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Servo di Dio Hélder Câmara Vescovo

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Fortaleza, Brasile, 7 febbraio 1909 – Recife, Brasile, 27 agosto 1999

Vescovo cattolico nel Nord Est del Brasile, dal 1966 ha guidato e animato innumerevoli azioni non violente intraprese dai più poveri per la difesa dei loro diritti e della loro terra, scontrandosi con le pretese dei latifondisti, che vedevano in lui un pericoloso perturbatore dell’ordine pubblico. Scelse di vivere in povertà nella periferia della metropoli lasciando ai poveri il suo palazzo vescovile. Appena compiuti i 75 anni furono subito accolte le sue dimissioni. Alcuni sacerdoti tra i suoi più stretti collaboratori furono uccise e lui pure più volte minacciato di morte. Fu ispirandosi a lui che San Giovanni XXIII dichiarò: “la Chiesa Cattolica è Chiesa di tutti ma soprattutto dei poveri”.La fase diocesana della causa di beatificazione si è svolta dal 3 maggio 2015 al 19 dicembre 2018.



Tra le figure più note e più significative della Chiesa latinoamericana, ma anche di quella universale, del secolo scorso vi è certamente dom Hélder Câmara (1909-99), noto soprattutto per la sua azione e testimonianza come arcivescovo di Recife.
A lungo ostracizzato dal governo militare del suo Paese perché giudicato sovversivo, più volte proposto, ma senza successo, per il premio Nobel per la pace, fu successivamente riabilitato dalle autorità del suo Paese. La sua testimonianza divenne emblematica di una Chiesa che lotta per la libertà e per una maggiore giustizia. Recentemente è stata avviata la sua causa di beatificazione, su richiesta unanime dell’episcopato brasiliano.
A livello mondiale, soltanto l’ultimo periodo della sua vita è noto e oggetto di molte pubblicazioni, ma in realtà dom Hélder Câmara ha accompagnato per buona parte del secolo (è morto a 90 anni) le agitate vicende storiche del suo Paese. Non intendiamo qui farne una biografia completa, ma indicarne alcuni tratti caratteristici.

L’infanzia, la formazione e i primi anni di sacerdozio
Hélder nacque il 7 febbraio 1909 a Fortaleza, capitale dello Stato del Ceará, nel nord del Brasile, undicesimo figlio di João Eduardo Torres Câmara. Al momento della sua nascita, avendo esaurito il repertorio dei nomi preferiti, il padre consultò un atlante geografico e si concentrò sull’Olanda, decidendo di chiamare il neonato con il nome di una città dei Paesi Bassi. E così il futuro arcivescovo si chiamò Hélder. Il padre era massone e, pur non ripudiando mai la propria fede massonica, fece battezzare tutti i figli e le figlie, educandoli cattolicamente. Fin da piccolo Hélder, timido e riservato, giocava a «fare il prete», ripetendo che era sua intenzione diventare sacerdote. Quando la cosa si fece seria, il padre lo lasciò entrare in seminario nel 1923, sostenendo le spese necessarie. La sua formazione fu quella consueta al tempo: molta teologia, ma poco interesse per i problemi sociali. Hélder si rivelò presto un leader e un grande animatore, brillante negli studi, ma anche uno spirito libero. Venne ordinato sacerdote il 15 agosto 1931, a 22 anni.
La Chiesa «ufficiale» brasiliana in quel periodo conobbe un profondo processo di ristrutturazione, di cui fu promotore l’arcivescovo coadiutore di Rio de Janeiro, dom Sebastiano Leme da Silveira Cintra, futuro cardinale della stessa città (allora capitale), il quale pensò di riconquistare le posizioni perdute dalla Chiesa in Brasile guadagnando anzitutto le classi dirigenti e gli intellettuali.
