi per grandi ideali, oziavano sulla spiaggia in costume da bagno, impegnati in conversazioni futili. Con una punta di dispiacere per loro, Gino commentò: «Anch’io sarei ora così, se non avessi trovato l’Azione Cattolica…».
Sportivo energico
Gino si fece conoscere ed apprezzare, oltre che per la cura scrupolosa della propria formazione religiosa e per il suo impegno costante negli studi e nei doveri umani e cristiani, per la sua abilità nelle attività sportive. Pieno di vita e dotato di un fisico atletico, praticava con successo il calcio, il basket, lo sci e l'alpinismo.
«Come giocatore di pallacanestro era fra i migliori giocatori della squadra di Ivrea, ma lo sport che soprattutto amava era l’alpinismo, inteso oltre che come palestra di muscoli e lotta a tu per tu con le difficoltà della montagna, anche come mezzo di elevazione dello spirito e di avvicinamento a Dio», ricordano ancora oggi gli amici di allora.
L’apostolato focoso ed entusiasta di Gino
Tutto il suo tempo libero, ormai, venne interamente dedicato ad annunciare e diffondere l’amore di Gesù nelle parrocchie, nei circoli, anche nella sua squadra di basket. Che, anzi, nel settembre 1943 arrivò a “tradire” per dare la precedenza ad una “Tre Giorni” dell’Azione Cattolica ad Asti. La delusione dei compagni per la sua assenza in campo si trasformò in segreta ammirazione per la scelta che aveva saputo fare, dimostrando con una rinuncia, per lui dolorosa, che non si tiene il piede in due staffe.
Gli amici lo chiamavano «Gino, l’entusiasmo», oppure «Gino, l’apostolo di fuoco», per cercare in qualche modo di descrivere tutta la carica di ottimismo e di gioia che porta con sé e che riesce a trasmettere agli altri. Non sapevano, però, quanta fatica avesse dovuto fare per vincere la sua ritrosia a parlare in pubblico, lui che per natura era un timido e preferiva molto più i fatti alle parole.
Il servizio militare
Il periodo del suo intenso apostolato era funestato dallo svolgersi della seconda guerra mondiale: Gino girava con la bicicletta, anche perché di macchine se ne vedevano poche. Sognava di avere, quando fosse finita la guerra, una motocicletta, così da poter visitare più in fretta i circoli e le sezioni dell’Associazione.
In tutta questa devastazione, il giovane, all’inizio del 1944, ricevette la cartolina precetto. Si presentò subito al Distretto militare, anche se avrebbe potuto invocare l’esonero per un ginocchio malandato o, semplicemente, scegliendo di lavorare in una fabbrica di attrezzature belliche. «Non vorrò mai che si dica che noi dell’AC non sappiamo amare la patria», disse all’amico Depaoli, aggiungendo: «Sappiamo pur dare qualcosa a questo grande ideale».
Dal 30 aprile al 26 giugno 1944 Gino visse in caserma, arruolato nella Guardia Nazionale della cosiddetta Repubblica di Salò, destinato alla fureria e al magazzino.
In breve tempo, trasformò la sua camerata, portandola a diventare l’unica che ogni sera recitava il Rosario. Trascinò poi l’intera caserma a “fare Pasqua”, ossia alla Comunione pasquale. Alle 7.15, immancabilmente, era sotto la finestra di Depaoli, per andare con lui alla Messa in Duomo.
Nella Società Operaia del Getsemani
Nello stesso periodo, Gino aderì alla Società Operaia del Getsemani, fondata nel 1942 dal presidente nazionale di Azione Cattolica, Luigi Gedda, come movimento di spiritualità in seno all’Associazione.
Il Giovedì Santo del 1944, a Torino, Gino partecipò alla celebrazione dell’Ora Getsemanica, durante la quale fede il suo ingresso nella Società Operaia. In una preghiera, scritta in quell’occasione, espresse così il suo rendimento di grazie:
«Il mio cuore oggi eleva a Te, O Gesù, un inno di lode e di ringraziamento per le molteplici e sublimi grazie che visibilmente mi hai elargito in abbondanza in questi ultimi anni.
Ti ringrazio di avermi chiamato, due anni fa, a far parte dell'azione cattolica [sic], e di aver dato alla mia vita, prima di allora veramente vuota, uno scopo che la rendesse degna di essere vissuta.
Questa trasformazione spirituale avvenuta con tutti i mezzi che tu mi hai messo a disposizione nell’Abbandono totale di questa povera creatura incapace in Te mi fa ora pensare che veramente “Non ero più io che vivevo, ma TU, Cristo, che vivevi in me».
Concluse: «Ti chiedo la grazia di dividere con Te le sofferenze del Getsemani; accettale benigno e dammi la forza di sopportarle in espiazione dei peccati miei e dell'umanità intera; concedimi inoltre la grazia necessaria per vivere una vita interamente e profondamente cristiana tutta dedita al Tuo servizio e al salvamento delle anime. Così sia».
“Ginàs”, partigiano disarmato
Quando si accorse con estrema lucidità, dell’ideologia di violenza, di totalitarismo e di razzismo, che il fascismo e il nazismo portavano con sé, Gino scelse di andare per i monti, insieme ai partigiani.
Non fece questa scelta per passione di guerra, né per un particolare odio verso i nemici, ma solo per partecipare alla resistenza agli invasori e per la difesa dei diritti delle popolazioni occupate.
