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> Home > Sezione (Sezione Papi) > Servo di Dio Benedetto XIII (Pier Francesco Orsini) Condividi su Facebook Twitter

Servo di Dio Benedetto XIII (Pier Francesco Orsini) Papa

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Gravina in Puglia, Bari, 2 febbraio 1650 – Roma, 21 febbraio 1730

(Papa dal 04/06/1724 al 21/02/1730)
Pier Francesco Orsini, nativo di Gravina in Puglia, entrò nell’Ordine dei Predicatori o Domenicani vincendo le resistenze dei familiari, che volevano reggesse il Ducato di Gravina, toccato a lui per eredità. Diventato religioso col nome di fra Vincenzo Maria, fu costretto ad accettare nel 1672 la nomina cardinalizia e a recarsi a Roma come Prefetto della Congregazione del Concilio. Nel 1675 divenne vescovo di Manfredonia, ma passò alla sede di Cesena nel 1680. Sei anni dopo, nel 1686, ricevette la nomina a vescovo di Benevento. Alla morte del Pontefice Innocenzo XIII, nel 1724, fu eletto suo successore: fu incoronato il 4 giugno 1724 col nome di Benedetto XIII, diventando quindi il 245° Papa della Chiesa Cattolica. Fatto eccezionale, conservò il governo della diocesi di Benevento. Morì a Roma il 21 febbraio 1730, dopo circa sei anni di pontificato. I suoi resti mortali riposano nella basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma. La sua causa di beatificazione, dopo i primi tentativi, iniziati e non portati a termine, nel 1755 e nel 1931, si è riaperta presso il Vicariato di Roma il 22 febbraio 2012. Questa fase del processo, cosiddetta “fase diocesana”, si è conclusa sempre presso il Vicariato di Roma, il 22 febbraio del 2017.



Nascita e famiglia
Pier Francesco Orsini nacque a Gravina in Puglia, in provincia di Bari, il 2 febbraio 1650 (o 1649, secondo altri storici), primo dei sei figli del duca Ferdinando Orsini e di donna Giovanna Frangipani della Tolfa, figlia del duca di Grumo Appula.
Rimasto orfano di padre nel 1658, quando aveva all’incirca otto anni, ereditò il ducato, di fatto retto però dalla duchessa sua madre. Donna Giovanna, scevra dalle vanità mondane tipiche del suo rango (si adombrava tutta se la chiamavano “eccellenza’”), era dotata anche di grande carità: era generosa nel soccorrere i poveri di Gravina, specie se sacerdoti e religiosi, cui procurava indumenti, cibo, legna e denaro. Nel 1676, a 52 anni, si ritirò a vita claustrale nel Conservatorio di Santa Maria del Piede, in Gravina, l’anno successivo trasformato, su sua istanza presso la Sacra Congregazione dei Vescovi e regolari, in un monastero di clausura di Domenicane. Prese il nome di suor Maria Battista dello Spirito Santo. Morì il 22 febbraio 1700.

Vocazione tra i Domenicani
Pier Francesco visse nella sua città natale fino ai 17 anni. In seguito manifestò il desiderio di consacrarsi a Dio nell’Ordine dei Predicatori o Domenicani.
Vincendo le contrarietà dei familiari, legate al fatto che lui era il primogenito e l’erede del ducato di Gravina, ottenne di recarsi a Venezia. Il pretesto era conoscere meglio l’Italia: in realtà il suo scopo era venire accolto come religioso domenicano. Il 12 agosto 1668 vestì l’abito religioso nel convento di San Domenico di Castello assumendo il nome di fra Vincenzo Maria.
Grazie a papa Clemente IX, il 13 febbraio 1669 emise la professione religiosa e, contemporaneamente, trasmise i diritti di primogenitura al fratello Domenico. Fu ordinato sacerdote il 24 febbraio 1671.

Cardinale suo malgrado
La sua nobile origine e il residuo di un nepotismo ancora imperante gli portò la nomina a cardinale il 22 febbraio 1672: il fratello Domenico, infatti, aveva sposato una pronipote di papa Clemente X. Fra Vincenzo Maria, personalmente, aborriva quella carica: scrisse al vescovo di Gravina dichiarando, in tono perentorio, che non avrebbe accettato nessun cappello cardinalizio o vescovile, perché gli bastava l’amato cappuccio da frate domenicano.
Il 1° marzo 1672 papa Clemente X (1670-76) gli impose di accettare la nomina cardinalizia, ma lui rifiutò di nuovo. A quel punto intervenne il Maestro Generale dell’Ordine domenicano, che in virtù dell’obbedienza e sotto pena di scomunica, gli ingiunse di accettare la carica entro tre ore; allora fra Vincenzo Maria obbedì. Aveva solo 22 anni: l’influenza delle famiglie patrizie in quei secoli era molto determinante e l’età del prescelto non costituiva un ostacolo.
Dovette allora lasciare la sua vita ritirata e dedita agli studi per recarsi nella Roma barocca di papa Clemente X, a ricoprire la carica di Prefetto della Congregazione del Concilio e di Esaminatore  dei Vescovi.
Tuttavia, se da una parte gli toccò la dignità cardinalizia, dall’altra volle rimanere sempre un frate. Inoltre, tempo prima il suo superiore gli aveva proibito di addottorarsi negli studi giuridici all’Università di Padova. Per obbedienza a quest’ordine, non volle farlo nemmeno da cardinale, vincendo il proprio forte temperamento.