Negli anni Trenta il clima politico del Brasile tendeva alla radicalizzazione, sia a destra che a sinistra. Molti cattolici militanti erano a favore della difesa dell’ordine sociale e del principio di autorità come indispensabili per combattere il comunismo. P. Hélder iniziò il suo lavoro con la Joc, modellata sull’esperienza francese, ma nel 1932 aderì all’Azione integralista brasiliana, un movimento politico che, nonostante il suo pensiero vicino a quello sociale-cristiano, nelle manifestazioni esterne riprendeva simboli ed emblemi del fascismo italiano.
P. Hélder si immerse in questa militanza integralista, che gli sarà più tardi aspramente rimproverata dagli avversari. Si occupò soprattutto del settore educativo. Diventò dirigente della pubblica istruzione nel suo Ceará, ma nel 1936 si trasferì a Rio de Janeiro, con l’approvazione del card. Leme, il quale l’accolse in diocesi, ponendogli però come condizione l’abbandono dell’attività politica di partito: disposizione accettata immediatamente da p. Hélder.
A Rio il giovane sacerdote lavorò nella Segreteria dell’Educazione del distretto federale e poi nel ministero dell’Educazione, ed entrò in contatto con ambienti colti e aperti e certamente più vicini alla democrazia, ma ebbe anche l’impressione di condurre una vita povera di senso, e pensò persino di farsi gesuita. Il gesuita Leonel Franca lo convinse che era un desiderio sbagliato e p. Hélder vi rinunciò. In quegli anni fu influenzato dalla lettura del volume Umanesimo integrale di Jacques Maritain, che gli aprì prospettive nuove e differenti.

Sacerdote a tempo pieno
Seguì un periodo di austerità, di veglie di preghiera (che p. Hélder praticò per tutta la vita), di digiuni e di intensi ministeri sacerdotali, mentre sempre più numerose venivano a cercarlo persone bisognose, sfrattate, ridotte in miseria, attirate dalla fama che si diffondeva di lui come di un sacerdote disposto ad aiutare, anche se sempre privo di denaro. Avendo in un paio di occasioni vinto alla lotteria, si diffuse la notizia che egli sapeva «fare miracoli».
A Rio si dedicò alla predicazione, in particolare ai giovani della Gioventù Cattolica. Riusciva a dialogare usando un linguaggio che sensibilizzava gli interlocutori. Già allora un giornalista colse alcuni tratti che dovevano diventare tipici delle sue conferenze e che descrisse anni dopo: «P. Hélder mi parve un grande oratore, pieno di slancio […]. Un mirabile gesticolatore, aveva qualcosa di tragico, di shakespeariano». Stava nascendo allora a Rio la futura Puc (Pontifícia Universidade Católica), e il card. Leme ordinò a p. Hélder di tenervi lezioni di didattica.
Dopo il 1942, vista la partecipazione militare brasiliana a fianco degli alleati con una Forza di Spedizione Brasiliana (Feb), i brasiliani cominciarono ad avvertire la contraddizione di combattere contro le dittature europee e mantenere un governo autoritario nel proprio Paese.
Cessò così l’aiuto delle Forze Armate a Vargas e si diffuse un movimento favorevole alla democrazia, che p. Hélder avvertì chiaramente, tanto più che uscì un nuovo libro di Maritain dal titolo significativo: Christianisme et démocratie, che influì molto sul giovane sacerdote.
In un Paese in profonda trasformazione e nel quale aumentavano le migrazioni dalle campagne alle città, la Chiesa andava perdendo i fedeli contadini. Con la caduta del Governo Vargas (1945), la Chiesa dovette riorganizzare le proprie fila e si servì per questo in particolare dell’Azione Cattolica. P. Hélder, promosso intanto monsignore nel 1948, ebbe l’appoggio del nuovo arcivescovo di Rio de Janeiro, dom Jaime de Barros Câmara, il quale ne apprezzò le grandi doti di organizzatore. Cominciò a crescere, anche per impulso di mons. Hélder, una corrente che propendeva per una maggiore responsabilità sociale del cattolicesimo e che si preoccupava di creare un ordine sociale più giusto.