A seguito di un piano concordato con i partigiani, nella notte tra il 26 e il 27 giugno del 1944 Gino e altri 20 soldati fuggirono dal Distretto militare, mentre i loro futuri compagni portavano via armi, munizioni e vettovaglie. Un soldato tedesco, componente del reparto che controllava il Distretto militare, sopraggiunse: nella concitazione del momento, la fuga fu completata.
Il suo nome di battaglia nella 76° Brigata d’Assalto Garibaldi era “Ginàs” (“Ginaccio” in piemontese, in tono ironico). Fra i partigiani mantenne sempre un contegno lineare e irreprensibile, in coerenza con i suoi principi cristiani, suscitando stima e rispetto anche in chi si riteneva non credente. Pose però una sola condizione: non dover mai imbracciare un fucile, che avrebbe costituito un nonsenso per lui, che come cristiano non accettava la violenza.
Il salvataggio di un nemico
A inizio luglio 1944, Gino si trovava sulle montagne di Trovinasse, nella zona del Mombarone e nel comune di Perloz, in Val d’Aosta. La Brigata Garibaldi doveva far saltare un ponte sul torrente Rechanter e tagliare i fili telefonici, così da impedire i collegamenti tra i reparti nazifascisti.
Al momento di svolgere l’operazione, però, gli incaricati non tagliarono i fili del telefono, ma quelli della luce, lasciando la valle al buio. All’alba del 25 luglio 1944, un mezzo blindato dei fascisti arrivò per controllare i danni, ma i partigiani spararono, lasciando a terra alcuni feriti, mentre altri fuggirono o si arresero.
Un giovanissimo militare fascista, sui sedici anni, si mise a gridare aiuto, agitando un braccio in segno di resa. Gino se ne accorse e, dopo aver discusso a lungo con il comandante Grillo, scese con due compagni, i cui nomi di battaglia erano Mariuccia e Buciu: il primo rimase con lui a soccorrere i feriti; l’altro, invece, tornò su con armi e munizioni.
La morte
All’improvviso, mentre Gino, aiutato dai partigiani Mariuccia (Giovanni Replica), Patouski (Giampiero Marchetti) e Gügia (Cornelio Fornasari), portava il ferito su una barella di fortuna, risalendo il costone sulla riva destra del Rechanter, si sentirono dei colpi di mortaio: si stava avvicinando una colonna di mezzi tedeschi. Misero quindi al sicuro il soldato nei pressi di alcune baite, poi si diedero alla fuga, per raggiungere gli altri partigiani.
Gino e Patouski si attardarono ancora, quando esplosero due bombe. Una scheggia di mortaio raggiunse Gino, ferendolo alla coscia sinistra. Il ragazzo precipitò in una scarpata. A qualcuno che voleva scendere a recuperarlo gridò: «Vai, vai, mettiti in salvo!».
Il suo cadavere venne ritrovato cinque giorni dopo da un carabiniere, amico della sua famiglia. Accanto a lui furono trovati il libretto del Piccolo Ufficio della Madonna, macchiato di sangue, e un sacchetto bianco, un tascapane, che portava delle tracce di sangue in forma di lettere. La scritta fu decifrata così: «Offro la mia vita per l’Azione Cattolica e per l’Italia. Viva Cristo Re». Più testualmente: «OFFRO MIA VITA X A.C. E ITALIA. W CRISTO RE».
Gino aveva vent’anni compiuti. Il funerale si tenne il 31 luglio; a causa della guerra, si svolse in forma privata. Il suo corpo fu sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Ivrea, dove riposa ancora oggi. Il suo tascapane, invece, è conservato nella cappella privata del vescovo di Ivrea, donato dalla sua famiglia nel 1984, in occasione del 40° anniversario della morte.
Il ricordo e la fama di santità
La fama della santità di Gino si estese subito; il suo “testamento di sangue” divenne oggetto degli scritti di alcuni dirigenti di Azione Cattolica dell’epoca, primo fra tutti Giovanni Getto, che all’amico dedicò un ricordo più volte ripubblicato.
La diocesi di Ivrea diede il suo nome a una casa alpina a Gressoney Saint Jean, in provincia di Aosta, tuttora funzionante come centro estivo per i giovani delle parrocchie. Il Comune di Ivrea, inoltre, gli intitolò il campo sportivo e una piazza. Infine ogni anno, il 25 luglio, si svolge una commemorazione pubblica nei boschi di Tour d’Hereaz, presso Perloz, luogo della sua morte, dov’è stato eretto un cippo commemorativo.
La causa di beatificazione e canonizzazione
Nel 1994, a 50 anni dalla sua morte, il vescovo di Ivrea monsignor Luigi Bettazzi avviò le prime fasi della causa di beatificazione e canonizzazione, per l’accertamento dell’eroicità delle virtù di Gino. Quattro anni prima, il Papa san Giovanni Paolo II, nel corso della sua visita pastorale a Ivrea, svolta dal 18 al 19 marzo 1990, si era fermato a contemplare a lungo il sacchetto-tascapane, posto sul palco dell’incontro con i giovani, che si era svolto a Chivasso. Il 15 dicembre 1990, quando la diocesi aveva ricambiato la visita, il Pontefice aveva incoraggiato a riproporre la sua figura come incoraggiamento e stimolo.
Ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede il 24 febbraio 1995, fu aperta l’inchiesta diocesana il 25 marzo 1995, completata in seguito da un’inchiesta suppletiva. Gli atti di entrambe le inchieste sono stati convalidati col decreto del 16 aprile 1999. Dal 2006 la causa procede nella fase romana.
Autore: Emilia Flocchini
|