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Altavilla Irpina, Avellino, 30 giugno 1863 – Yentsepien, Cina, 21 luglio 1900
Padre Alberico Crescitelli, missionario del Pime, fu martirizzato in Cina nel 1900, durante la rivolta dei Boxers. Nato ad Altavilla Irpina (Avellino) nel 1863, a 17 anni era entrato nell'allora Pontificio seminario dei Santi Pietro e Paolo per le missioni estere. Nel 1887, poco prima di partire per la sua destinazione, lo Shensi meridionale, restò bloccato nel paese natale a causa di un'epidemia di colera, nella quale si prodigò. Raggiunta con un viaggio avventuroso la Cina, si dedicò ai cristiani del fiume Han e si spinse in altre località. Suscitò molte conversioni. Ma nel 1900 si abbatté la tempesta contro gli occidentali e, tra loro, i missionari. Dato che gestiva un asilo per ragazzi poveri, bisognosi di cibo, padre Alberico venne ingiustamente accusato di essere un artefice delle privazioni alimentari che la popolazione subiva. Il malcontento si sfogò contro di lui. Circondato dentro la dogana di Yentsepien, venne fatto uscire, torturato, ucciso, fatto a pezzi e gettato nel fiume. È santo dal 2000. (Avvenire)
Etimologia: Alberico = potente elfo, dallo scandinavo
Martirologio Romano: Presso Yanzibian vicino a Yangpingguan in Cina, sant’Alberico Crescitelli, sacerdote del Pontificio Istituto per le Missioni estere e martire, che, durante la persecuzione dei Boxer, crudelmente percosso quasi a morte, il giorno seguente fu trascinato lungo un selciato con i piedi legati fino al fiume, dove, fatto a pezzi e infine decapitato, ricevette la corona del martirio.
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Sant’Alberico Crescitelli fa parte del numeroso gruppo di 120 beati martiri in Cina e Vietnam (Tonchino), canonizzati tutti insieme il 1° ottobre 2000 da papa Giovanni Paolo II in Piazza S. Pietro.
Essi arrivarono al martirio per strade diverse, sia per luoghi che come date, inoltre facevano parte di svariate Congregazioni religiose missionarie e di nazionalità diverse unitamente ad un cospicuo numero di catechisti, collaboratori, e catecumeni cinesi; perlopiù vittime dell’odio fanatico anticristiano dei ‘Boxers’ o dei loro fiancheggiatori.
Alberico Crescitelli nacque il 30 giugno 1863 ad Altavilla Irpina (Avellino) da famiglia profondamente cristiana; il paese era già noto per il culto del glorioso martire s. Pellegrino, le cui reliquie ritrovate nel cimitero di S. Ciriaca a Roma, furono poi ricomposte e messe in un’urna di legno dorato e trasportate ad Altavilla nella chiesa maggiore, il 15 luglio 1780; per la presenza di queste reliquie e per il succedersi di miracoli attribuiti al santo martire, si instaurò un grande culto rendendo celebre il paese in tutta la Campania.
Da ragazzo il padre lo incaricò di controllare dei fondi agricoli di loro proprietà, questa attività giornaliera occupava molto del suo tempo, essendo i fondi distanti fra loro e se da un lato contribuì a dargli una competenza in cose agricole e una disposizione alle scienze naturali, dall’altra gli impedì di dare un approfondimento ai suoi studi elementari.
Il padre resosi conto di ciò, lo mandò a scuola dal cappellano don Fischetti, che con il poco tempo disponibile, si dedicò ad istruire Alberico, il quale da questo contatto giornaliero e con la sua guida spirituale, maturò la vocazione sacerdotale e così l’8 novembre 1880 a 17 anni e dopo matura riflessione, entrò nel Pontificio Seminario dei SS. Pietro e Paolo per le Missioni Estere (attuale Pontificio Istituto Missioni Estere) in Roma.
Trascorse sette anni di studi in questo Seminario, istituito essenzialmente per formare dei missionari e che dal 1883 aveva avuto affidata la parte meridionale dello Shensi in Cina. Studiò filosofia all’Archiginnasio Gregoriano e teologia alla Pontificia Università Lateranenese ed a quella Gregoriana, conseguendo con soddisfazione i gradi accademici.