Nel 1950, in occasione dell’Anno Santo, mons. Hélder, come dirigente nazionale dell’Azione Cattolica, organizzò un pellegrinaggio per nave a Roma, che colpì per l’ordine e l’efficienza. Il nunzio in Brasile, mons. Carlo Chiarlo, richiese la sua consulenza, incurante del fatto che la stessa nunziatura tre anni prima aveva bocciato la nomina di p. Hélder a vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, temendo che fosse ancora integralista.
Mons. Hélder ebbe l’incarico, andando a Roma, di presentare alla Segreteria di Stato il progetto di un’assemblea nazionale dei vescovi brasiliani, destinata a diventare l’attuale Cnbb (Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile). Ne parlò a lungo con mons. Montini, allora sottosegretario di Stato di Pio XII, che apprezzò il progetto, dopo alcune perplessità, nate dal timore che mons. Hélder, con quel progetto, intendesse candidarsi all’episcopato per guidare la futura assemblea. Nacque in quell’occasione una cordiale amicizia tra i due, destinata a durare. Quando dom Hélder, già famoso, veniva in Italia per una conferenza, c’era spesso seduto in prima fila ad ascoltarlo e ad applaudirlo mons. Montini, anche da arcivescovo di Milano.
Prima ancora che la Cnbb venisse creata ufficialmente, mons. Hélder venne nominato, su iniziativa di dom Jaime, vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, diventando dom Hélder. Il motto prescelto fu In manus tuas.
Dovette subito dopo organizzare la nuova Conferenza dei vescovi con un suo programma preciso: far sì che l’episcopato nazionale agisse in modo unitario e che la collaborazione fra Chiesa e Stato venisse rivalutata e rafforzata, nonostante il regime di separazione. Nella prima assemblea di fondazione dom Hélder venne eletto segretario generale per acclamazione. Fu un passo decisivo per modernizzare l’episcopato brasiliano, tradizionalmente conservatore. Nel 1952 egli tornò a Roma per illustrare a mons. Montini i passi compiuti e Montini lo imbarazzò dicendogli: «Adesso mi dia la sua prima benedizione da vescovo», richiesta a cui il neo-vescovo brasiliano acconsentì.
Non possiamo seguire le convulse vicende politiche del Brasile negli anni seguenti, con il suicidio di Getúlio Vargas e il susseguirsi di presidenti e di golpe da cui la Chiesa cercò di prendere le distanze.
Dom Hélder si dedicò con la consueta efficienza all’organizzazione del 36° Congresso Eucaristico Internazionale, che si svolse a Rio nel 1955. Al termine del Congresso, coronato da grande successo ma anche oggetto di critiche per le spese effettuate, il card. Gerlier, di Lione, disse a dom Hélder: «Non trovi che sia irritante tutto questo fasto religioso in una città circondata da favelas? […] Devo dirti che hai un eccezionale talento di organizzatore. Voglio che tu faccia una riflessione: perché […] non poni al servizio dei poveri questo talento di organizzatore che il Signore ti ha dato?».
Dom Hélder promise di dedicarsi al sevizio dei poveri, che divennero effettivamente la sua preoccupazione dominante. Lanciò una campagna (Crociata di San Sebastiano) per l’eliminazione delle favelas che assediavano la città. Lo scopo non venne realizzato, ma molti favelados ottennero case degne (oltre 1.000 appartamenti).
Purtroppo per ogni famiglia trasferita nelle case, molte altre venivano dall’interior per insediarsi nelle favelas appena liberate. Il problema era infatti assai più profondo e strutturale (legato soprattutto alla mancata riforma agraria). Nacque poi la «Banca della Provvidenza», per distribuire fondi di prima necessità ai più bisognosi, iniziativa che riscosse grande successo anche nel mondo bancario e imprenditoriale.