Vescovo di Manfredonia
Il 3 febbraio 1675, resasi vacante la sede episcopale di Manfredonia in Puglia, fu consacrato vescovo ad appena 25 anni. Aveva rifiutato sia la sede suburbicaria (cioè dipendente da Roma) di Tivoli, sia quella metropolitana di Salerno.
Si dedicò anzitutto alla riforma dei costumi, mentre promosse il restauro della cattedrale e la costruzione del campanile. Intraprese poi svariate visite pastorali e convocò il primo Sinodo diocesano. Avviò inoltre il “monte frumentario”, una sorta di credito agrario, in via sperimentale. Infine, grazie all’esperienza diretta con i fedeli, che prima gli era mancata, si sentiva soprattutto un parroco, oltre che un vescovo.

A Cesena
Dopo cinque anni di governo, ebbe parecchi contrasti con invadenti funzionari del Viceregno e Legati spagnoli. Perciò il nuovo papa Innocenzo XI (1676-89), con la mediazione del cardinale Paluzzo Altieri suo protettore e legato alla sua famiglia, il 22 gennaio 1680, gli fece accettare la sede vescovile di Cesena, fuori del Regno di Napoli e appartenente allo Stato Pontificio. Anche lì restaurò la cattedrale e indisse missioni al popolo. La permanenza del cardinal Orsini nella città romagnola non fu lunga: in sei anni poté dimorarci poco più di due anni, perché il clima e l’acqua non giovarono alla sua salute. Ebbe due gravi e lunghe malattie, fra cui la quartana, che lo costrinsero a stare lontano dal vescovado per lunghi periodi, per curarsi ad Ischia e Napoli.
Non furono estranei al suo trasferimento da Cesena i dissapori e le controversie che ebbe con le autorità laiche: soleva dire che non aveva alcuna voglia di «umiliare il suo pastorale al potere laicale» e contro certi scogli era sempre disposto a «rompere prima il capo che il pastorale».

Trasferito a Benevento
Lo stesso papa Innocenzo XI, accolte le sue richieste di trasferimento, lo nominò arcivescovo metropolita di Benevento, sede da lui tanto desiderata. Così, il 30 maggio 1686, a dorso di un cavallo bianco, entrò nella città sannita, già sede vescovile dei santi Gennaro e Barbato.
La sua opera pastorale, che gli valse il soprannome di “Borromeo del Mezzogiorno”, fu imponente: tenne quarantaquattro sinodi in altrettanti anni di episcopato beneventano. Gli atti di quelle assemblee furono regolarmente stampati e diffusi in ogni parrocchia della diocesi, realizzando così un coinvolgimento e una partecipazione più ampia ai problemi della vita ecclesiale. Lo scopo era anche fare in modo che il clero locale prendesse coscienza della realtà e che, insieme al vescovo, si rendesse più responsabile della cura delle anime.

Pastoralità, carità, cultura
La concezione del ministero episcopale di Vincenzo Maria Orsini e la sua pastoralità avevano profonde radici: erano tenacemente sorrette da una grande passione d’amore per Dio, per la Chiesa, per le anime a lui affidate.
Circa la sua carità, si racconta che in un rigido giorno invernale a Benevento non lo si trovava nelle sue stanze. I collaboratori lo rinvennero infine rannicchiato in un angolo del cortile, tutto tremante dal freddo e seminudo. A coloro che lo soccorsero rispose, con un sorriso, che aveva donato tutto ad un povero quasi spogliato che moriva dal freddo. Inoltre, in occasione di due devastanti terremoti, intervenne tempestivamente, organizzando l’assistenza e i soccorsi.
Fu anche uomo di profonda cultura e socio di varie Accademie di studio: nell’Accademia dell’Arcadia, ad esempio, aveva preso il nome di Teofilo Samio e lo conservò anche in seguito.