Venne ordinato sacerdote il 4 giugno 1887, celebrando la Prima Messa nella Cappella dell’Istituto Missionario, assistito da mons. Gregorio Antonucci, neo-eletto Vicario Apostolico dello Shensi meridionale.
I suoi superiori ritenendolo preparato per l’apostolato missionario, ne disposero la partenza per l’autunno, concedendogli prima un periodo di riposo e di saluto ai suoi parenti nel paese natio.
Arrivato ad Altavilla Irpina il 10 luglio 1887, trascorse un paio di mesi fra la sua gente, partecipando alle funzioni e alla festa della Madonna del Carmelo; ai primi di agosto si recò per qualche giorno a Napoli, chiamato dal Visitatore Apostolico De Martinis, che gli propose di insegnare nel Collegio Cinese, fondato a Napoli dal servo di Dio sacerdote Matteo Ripa (1682-1746), ma Alberico, benché l’impiego potesse essere di tutto comodo per lui, rifiutò non ritenendolo conforme alla sua vocazione.
Dovendo partire l’8 settembre dal paese, cedette al desiderio della madre di restare qualche altro giorno, e così quando il 12 settembre scoppiò ad Altavilla Irpina una terribile epidemia di colera, egli era ancora lì e non volle più allontanarsene, associandosi con il permesso dei superiori, all’opera di assistenza di due altri sacerdoti, il già citato suo maestro don Giovanni Fischetti e don Cosimo Lombardi.
Il Comune di Altavilla fu il paese più colpito dall’epidemia di colera, che dal 13 settembre al 20 ottobre 1887, colpì 275 persone di cui ne morirono 103, i tre quarti della popolazione fuggì verso le campagne e in paese rimasero ben pochi per aiutare ed assistere gli ammalati, i moribondi e a dare sepoltura ai morti; fra queste benemerite persone vi fu anche padre Alberico Cresciteli, al quale il Ministro degli Interni dell’epoca, il 23 novembre 1889 conferì la medaglia di bronzo, come benemerito della pubblica salute.
Cessato il morbo, il 31 ottobre padre Alberico lasciò i familiari in lagrime e il suo paese e accompagnato da due cugini, partì per Benevento e da lì poi da solo per Roma, dove trovò ormai assegnatagli la meta della sua missione, cioè lo Shensi meridionale, ora diocesi di Hanchung.
Trascorsero alcuni mesi nella preparazione alla partenza e con le cerimonie della consegna missionaria del Crocifisso, l’udienza e la benedizione di papa Leone XIII, insieme ad un altro missionario padre Vincenzo Colli e infine il 1° aprile 1888, si accomiatò dai confratelli e superiori, partendo il giorno dopo per Genova, dove trovò anche il fratello Luigi che l’accompagnò fino a Nizza; i due missionari proseguirono poi per Marsiglia e l’8 aprile, imbarcati sul piroscafo ‘Sindh’ partirono per Shanghai e dopo una sosta a Hong Kong, località in via di sviluppo, che la Cina nel 1841 aveva ceduta all’Inghilterra, arrivarono a Shanghai il 14 maggio dopo 36 giorni di navigazione.
Qui cominciò tutta una vita fatta di avventura, trasferimenti in territori accidentati, risalite di fiumi ed affluenti, adattamento al clima, adeguamento agli usi e costumi locali, come il radersi i capelli lasciando solo un ciuffo a mo’ di treccia, sciogliersi nel parlare il linguaggio locale, che per quanto possa essere insegnato in una scuola europea, non è mai la stessa cosa del capirlo e parlarlo con scioltezza, sopportare tutti i riti pagani, cui dovevano assistere, come quello di aspergere il sangue di un gallo, sacrificato alle divinità dei fiumi prima di attraversarli; inchini continui, genuflessioni, bastoncini d’incenso, superare le rapide dei fiumi con il pericolo di infrangere la barca e tanti altri pericoli di ogni genere.