Seguì la creazione del Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), che riunì idealmente tutti i vescovi dell’America Latina. Artefice ne fu in particolare mons. Manuel Larraín Errázuriz, vescovo di Talca, in Cile, ma dom Hélder collaborò attivamente con lui, anche grazie alle sue conoscenze in Vaticano.
Durante la presidenza di Juscelino Kubitschek (il fondatore di Brasilia), Chiesa e Stato ebbero ottime relazioni e dom Hélder divenne sempre più influente all’interno della Cnbb e anche come mediatore tra Chiesa, stampa, sindacati, imprese e organi dello Stato. Particolarmente attivo fu nel promuovere e incoraggiare le iniziative di sviluppo del Nordest, in particolare con la fondazione della Sudene (analoga alla nostra Cassa del Mezzogiorno, e altrettanto discussa). Il Presidente giunse a offrirgli, invano, il ministero dell’Educazione, ma dom Hélder preferì rimanere un consigliere, ritenendo che un vescovo non dovesse entrare direttamente in politica.
Contribuì, sul versante ecclesiale, a creare il Movimento di educazione di base (Meb): un movimento che era stato lanciato da dom Eugênio Sales, e che collaborava attivamente con il Governo ed era appoggiato da molti altri vescovi.

Al Concilio Vaticano II. Arcivescovo a Recife
Quando Giovanni XXIII annunciò inaspettatamente la convocazione del Concilio, dom Hélder fu uno dei pochi vescovi brasiliani chiamati a prendere parte ai lavori delle Commissioni preparatorie.
I 130 vescovi brasiliani arrivarono a Roma il 7 ottobre 1962, quattro giorni prima dell’apertura del Concilio. Dom Hélder condivideva con altri vescovi (in particolare con mons. Larraín) la preoccupazione che si adottassero i deludenti schemi proposti dalla Commissione centrale preparatoria. Dom Hélder svolse un intenso lavoro dietro le quinte, in particolare insistendo perché il Concilio discutesse anche i problemi dei Paesi in via di sviluppo e della miseria nel mondo. A mano a mano che i lavori del Concilio si orientavano nella direzione auspicata da lui, dom Hélder divenne popolare anche tra i giornalisti.
Anche nelle sessioni seguenti egli continuò a inviare lettere ai collaboratori di Rio e di Recife per informarli sui lavori del Concilio e analizzarli. Tornò molto consolato dall’esperienza conciliare e con una grande fama di vescovo popolare e impegnato.
Questo a lungo andare portò a una rottura con il suo cardinale di Rio de Janeiro, Jaime Câmara, impensierito dal fatto che il suo ausiliare sembrava preoccuparsi più della lotta per la giustizia sociale che non di quella contro il comunismo ateo. Cominciarono allora le accuse, prima in sordina, poi più esplicite, contro dom Hélder, ritenuto comunista. Dom Jaime, con molta franchezza, apprezzata dal suo ausiliare, gli comunicò che sarebbe stato meglio separarsi, come Paolo da Barnaba, per continuare ciascuno il proprio apostolato.
La morte improvvisa dell’arcivescovo di Olinda e Recife rese vacante quella sede, che venne assegnata a dom Hélder, con l’appoggio del nunzio, mons. Armando Lombardi.

Il colpo di Stato e la solitudine di dom Hélder
Temendo una vittoria della sinistra, il 31 marzo del 1964 i militari rovesciarono il Governo del presidente João Goulart, instaurando una dittatura militare, destinata a durare fino al 1979, quando si tornò alla democrazia. Il primo presidente militare fu il capo di stato maggiore dell’esercito, Humberto de Alencar Castelo Branco.
