Ciutad Barrios, El Salvador, 15 agosto 1917- San Salvador, El Salvador, 24 marzo 1980
Óscar Arnulfo Romero y Galdámez nacque il 15 marzo 1917 a Ciudad Barrios, nello Stato di El Salvador. Approfondì gli studi in vista del sacerdozio a Roma e venne ordinato lì il 4 aprile 1942. Dopo vari incarichi diocesani, divenne vescovo ausiliare della diocesi di El Salvador. Nel 1970 fu nominato vescovo titolare di Santiago de María. Quell’esperienza segnò l’inizio del suo impegno a favore degli oppressi del suo Paese. Quattro anni dopo divenne vescovo di San Salvador. L’uccisione del padre gesuita Rutilio Grande, unita ad altri eventi, lo condusse a schierarsi apertamente per i poveri: non solo tramite la parola scritta e le omelie, diffuse tramite i mezzi di comunicazione sociale, ma anche con la presenza fisica. Il 24 marzo 1980, monsignor Romero stava celebrando la Messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza di San Salvador, dove viveva. Al momento dell’Offertorio, un sicario gli sparò un solo proiettile, che l’uccise. È stato beatificato il 23 maggio 2015, a San Salvador, sotto il pontificato di papa Francesco. Lo stesso Pontefice lo ha canonizzato il 14 ottobre 2018 in piazza San Pietro a Roma. La memoria liturgica di monsignor Romero cade il 24 marzo, giorno della sua nascita al Cielo, in cui ricorre, dal 1992, la Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri. I suoi resti mortali sono venerati nella cripta della cattedrale del Divino Salvatore del Mondo a San Salvador.
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Óscar Arnulfo Romero nasce il 15 marzo 1917 a Ciudad Barrios, nello Stato di El Salvador. È il terzo degli otto figli di Santos Romero e Guadalupe de Jesús Galdámez, entrambi provenienti da famiglie borghesi. Viene battezzato l’11 maggio 1919.
A quattro anni si ammala gravemente: questo contribuisce a sviluppare in lui un carattere piuttosto introverso. Appena guarisce, s’impegna ad aiutare la famiglia, che sta attraversando un periodo difficile dal punto di vista economico. Impara dai genitori ad amare Dio e a dire le preghiere: in particolare, la madre gl’insegna l’Angelus e a pregare il Rosario.
Dal 1924 al 1927 frequenta la scuola del suo paese, che ha solo le prime tre classi del corso primario. L’anno successivo, viene ammesso a una piccola scuola privata aperta grazie all’iniziativa di alcune signore, compresa sua nonna: è l’unico maschio. Nello stesso anno 1928 riceve la Prima Comunione.
A dodici anni, terminata la scuola, diventa apprendista falegname. Intanto, però, la sua propensione allo studio e il modo con cui pregava non sfuggono al sindaco di Ciudad Barrios, Alfonso Leiva: fu a lui che Oscarito, come lo chiamano in casa, confida di voler diventare sacerdote.
Così, mentre il suo Paese entra in una fase particolarmente sanguinosa della sua storia, Oscar viene ammesso come alunno del Seminario minore di San Miguel. Trascorre tranquillamente quei primi anni della sua formazione, imparando anche ad aprirsi agli altri tramite la passione per la musica, che gli è stata trasmessa dal padre.
Nel 1937 passa al Seminario maggiore di San José de la Montaña, ma resta lì solo sette mesi: a ottobre, infatti, viene inviato a Roma per proseguire gli studi. A causa della seconda guerra mondiale, non riesce a rientrare a El Salvador: viene quindi ordinato sacerdote a Roma il 4 aprile 1942.
Quando torna in patria, gli trovano un posto in parrocchia. Poi diventa rettore del seminario interdiocesano di San Salvador, direttore di riviste pastorali e segretario della Conferenza Episcopale dell'America Centrale e di Panama.
È un uomo che conta, spiritualmente molto vicino all’Opus Dei. Quando nel 1970 diventa ausiliare del vescovo di San Salvador, sono in molti a stupirsi: lo considerano un conservatore che vorrebbe frenare l’azione innovativa intrapresa.
Timori e ostilità anche nel clero si manifestano maggiormente quando, nel 1977, diventa a sorpresa arcivescovo di San Salvador, cui si contrappone la gioia del governo e dei gruppi di potere, per i quali la nomina di questo vescovo quasi sessantenne, tutto “spirituale” e completamente “dedito agli studi”, è la miglior garanzia di un rallentamento dell’impegno per i poveri che l'arcidiocesi stava sviluppando con il predecessore.
Ci sono cioè fondate speranze che con lui la Chiesa di San Salvador si sciolga da ogni impegno sociale e politico, che la sua diventi una pastorale “spiritualizzata” e dunque asettica, disincarnata, disinteressata ad ogni evento politico.
Così si interpreta il suo rifiuto della Cadillac fiammante e del sontuoso palazzo di marmi che i proprietari terrieri subito gli offrono, come anche la sua mancata presenza alla cerimonia di insediamento del dittatore. Non bisogna però dimenticare che Romero fin dagli anni giovanili aveva fama di sacerdote austero, con una profonda spiritualità, una salda dottrina e un amore speciale per i poveri.