Dopo 81 giorni di barca e 2000 km di fiumi attraverso zone pagane, padre Crescitelli e padre Colli arrivarono a Siaochai, antica comunità cristiana adagiata sulla riva destra del fiume Han, sorta per l’opera ed i prodigi del missionario gesuita, il servo di Dio Stefano Lefèvre (1597-1657) martire e sepolto in un villaggio vicino.
Vennero accolti dai loro confratelli già presenti, coordinati dal Vescovo Vicario Apostolico mons. Antonucci; padre Alberico trascorse alcuni mesi ad Hachung, città dove i missionari avevano una residenza, per addestrarsi nella lingua, così ostica per gli europei, particolarmente per lui, come dirà nelle numerose lettere inviate alla madre in Italia, con la quale teneva un intenso legame spirituale.
Poi intraprese la sua attività missionaria visitando le comunità cristiane disseminate lungo il fiume Han, spingendosi ad Ovest verso Mienhsien e ad est fino a Han-yang-pin, dove edificò una chiesa.
Pensò di avvalersi delle sue competenze in agricoltura, formando delle colonie agricole, con lo scopo anche di riunire i cristiani troppo dispersi nel territorio. Nel gennaio 1900 gli vennero affidati i distretti di Mienhsien, Lioyang e Ningkiang che era il più lontano e scomodo, ma in cui padre Alberico Crescitlli lavorò particolarmente con fervore, raccogliendo un gran numero di conversioni e togliendo gli idoli dovunque glielo permettevano.
A questo punto una piccola panoramica sulla Cina di quel 1900, anzitutto la situazione economica nelle campagne, perché già dal 1898, contrariamente all’ostinata siccità, vi furono piogge interminabili che distrussero i raccolti e il seminare, facendo aumentare spaventosamente i prezzi di quel poco che si aveva e con provviste già esaurite.
Ci fu un razionamento dei viveri con sussidi, da cui furono esclusi i cristiani, a causa dell’ostilità che ormai serpeggiava fra i capi contrari alla religione ed agli europei. Padre Alberico Crescitelli, combatté in tutti i modi affinché i sussidi, concessi per fronteggiare la carestia, fossero estesi a tutti, riuscendo alla fine ad avere giustizia, ma con la contrarietà dei pagani, i quali erano convinti che la loro razione venisse così diminuita, questo sarà uno dei motivi che costerà la vita al missionario; del resto lo stesso Padre Crescitelli gestiva orfanotrofi con centinaia di bambini specie orfanelle e quindi bisognoso oltremodo di aiuti per sfamarli.
In campo politico si susseguivano le lotte di potere all’interno dello stesso palazzo imperiale di Pechino, con i tentativi non riusciti, dell’imperatore Kwangsu di avviare la Cina a diventare una potenza alla pari di quelle occidentali, e la presenza di 6000 Manciù con i loro interessi di casta, con a capo la settantenne imperatrice madre Thehsi; un fallito tentativo di eliminarla, provocò invece un mozzare di testa infinito, di tutti i consiglieri dell’imperatore ed il confino per lo stesso, che solo grazie alla mediazione dei Paesi Occidentali ebbe salva la vita, sottraendolo alla sanguinaria e vecchia madre.
In tutta la Cina, a seguito della politica antioccidentale di cui i missionari e la Chiesa erano l’espressione più lampante e radicata nel territorio, iniziarono persecuzioni, eccidi, ferimenti, omicidi di missionari e fedeli cristiani cinesi, con distruzione di chiese ed edifici collegati; un editto imperiale del 28 settembre 1899, sconfessava altri due precedentemente emessi a favore dell’opera missionaria, diventando una indiretta proscrizione della religione cattolica.
Inoltre comparve sulla scena la società segreta dei ‘Boxers’, presentata all’imperatrice come fedele alla dinastia e decisa a salvarla ad ogni costo dall’oppressione straniera, essi erano comandati da Yuhsien, viceré dello Shantung, uomo rozzo, crudele e nemico degli stranieri e quando uscì il decreto imperiale del luglio 1900 di espulsione o uccisione dei missionari stranieri, scatenarono una carneficina, cominciando con 29 fra suore, frati, sacerdoti missionari, vescovi, catechisti cinesi, uccisi in una orribile carneficina a colpi dì arma da taglio nel cortile del tribunale dove erano stati radunati con l’inganno.