Di fronte al golpe, la Chiesa brasiliana tenne un atteggiamento variegato. Una parte dell’episcopato, compreso il card. Câmara, di Rio de Janeiro, approvò lo sforzo delle Forze armate per liberare il Paese dal pericolo comunista. Un’altra parte mantenne un atteggiamento di attesa. Tra questi ultimi c’era anche dom Hélder, che a poco a poco si sarebbe trasformato in uno dei critici più severi della dittatura, vivendo il periodo più difficile del suo episcopato, che doveva renderlo celebre a livello mondiale.
Grazie alla posizione non ancora critica, l’arcivescovo di Recife venne accolto trionfalmente nella nuova sede da tutte le autorità civili e militari. Nel discorso tenuto di fronte alla cattedrale dimostrò la sua accettazione del nuovo regime, purché i militari accogliessero come loro missione le riforme di base, ma si mostrò critico anche verso la sinistra locale, rivendicando il diritto di essere «il vescovo di tutti». Ebbe però il coraggio di affermare che non si può confondere «la bella e indispensabile nozione di ordine […] con le sue contraffazioni, responsabili del mantenimento di strutture […] non più sostenibili» [7]. Il 13 aprile i 17 vescovi presenti all’insediamento di dom Hélder a Recife fecero una dichiarazione congiunta per sostenere l’arcivescovo e la necessità di riforme sociali.
Il periodo di buoni rapporti con i militari al potere cominciò a guastarsi a causa delle visite dell’arcivescovo ai detenuti per motivi politici, in particolare ai militanti del Meb o dell’Azione cattolica.
Ma per un certo tempo egli cercò l’avallo dei militari per le sue iniziative.
Contemporaneamente iniziò una decisa opera di ristrutturazione della diocesi, aiutato dai due vicari generali: dom Lamartine (che rimase sempre il suo ausiliare) e mons. Barreto. Incontri con il clero, con i parroci e con i movimenti di Azione Cattolica e altri, si susseguirono a ritmo incalzante. Valorizzando un eccellente gruppo di laici, organizzò delle «serate» di letteratura, di filosofia, di teologia ecc. Nel pomeriggio riceveva senza appuntamento tutte le persone che venivano in cerca di aiuto: di solito anche 200, con particolare attenzione ai poveri.
Al ritorno dalla terza sessione conciliare, la Cnbb elesse le nuove cariche al suo interno, e a sorpresa non vennero rieletti né dom Hélder né dom Eugênio Sales, fondatore del Meb e futuro cardinale di Rio. Ma dom Hélder fu il primo ad abbracciare i nuovi eletti.
Intanto l’arcivescovo cercava di portare un nuovo stile nel suo episcopato.
Fece censire le terre dell’arcivescovado, pensando di distribuirle ai contadini con una mini-riforma agraria, aiutato da amici svizzeri che promettevano assistenza finanziaria e tecnica. Tentò, con poco successo, di tenere aperto giorno e notte il portone dell’arcivescovado, in segno di accoglienza per i poveri. Ma i prudenti custodi cambiarono la serratura, e così una notte, rientrando, l’arcivescovo trovò il portone chiuso e dovette attendere fuori. Durante un’alluvione che colpì la città riuscì a mobilitare tutte le forze esistenti, militari, civili, impresariali, massoniche ecc. per portare aiuto ai sinistrati.
I buoni rapporti con i militari si incrinarono quando, nel novembre del 1964, dom Hélder tenne alla televisione una conferenza sul Concilio, nella quale accennò anche al costo della vita (citando i prezzi del riso e dei fagioli: il piatto nazionale), sempre più intollerabile per il popolo. Il giorno seguente il generale Muricy, sebbene fosse suo amico, a nome del IV esercito (di stanza a Recife), andò a protestare con lui per il carattere sovversivo della conferenza.
Iniziarono poi altre misure intimidatorie o provocatorie, come scritte sui muri, inneggianti a dom Hélder, firmate dal Partito comunista brasiliano, ma l’amicizia con molti generali lo faceva sentire ancora sicuro. Nel 1966 gli venne fatto notare dai militari che nelle ricorrenze della rivoluzione egli era sempre assente o all’estero.