Molto semplicemente, di fronte all’oppressione e allo sfruttamento del popolo, osservando gli squadroni della morte che uccidono contadini, poveri e preti impegnati (incluso il padre gesuita Rutilio Grande, suo amico), il vescovo capisce di non poter fare a meno di prendere una posizione chiara. Istituisce una Commissione per la difesa dei diritti umani; le sue messe cominciano a diventare affollatissime; memorabili le sue denunce dei crimini di stato che ogni giorno si compiono.
Paga con un progressivo isolamento e con forti contrasti, sia in nunziatura che in Vaticano, la sua scelta preferenziale per i poveri: alcuni vescovi lo accusano di incitare «alla lotta di classe e alla rivoluzione», mentre è malfamato e deriso dalla destra come sovversivo e comunista.
«Non ho la vocazione di martire», confida, anche se predica che «uno non deve mai amarsi al punto da evitare ogni possibile rischio di morte che la storia gli pone davanti. Chi cerca in tutti i modi di evitare un simile pericolo, ha già perso la propria vita».
«Nel nome di Dio e del popolo che soffre vi supplico, vi prego, e in nome di Dio vi ordino, cessi repressione!», grida il 23 marzo 1980, nella sua ultima predica in cattedrale. Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, un sicario si intrufola nella cappella dell’ospedale, dove Romero sta celebrando, e gli spara dritto al cuore, mentre il vescovo alza il calice al momento dell’offertorio. Aveva appena detto: «Che questo corpo immolato e questo sangue sacrificato per gli uomini ci spinga a dare anche il nostro corpo e il nostro sangue al dolore e alla sofferenza come Cristo; non per noi stessi ma per dare al nostro popolo frutti di giustizia e di pace».
Chi lo ha conosciuto bene ha continuato a testimoniare che «Romero non era un rivoluzionario, ma un uomo della Chiesa, del Vangelo e quindi dei poveri». Del resto, il popolo salvadoregno lo ha subito ritenuto un martire e ha continuato a pregare sulla sua tomba, nella cripta della cattedrale del Divino Salvatore del Mondo a San Salvador.
Il cammino per verificare il suo effettivo martirio in odio alla fede è cominciato il 13 settembre 1993 col nulla osta da parte della Santa Sede. Ha visto quindi l’apertura della fase diocesana a San Salvador il 24 marzo 1994, conclusa il 1° novembre 1996 e convalidata il 4 luglio 1997.
La “Positio super martyrio” è stata presentata nel 2014, una volta superati tutti i dubbi relativi a un presunto coinvolgimento del vescovo nella Teologia della Liberazione. Il 3 febbraio 2015 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che ufficializzava il suo martirio.
Il 23 maggio 2015, nella Piazza Salvatore del Mondo di San Salvador, monsignor Romero è diventato dunque Beato, col rito presieduto dal cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come inviato del Papa. La sua memoria liturgica è stata fissata al 24 marzo, giorno della sua nascita al Cielo, che dal 1992 è la data in cui ricorre la Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri.
La canonizzazione è legata a un miracolo relativo a una gravidanza problematica. Una donna salvadoregna, Cecilia Maribel Flores Rivas, membro del Cammino Neocatecumenale, fu ricoverata in ospedale il 27 agosto 2015. I medici la fecero partorire con taglio cesareo, ma nei giorni successivi peggiorò: aveva una grave malattia al fegato e ai reni.
Poco dopo che i medici avevano comunicato a suo marito, Alejandro, che non potevano più fare nulla, l’uomo aprì la sua Bibbia, regalo di sua nonna: dalle sue pagine cadde un santino di Romero, a cui la nonna era molto devota. Per lui, fu un segno: doveva chiedere la sua intercessione.
Alcuni amici cominciarono a pregare, andando anche sulla tomba del vescovo. La preghiera, alla fine, coinvolse tutta la loro comunità. Dal 9 settembre i livelli vitali di Cecilia Maribel si rialzarono improvvisamente: nel giro di 72 ore fu dimessa dall’ospedale e da allora non ha più avuto quella malattia. Anche il bambino, Luis Carlos, gode di ottima salute.
L’inchiesta diocesana relativa si è conclusa nei primi giorni del marzo 2017. Il 26 ottobre seguente, la Consulta medica della Congregazione delle Cause dei Santi ha votato all’unanimità circa l’inspiegabilità scientifica del fatto. Sono quindi seguiti il parere positivo dei Consultori Teologi, il 14 dicembre 2017, e quello dei cardinali e dei vescovi membri della Congregazione, il 6 febbraio 2018.
Ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinal Angelo Amato, papa Francesco ha quindi autorizzato la promulgazione del decreto con cui l’accaduto riceveva la qualifica di miracolo, attribuito all’intercessione del Beato Óscar Romero. Con la canonizzazione, avvenuta il 14 ottobre 2018, il vescovo martire di El Salvador è diventato ufficialmente “San Romero delle Americhe”, come già da tempo veniva invocato.
Autore: Gianpiero Pettiti ed Emilia Flocchini
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