Molti eccidi vennero perpetrati nei mesi seguenti, anche se la corte imperiale era fuggita a Sianfu, dopo l’intervento militare delle Potenze alleate, finché non venne firmato il protocollo di pace del 7 settembre 1901. E in questo periodo maturò il sacrificio estremo di padre Alberico Crescitelli, sempre attivo nell’apostolato nel distretto di Ningkiang; sollecitato a mettersi in salvo nella vicina provincia dello Sechwan, sia dai fedeli che dal Vicario; altri missionari erano già stati rimpatriati, quindi il missionario si avviò verso Yan-pin-kwan, un mercato sul fiume Kia-lin-kiang e attraversato un affluente che divideva Tsin-kan-ping dove abitava dal mercato, e salendo una stradina che costeggiava il fiume entrò nel mercato e nell’attraversarlo passò davanti all’edificio della dogana, dove si riscuotevano le tasse per l’attraversamento dei fiumi sui confini.
Qui il doganiere di nome Jao che l’aveva riconosciuto, con fare gentile e premuroso lo convinse a rimanere al sicuro nel piccolo edificio, perché la strada non era sicura e certamente sarebbe stato assalito; padre Alberico prima accondiscese, poi ebbe la sensazione di un tradimento e voleva allontanarsi, ma il doganiere ancora con insistenza lo fece rimanere.
Verso le undici di notte mentre pregava in un angolo, una plebaglia accerchiò l’isolato edificio, il doganiere facendo finta di essere rammaricato, gli indicò come unica possibile via di fuga la porta sul retro, dalla quale lo fa uscire, richiudendola alle sue spalle; bisogna dire che la dogana essendo ufficio pubblico non poteva essere violato da nessuno secondo le severe leggi; ma la porta di cui si parla, finiva verso la parte del monte così ripida che nessuno scalatore avrebbe potuto salirci, figurarci il padre missionario per niente allenato.
Padre Alberico fu preso subito da un gruppo di malfattori e mentre pregava in ginocchio e parlava loro chiedendo perché facevano questo a lui, che aveva fatto solo del bene, fu colpito da vari fendenti, uno sulla fronte la cui pelle staccatasi ricadde sugli occhi, un altro gli staccò quasi un braccio e un altro lo ferì al naso e alle labbra; poi tutti insieme la plebaglia prese a percuoterlo con bastoni e coltelli, lanciando grandi urla.
Non contenti di averlo ridotto così sanguinante e quasi incosciente, lo presero come una bestia, attaccato con le mani ed i piedi ad una grossa canna e a spalle lo portarono su un banco del mercato, dove poi proseguì il tormento del padre, a cui vennero bruciati barba e baffi; i pagani partecipavano a questi oltraggi considerandolo erroneamente responsabile della riduzione dei sussidi alimentari, come prima accennato.
Nonostante l’intervento di un mandarino militare, venuto dalla città ma con pochi soldati, in un momentaneo allontanarsi di costui per predisporre una barella per trasportarlo via; i capi della plebaglia pagana, forse anche mezzo ubriachi, gli legarono le caviglie con una corda e lo trascinarono ormai morente verso un luogo vicino al fiume, dove dopo alcuni tentativi di decapitarlo ma non riusciti, usarono una lunga lama (un attrezzo agricolo) come fosse una sega e così in due alla fine ci riuscirono.
Moriva così in questo modo, che definire barbaro è niente, il 21 luglio 1900 a Yentsepien, il grande missionario del P.I.M.E. padre Alberico Crescitelli, dopo dodici anni spesi per il bene materiale e spirituale dei cinesi; il suo corpo fatto a pezzi fu gettato nel vicino fiume.
Questo autentico martire della Chiesa e del grande movimento missionario che si ebbe in Cina in quei tempi, venne beatificato da papa Pio XII il 18 febbraio 1951 e come detto all’inizio di questo testo, è stato proclamato santo il 1° ottobre 2000 da papa Giovanni Paolo II.
Autore: Antonio Borrelli
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