Quando inviò ufficialmente una lettera per rifiutare di celebrare la Messa per l’anniversario della «rivoluzione», la reazione dei militari fu molto dura: essi richiesero il suo allontanamento da Recife, giudicandolo comunista e non gradito. Ma se l’arcivescovo poteva ancora sentirsi relativamente sicuro, molti militanti del laicato cattolico venivano arrestati o erano già in prigione. Diversi arresti erano una reazione a esplosioni verificatesi in città, la cui responsabilità venne fatta risalire da alcuni a dom Hélder.
Divenendo la reazione governativa più dura, sorsero anche movimenti radicali di opposizione, favorevoli alla ribellione armata.
Dom Hélder, pur non condividendo tali opzioni, prese più volte le difese degli arrestati, e con questo giunse a frequenti attriti con il regime. Seguirono polemiche di ogni genere a livello nazionale, che anche il Governo, interessato a mantenere buoni rapporti con la Chiesa, cercò in un primo tempo di sedare. Il presidente Castelo Branco si recò a Recife per fargli visita. Ma gli screzi continuarono sia per le visite di dom Hélder ai detenuti, sia per i discorsi in cui lamentava la situazione di miseria in cui si trovava la maggioranza della popolazione del Nordest. Iniziarono anche le prime minacce.
L’arcivescovo rinunciò ad abitare nel palazzo episcopale e si trasferì nelle stanzette annesse alla Igreja das fronteiras, il cui muro venne mitragliato da quattro uomini mascherati, con ogni probabilità membri del famigerato CCC (Commando per la caccia ai comunisti). Tutto ciò non fece però che accrescere la fama del vescovo in patria e all’estero.
Il 13 dicembre 1968, con l’Atto istituzionale n. 5 (che molti definirono «una rivoluzione dentro la rivoluzione»), il Governo eliminò molte delle libertà e delle garanzie rimaste — come una certa libertà di stampa —, incompatibili del resto con un regime autoritario che volesse essere coerente. Si parlò di incriminare ufficialmente dom Hélder, ma non se ne fece nulla, ed egli continuò ad appoggiare manifestazioni studentesche e di protesta. La Curia venne mitragliata, ma la polizia non scoprì mai gli attentatori. Non osando colpire direttamente la sua persona, nel 1969 venne assassinato un suo sacerdote ventottente, il p. Antônio Henrique Pereira Neto, che lavorava tra gli studenti universitari. Gli spararono tre colpi e venne pugnalato alla gola. Il funerale fu accompagnato in silenzio da migliaia di persone, sebbene la stampa non avesse dato notizia dell’accaduto.
Ma la sofferenza maggiore non provenne a dom Hélder dalle accuse di essere un terrorista, che egli smentiva pazientemente: dovette sconfessare ai giornali la diceria che avesse a disposizione 40.000 soldati pronti a insorgere conto il governo militare, e condannò pubblicamente l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia. La pena proveniva piuttosto dalla solitudine in cui lo lasciarono molti confratelli vescovi. Rimase il forte legame che lo univa a Paolo VI, il quale continuò a riceverlo ed ebbe a dirgli: «Senza smettere di essere il pastore di Olinda e Recife — e grazie a Dio tu hai anima di pastore —, ricordati che nella Chiesa non ci sono molti la cui voce sia ascoltata come la tua».
Ma la Santa Sede esortò più volte dom Hélder a maggiore moderazione, volendo evitare scontri con il Governo brasiliano, e mostrò preoccupazione per i suoi troppi viaggi all’estero e perché sembrava dimenticare i suoi compiti pastorali per dedicarsi al lavoro sociale.
