Può succedere ad un papà di sognare di “soggiogar le stelle” e poi di non accorgersi della “stella” che ha in casa sua? È capitato ad Alberto Ambrosini, medico condotto e ricco proprietario terriero, uomo di vastissima cultura che per sua fortuna ha in moglie una donna più attenta di lui ai valori autentici della vita. Convinta che la felicità vera non dipende dalla quantità di cose che si sanno o che si possiedono, donna Filomena sa dare la giusta precedenza alle cose dello spirito, aiuta i poveri e prega assai, quasi sempre ad alta voce e soprattutto l’Ave Maria, con la quale condisce le sue normali azioni di ogni giorno. Così nessuno si stupisce se proprio “Ave Maria” sono le prime parole che la loro unica figlia Rachele balbetta, ancor prima delle più comuni di “mamma” o “papà”, che tradizionalmente i bambini imparano. Rachele è speciale in tutto: a quattro anni racconta a mamma di aver visto la Madonna nel giardino di casa; a otto anni, ammalata di morbillo, racconta alla maestra di aver ricevuto la visita di Sant’Antonio, che insieme alla guarigione le porta l’annuncio che prima dei 16 anni lo raggiungerà in paradiso; molto precoce ed intelligente, deve a tutti i costi imparare a scrivere e leggere prima del tempo, per la civetteria tipicamente borghese che anche in questo vorrebbe distinguersi dalla plebe. Lei che potrebbe aver tutto dalla vita, dai vestiti di lusso alle ricche merendine, impara da subito a dividere quello che ha: un atteggiamento che solo in parte ha ereditato da mamma, perché di tipicamente suo c’è quel cercare Gesù in ogni povero che incontra, in ogni sofferente che consola. Nata in Irpinia nel 1925, cresce nel minuscolo borgo di Passo di Dentecane (AV) dove lei è la “padroncina”: possiamo, dunque, solo immaginare lo sconcerto di papà, che a lei già avrebbe preferito un erede maschio, nel notare la spiccata preferenza di Rachele per le figlie dei suoi fittavoli, la sua indifferenza per i vestiti eleganti e, una volta diventata signorina, la sua decisa avversione per le feste da ballo e gli incontri mondani. Allegra, vivace e spensierata, è l’anima della classe e l’amica preferita di tutte e tale continua ad essere anche quando si trasferisce prima a Bari per il ginnasio, poi a Roma per il liceo. In più, con l’adolescenza, trova anche una profonda pace del cuore che sembra contagiare chiunque la avvicini e che nasce da un’ intima comunione con Gesù, il “suo sposo”, cercata ed approfondita con la preghiera, la meditazione, il sacrificio. “Molte sono le gioie della vita, ma una sola è la più bella, che nemmeno noi sappiamo a volte definire: la gioia del cuore. Il denaro e la ricchezza non servono a nulla, quello che conta è la bontà del cuore”, scrive in quegli anni, quasi riassumendo il suo itinerario spirituale. Sembra aspirare ad un “di più” che non appartiene a questo mondo: lo si rileva dai consigli che generosamente regala alle amiche: “Ama la vita come l'unico mezzo col quale potrai raggiungere una eterna felicità in Cielo; amala come dono di Dio, stringila con affetto anche se ha la forma di una croce". Nel momento in cui scrive queste parole la croce sta già contrassegnando la sua vita: prima un’otite purulenta, poi un malessere diffuso, infine una meningite. "La sofferenza è come una mandorla amara. Tu la butti via, credi che sia finita nella fredda terra. Invece ripassando per quel posto, dopo alcuni anni, troverai un bel mandorlo in fiore", aveva scritto e la parabola della mandorla amara per lei si avvera il 10 marzo 1941, quando muore in un ospedale romano prima del compimento dei suoi 16 anni, esattamente come le aveva profetizzato sant’Antonio. A noi, dopo 70 anni, lo spettacolo di una meravigliosa fioritura, come di un mandorlo in fiore: Rachelina Ambrosini continua a far parlare di sé, si parla di miracoli per sua intercessione, tanto che la diocesi di Benevento nel 1995 ha dato inizio alla sua causa di beatificazione che ora sta proseguendo il suo iter presso la Congregazione dei Santi.
