L’essere santi non è un privilegio di pochi, ma una meta per tutti, senza limiti di età o condizione sociale; i giovani in particolare, seguiti dagli adolescenti e dai ragazzi, non sono mai mancati nella storia della Santità Cristiana; anche se per un lungo periodo, la Chiesa non ha preferito proclamare santi o beati dei fanciulli o adolescenti. Poi questa preclusione è venuta meno e tanti giovani e ragazzi sono saliti o stanno per salire all’onore degli altari, inoltre le cause in corso hanno subito un’accelerazione; ne citiamo alcuni: Servi di Dio: Silvio Dissegna 12 anni di Moncalieri (TO); Aldo Blundo 15 anni di Napoli; Angela Iacobellis 13 anni di Napoli; Girolamo Tiraboschi, novizio camilliano di Cremona; Giuseppe Ottone 13 anni di Torre Annunziata (NA); venerabili Maggiorino Vigolungo 14 anni, aspirante Paolino di Benevello (Cuneo); Mari Carmen Gonzalez-Valerio 9 anni spagnola; i beati Giacinta Marto 10 anni e Francesco Marto 11 anni, veggenti di Fatima in Portogallo; beato Nunzio Sulprizio 19 anni di Napoli; beato Pedro Calungsod di 18 anni, martire filippino; beati David Okelo 16 anni e Gildo Irwa 12 anni, martiri ugandesi; beata Laura Vicuña 13 anni cilena; san Domenico Savio 15 anni, oratoriano di don Bosco; santa Maria Goretti 12 anni di Nettuno (Latina), ecc. Velocemente accenniamo anche ai santi adolescenti e martiri dei primi tempi cristiani, come s. Tarcisio, s. Vito, s. Pancrazio, s. Agata, s. Agnese; a questo incompleto elenco, si aggiunge la miriade di ragazzi e fanciulle volati al cielo prematuramente e che hanno lasciato una scia luminosa di virtù ed esempio, tanto da meritare di essere additati come ‘Testimoni della fede del nostro tempo”.
A questo gruppo appartiene il portoghese Fernando Calò di 17 anni, il quale nacque in piena guerra Mondiale nel 1941, probabilmente ad Estoril in Portogallo; fu uno dei tanti bambini nati da un rapporto fugace, specie in tempo di guerra, quando il domani era privo di ogni certezza. Non conobbe mai il padre, il calore di una casa e l’affetto di una famiglia; la mamma Giuseppina Perreira, ragazza-madre, faceva la domestica e trascorreva poco tempo con lui. Fu affidato ad un orfanotrofio, da dove non si sa perché, passò in un ospizio per vecchi, dove patì la fame e povertà e naturalmente la mancanza di svago e la serenità necessaria per ogni bambino. Trascorse presso una zia qualche mese, ma la sua vivacità repressa per tanto tempo, non era sopportata, perciò la zia lo collocò nell’Istituto Salesiano di Estoril, tornando ogni sera nella poverissima casa con la mamma. Fernando scoprì così un nuovo mondo, poteva correre e giocare al calcio, sua grande passione nel vasto cortile dell’Istituto senza essere rimproverato continuamente; ma con i Salesiani questo bambino di otto anni, conobbe anche la gioia della preghiera e la devozione alla Madonna (era stato battezzato quasi per caso ad un anno e mezzo) e a sera quando tornava dalla mamma pregava con lei prima di addormentarsi. Purtroppo la madre, resa dura dalla vita stentata, da anni non frequentava più la chiesa e quando Fernando la domenica l’invitava ad andare a Messa con lui, trovava sempre una scusa per non andarci. Terminate le scuole elementari, passò alla scuola professionale, sempre dei Salesiani a Lisbona. Profondeva molto impegno nello studio riuscendo anche bene nel profitto, ma non sempre riusciva a tenere a bada il suo temperamento focoso, scattava ad ogni rimprovero o contrasto con i compagni, riuscendo a stento a trattenersi; sempre incline a buttar fuori tutta la rabbia che aveva in sé; irruente, vivace e ribelle, frequentava fra i compagni, alcuni poco raccomandabili. Con questo quadro era logico che stesse sempre sotto il controllo degli assistenti, ma il direttore dell’Istituto aveva ben compreso la parte nascosta della sua personalità e delle sue qualità e un giorno lo chiamò e gli fece una proposta abbastanza singolare, essere apostolo proprio tra quei compagni più difficili e recalcitranti. Fernando capì la fiducia del direttore nei suoi riguardi e quindi accettò; formò un gruppetto di quattro amici con carattere difficile e con loro iniziò un lavoro di apostolato, basato prima di tutto sul suo cambiamento interiore, migliorava ogni giorno diventando paziente e docile, acquistando un maggiore equilibrio nel dominare i suoi scatti e la sua passione, il gioco del calcio. Verso la fine del 1954 iniziò a scrivere un diario, che è rimasto il testimone del suo impegno a migliorare; il 20 febbraio 1955 scriveva: “Primo giorno di Carnevale. Per riparare le offese che Gesù riceve sono andato in cerca di alcuni compagni per pregare insieme. Ho chiesto a Gesù di avere compassione di tutti quelli che lo offendono con divertimenti cattivi”; “Un ragazzo mi ha chiesto la merenda. Mangiavo di gusto. Ma offrii il piccolo sacrificio per la conversione di mia madre”. Nel marzo 1956 le sue preghiere furono esaudite, la mamma decise di confessarsi, fra la gioia di Fernando; negli Esercizi Spirituali tenuti nell’aprile 1956 prese tre impegni: 1 – Voglio soggiogare la mia curiosità; voglio mortificare la mia vista. 2 – Voglio essere un apostolo della Vergine Immacolata. 3 – Voglio essere sacerdote. Ma il Signore chiedeva a Fernando molto di più. Il 20 aprile 1956 durante una partita di calcio nel cortile, andò a sbattere con violenza con la testa contro una colonna del porticato. L’impatto fu tremendo e rimase stordito per un po’ di tempo, passò qualche giorno in infermeria, ritornato a giocare con i compagni ebbe uno scontro con un avversario di gioco, la classica zuccata, subentrarono fortissimi dolori di testa, sproporzionati all’accaduto. Fu ricoverato nell’ospedale di Lisbona e lentamente perse l’udito, i medici non capivano cosa poteva essere successo nella testa di quel ragazzo che peggiorava ogni giorno. Si decise di operarlo, nel frattempo un compagno preoccupato gli domandò: “Fernando e se morissi?”, rispose “Sono pronto!… Si gioca a calcio anche in Paradiso, no?”. Il 26 luglio 1956 entrò in sala operatoria, da dove purtroppo non uscì vivo, aveva quasi 17 anni.
Autore: Antonio Borrelli
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