Dopo le accuse rivoltegli da qualche vescovo brasiliano, in particolare da dom Geraldo Proença Sigaud, noto anche per i suoi legami col movimento di estrema destra Tfp (Tradizione, Famiglia e Proprietà), dovette giustificarsi davanti alla commissione centrale della Cnbb. In particolare, dovette spiegare che i suoi viaggi all’estero erano finanziati dalle organizzazioni che lo invitavano e promise di non accettare inviti all’estero se giudicati inopportuni dalla presidenza della Cnbb.
Ma i viaggi, effetto e causa della sua celebrità in tutto il mondo, mentre erano accolti dalla gerarchia e dai laici cattolici di ogni Paese, erano visti con preoccupazione dalle autorità militari del suo Paese e da una gerarchia timorosa di turbare i suoi buoni rapporti con il Governo, tanto più che l’arcivescovo non si limitava agli argomenti di natura religiosa, ma si addentrava nelle problematiche sociopolitiche ed economiche del mondo intero. Cominciarono ad arrivargli premi, distinzioni, lauree honoris causa e così via.
Perché queste idee non rimanessero solo teoria, esortava alla formazione di minoranze attive, che usava chiamare «minoranze abramiche» che facessero da fermento per la nascita di un’opinione pubblica mondiale favorevole a uno sviluppo più equo. Il suo pensiero, in realtà, non era sempre originale. Per quanto riguarda l’economia, esso era desunto dagli studi della Cepal (Commissione economica per l’America Latina) e dell’economista Celso Furtado, costretto all’esilio durante la dittatura, fondatore della Sudene e uno dei fondatori dell’Unctad, che vedeva lo sviluppo come strumento di umanizzazione del capitalismo. Per la sua visione positiva della scienza, molto aveva preso dal pensiero di Teilhard de Chardin, mentre per la politica, come si è detto, si ispirava al pensiero di Maritain.
La sua corrispondenza veniva aperta e censurata, come quella di altre personalità «sospette». Uno dei suoi principali collaboratori, il p. Marcelo Carvalhera, rettore del Seminario regionale e futuro vescovo, venne arrestato, e poi rilasciato dopo 51 giorni di detenzione. Fu quella l’epoca in cui dom Hélder fu più volte proposto per il premio Nobel per la pace, ma la cosa non andò in porto soprattutto per gli interventi del Governo e della diplomazia brasiliana. La Segreteria di Stato dovette smentire che ci fossero censure per dom Hélder, e durante un’udienza Paolo VI lo autorizzò a compiere quattro viaggi all’estero ogni anno (per un totale di due mesi; il periodo delle ferie), avvisando sempre l’autorità ecclesiastica del luogo da visitare. Dopo una sua conferenza (significativamente intitolata «Quali che siano le conseguenze»), tenuta a Parigi nel 1970 davanti a oltre 10.000 persone, in cui denunciò anche i casi di tortura di cui era a conoscenza, la campagna contro di lui in Brasile divenne più violenta, con accuse di ogni tipo, mentre venivano censurati gli interventi in sua difesa. Gli venne vietato di apparire in televisione, di parlare alla radio (tranne il suo programma di evangelizzazione a Radio Olinda) e di rilasciare interviste. Ai giornali non era permesso citarlo. Venne additato come nemico del Brasile e invitato a lasciare il Paese anche con scritte sul muro della sua abitazione.
In silenzio, di fronte a tante accuse, dom Hélder dovette chiedersi se il suo messaggio non fosse divenuto troppo umano e unilaterale, anziché impregnato di soprannaturale. Si dedicò perciò anche con maggiore passione al lavoro pastorale nella sua diocesi, come la predicazione, i ritiri e l’amministrazione dei sacramenti. Per sua iniziativa nacquero le comunità di base, formate da piccoli gruppi di abitanti delle zone popolari per discutere insieme il Vangelo e i problemi della comunità, e che egli difese dal tentativo di strumentalizzazione da parte sia della destra sia della sinistra. Voleva che ogni riunione avesse uno spazio per la preghiera e che «i poveri evangelizzassero i poveri». Mentre le comunità di base sorte poi in Europa divennero spesso luoghi di contestazione, quelle brasiliane erano inserite nella pastorale diocesana e, se non avevano un prete a guidarle, era perché mancavano i preti, non per contestarne la presenza.