L’elezione al soglio di Pietro
Alla morte del papa Innocenzo XIII partecipò al conclave per l’elezione del nuovo pontefice, che si protrasse per quasi tre mesi. Contrariamente ai cinque precedenti conclavi cui aveva partecipato, quella volta non poté ritornare a Benevento: il 29 maggio 1724 i cardinali scelsero lui, ritenendolo il più santo del Collegio cardinalizio.
Anche in quel caso, fece di tutto per opporsi alla loro scelta, ma alla fine cedette: fu incoronato Papa il 4 giugno 1724. Assunse il nome di Benedetto XIII, come un altro pontefice appartenuto, come lui, all’Ordine domenicano. Era il sedicesimo della lista dei papi regnicoli, ossia nati o residenti nel Regno di Napoli. Fatto del tutto eccezionale, non lasciò il governo della diocesi beneventana.

Lo stile di papa Benedetto XIII
Rimase fedele alle sue abitudini e al suo stile di vita semplice e umile: ridusse la corte pontificia e, quando usciva, aveva sempre un numero esiguo di accompagnatori. Pur vivendo in modo molto frugale, riteneva di possedere comunque beni eccessivi rispetto ai poveri che assisteva.
Eresse l’ospedale di San Gallicano e quello di Santa Maria della Pietà: l’uno per le persone affette da malattie infettive, l’altro per i malati di mente. Provvide anche a migliorare il regime di vita dei carcerati. Incoraggiò l’opera evangelizzatrice dei missionari, specie in America e in Asia.

Le tappe principali del suo pontificato
Canonizzò, tra gli altri, i santi Giacomo della Marca, Agnese di Montepulciano, Giovanni della Croce, Luigi Gonzaga, Stanislao Kostka, Margherita da Cortona e Giovanni Nepomuceno. Beatificò Fedele di Sigmaringen e Vincenzo de’ Paoli, in seguito canonizzati.
Nell’anno giubilare 1725 inaugurò la scalinata di Trinità de’ Monti e indisse un Concilio per alimentare la spiritualità e la collaborazione nel clero della Città Eterna: era dai tempi di papa Innocenzo III che non se ne celebrava uno a Roma. Il Concilio lateranense del 1725 prese anche una decisa posizione contro il giansenismo.
Nel 1727 e nel 1729 ritornò a Benevento per alcuni mesi, nonostante il parere contrario della Curia Romana, che temeva volesse trasferire lì la Sede Pontificia. Proprio da Benevento aveva scelto persone che reputava degne di fiducia, come il suo segretario, il cardinal Niccolò Coscia: le azioni di quest’ultimo, tuttavia, contribuirono a dare un connotato negativo all’attività politica del Pontefice.

La morte
Papa Benedetto XIII era abituato a recitare ogni giorno questa speciale preghiera: «O Misericordiosissimo Signore Gesù, io vi prego per le vostre lacrime, per l’agonia e sudore Vostro di Sangue, e per la vostra morte a liberarmi in ogni tempo dalla morte subitanea ed improvvisa». E più avanti: «Concedetemi, per pietà, tempo di penitenza, donatemi una morte felice, ed in Grazia Vostra, acciocché io con tutta la mente mia e con tutto il mio cuore vi ami, vi lodi e vi benedica in eterno. Amen».
Nel cuore di un gelido inverno romano, quell’invocazione parve concretizzarsi: dopo pochi giorni d’agonia, il Papa morì il 21 febbraio 1730. Per non disturbare il popolo impegnato nelle strade a festeggiare l’ultimo giorno di Carnevale, per lui non suonarono le campane a morto. È singolare che le date significative della sua vita (nascita, ordinazione sacerdotale ed episcopale, morte), avvennero tutte nel mese di febbraio.
Le sue spoglie, in un primo momento deposte nella basilica di San Pietro, furono in seguito traslate in quella di Santa Maria sopra Minerva il 22 febbraio 1733.

La causa di beatificazione
La causa per la beatificazione di papa Benedetto XIII, avviata per ben due volte, nel 1755 e nel 1931,   non ebbe seguito a causa, pare, del ruolo svolto dal cardinal Coscia, che subito dopo la morte del Pontefice fu condannato a dieci anni di carcere per abuso di potere, ma venne in seguito graziato.
Solo di recente, dopo circa tre secoli, il processo è stato riavviato, grazie al Centro Studi Benedetto XIII di Gravina in Puglia, che si è reso attore della causa. L’inchiesta diocesana, aperta il 24 febbraio 2012 presso il Vicariato di Roma, si è conclusa dopo cinque anni esatti, il 24 febbraio 2017.
Anche le attuali diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, Manfredonia-Vieste-S.Giovanni Rotondo, Cesena-Sarsina, Benevento e Tortona, dove Vincenzo Maria Orsini visse il suo ministero episcopale, hanno fornito il loro contributo.


Autore:
Antonio Borrelli ed Emilia Flochini

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Aggiunto/modificato il 2018-08-03

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