Autore: Gianpiero Pettiti
“La sofferenza è come una mandorla amara. Tu la butti via, credi che sia finita nella fredda terra. Invece ripassando per quel posto, dopo alcuni anni, troverai un bel mandorlo in fiore”.
Sono i pensieri di un’adolescente che non aveva compiuto ancora quindici anni, ma che già era molto matura sulle cose della vita, dimostrando di possedere una conoscenza che forse non era già più di questa terra, ma apparteneva al cielo. E al cielo sarebbe presto ritornata questa ragazza fatta per il cielo: Rachele Ambrosini.
Era nata nella frazione Passo del comune di Pietradefusi (Av) il 2 Luglio 1925, figlia unica del dottore Alberto e di Filomena Sordillo. I suoi erano molto benestanti, il padre infatti oltre che medico era anche un ricco proprietario terriero. Ma a Rachelina non interessavano i soldi della famiglia, i privilegi della sua condizione sociale.
Fin da bambina prediligeva i piccoli, gli umili, i poveri, a cui manifestava ogni forma di carità. Lei, la padroncina, amava più di tutto la compagnia delle figlie dei coloni di suo padre. Da alunna delle elementari donava ogni giorno la propria merendina ai compagni più indigenti che ne erano privi.
A otto anni venne colpita da una malattia che la ridusse in fin di vita. Fu miracolosamente guarita da sant’Antonio che le apparve dicendole che sarebbe tornato a prenderla verso i 16 anni. Un evento misterioso e soprannaturale che non fu l’unico: aveva solo quattro anni, infatti, quando, con assoluta, sconvolgente semplicità, aveva confidato alla madre – giustamente esterrefatta - di aver visto nel giardino la Madonna, come se fosse una cosa normalissima.
E per lei sicuramente lo era, il mondo interiore di Rachelina era popolato di pensieri, sentimenti e aspirazioni molto più profondi e più vasti di quelli di tante sue coetanee. Era diversa, ma senza alcuna affettazione,al contrario, con grande semplicità.
Un so che di speciale le si poteva leggere sul viso, così dolce ed espressivo, sereno, limpidissimo. Rachelina pregava con serietà e compostezza in chiesa, a casa e tra le amiche proponeva sempre di recitare insieme il rosario, per il quale nutriva una devozione speciale.
A scuola studiava con impegno e profondo senso del dovere, era un’alunna molto rispettosa degli insegnanti e sempre disponibile ad aiutare i compagni. Umilissima, nonostante le ricchezze paterne, vestiva senza ricercatezza, come le ragazze meno abbienti. La sua parola d’ordine era: semplicità.
Frequentò le medie e il ginnasio a Bari, quindi si trasferì a Roma per iniziarvi il primo liceo, quando un male repentino e senza scampo, una meningite acuta, l’aggredì a soli quindici anni d’età.
Si chiamarono a consulto i più grandi specialisti, persino il prof. Frugoni, un luminare dell’epoca, ma il destino di Rachelina era ormai segnato.
E lei sembra comprenderlo assai bene e non se ne mostra affatto rattristata, anzi la si direbbe quasi contenta di lasciare questa terra per il Cielo. È questa infatti la meta che ha sempre agognato, e la raggiunge il 10 Marzo 1941, mentre nel nostro Paese già infuria la triste bufera della guerra.
L'8 Aprile 1995, nel Duomo di Benevento, si è chiuso il processo Diocesano per la sua Canonizzazione. Nel 2001 è stata approntata la Positio, depositata in Vaticano. Il 10 maggio 2012 è stato promulgato il Decreto che la dichiara Venerabile.
Molte infatti sono le grazie e i fatti straordinari segnalati. Di recente si è anche verificato il caso di una guarigione “inspiegabile” che potrebbe aprire alla giovanissima Serva di Dio la strada verso gli altari: un uomo di circa 40 anni, celibe, architetto, sarebbe stato guarito da un cancro alla lingua con metastasi diffusa proprio grazie all’intercessione di Rachelina Ambrosini.
Autore: Maria Di Lorenzo
|