Il suo stile di vita non cambiò: andava a piedi dalla residenza alla Curia diocesana (tre km), ma molti gli offrivano un passaggio in macchina, che egli accettava incurante del rischio di un agguato. Rispondeva personalmente al telefono nella sua modesta residenza. Arresti e vessazioni sui suoi collaboratori continuarono senza che l’arcivescovo potesse fare nulla per impedirlo. In quel periodo ne vennero sequestrati otto: polizia ed esercito affermavano di non saperne nulla.
Vennero liberati soltanto mesi dopo.
L’ambasciatore d’Austria poté visitarlo e conversare con lui, per invitarlo a Vienna, ma in presenza di sei poliziotti. Un gruppo di laici tentò di convincerlo a rinunciare alla diocesi e ad andare all’estero, con il pretesto che la sua era una vocazione di profeta e non di pastore. Il profeta poteva meglio profetizzare all’estero, ma senza compromettere nessun altro. Un alto prelato riassunse il pensiero di molti dicendo: «Dom Hélder? Un santo, ma che tormento!».

La riabilitazione
Con la nomina a presidente del generale Ernesto Geisel (1974), iniziò una cauta liberalizzazione (definitiva con il ritorno alla democrazia negli anni Ottanta), nella quale anche a dom Hélder venne consentita maggiore libertà. Iniziò con una lunga intervista al Jornal do Brasil, a cui seguirono altre su giornali e riviste, compresi alcuni che prima lo avevano violentemente attaccato.
Paolo VI lo ricevette ancora più volte, molto affettuosamente, chiamandolo profeta, approvando i suoi viaggi, ma facendosi delicatamente anche latore delle preoccupazioni della Curia romana per la possibile strumentalizzazione dei suoi viaggi all’estero e per il danno che la diocesi poteva subire per le continue assenze del vescovo. Lo invitò a tornare da lui, ma non ebbe modo di rivederlo. Pochi giorni dopo l’ultima udienza, Paolo VI moriva, il 6 agosto del 1978.
Giovanni Paolo II venne accolto da dom Hélder all’aeroporto di Teresina, il 7 luglio del 1980, e il Papa gli riservò un saluto molto caloroso, ripetuto anche davanti alle televisioni a reti unificate, chiamandolo ripetutamente «amico mio, amico dei poveri»: un saluto che gli valse come pubblica riabilitazione in Brasile e nei settori della Chiesa che pure lo aveva osteggiato. Pochi anni dopo, nel 1984, al compimento dei 75 anni, dom Hélder presentò, come previsto dal diritto, le proprie dimissioni.
Dom Hélder continuò a viaggiare e a parlare, ora più libero di farlo, e constatò di persona di essere diventato da «l’arcivescovo rosso» il «messaggero di pace». Al suo ottantesimo compleanno, il governatore del suo Ceará lo chiamò in un discorso «profeta del Terzo Mondo». Certamente dom Hélder è stato un’icona, venerata o criticata, che ha vissuto con grande coerenza la sua missione di sacerdote e di vescovo, in un’epoca molto travagliata del Brasile, che pensiamo sia uscito migliorato dalla prova anche grazie alla sua preghiera e alla sua scomoda testimonianza di come incarnare il messaggio evangelico nella vita personale e sociale di ogni giorno.
È morto il 27 agosto del 1999, nella stessa modesta casa in cui aveva scelto di abitare da arcivescovo. Una vera devozione popolare per lui è già viva in Brasile.


Autore:
GianPaolo Salvini


Fonte:
www.notedipastoralegiovanile.it

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Aggiunto/modificato il 2021-11-30

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