Varese, 24 agosto 1936 – 29 maggio 1950
Domenico Zamberletti nacque a Santa Maria del Monte, oggi borgo di Varese, in diocesi di Milano, il 24 agosto 1936, secondo di tre figli. Crebbe sotto la guida dei genitori, educato alla carità e alla generosità verso i poveri. Frequentava con la famiglia il santuario di Santa Maria del Monte, sul Sacro Monte di Varese, dove prestava servizio liturgico come chierichetto e, a partire dai nove anni, come organista titolare. Nell’ottobre 1947, Domenichino, come lo chiamavano tutti, divenne allievo esterno del Collegio dei Salesiani a Varese, per le scuole medie. Anche lì continuò il suo cammino spirituale, aiutato dai sacerdoti e dagli educatori del Collegio. Vinse per tre volte il primo premio nella gara catechistica dei chierichetti della diocesi di Milano: in una di quelle occasioni, ebbe in premio un viaggio a Roma, nell’ottantesimo di fondazione della Gioventù Maschile di Azione Cattolica. Fu allora che in lui iniziò a sorgere il pensiero di diventare sacerdote. Nel gennaio 1949 iniziò a non sentirsi bene: cominciò ad assentarsi da scuola per febbre e dolori alle ossa. Quasi un anno dopo, fu chiaro che aveva la leucemia. Nei mesi seguenti, Domenico si dispose a offrire la propria sofferenza per il Papa, per i sacerdoti, per i bambini poveri e per gli educatori, esortando soprattutto la madre a fidarsi di Dio. Morì in casa sua il 29 maggio 1950, a quattordici anni non ancora compiuti. Riposa nel cimitero adiacente al santuario del Sacro Monte di Varese, nella tomba delle famiglie Zamberletti-Camponovo.
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Domenico Zamberletti nasce il 24 agosto 1936, nella famiglia dei gestori dell’albergo Camponovo, localizzato a pochi passi dal celebre santuario che domina il Sacro Monte di Varese. Pur cresciuto tra pentole e fornelli, gattonando tra i tavoli e familiarizzando con i clienti, è chiaro fin da subito che quello dell’albergatore non sarà il suo destino. All’attività di famiglia preferisce di gran lunga il vicino santuario, di cui già a sei anni diventa il chierichetto più affezionato e solerte e, a nove anni appena, addirittura organista titolare. Quello della musica è un dono naturale, di cui i genitori si accorgono sentendolo suonare “a orecchio” al pianoforte dell’albergo, e che hanno l’accortezza di coltivare senza trasformare lui in un bambino prodigio. Oltre ad accompagnare all’organo le messe solenni, destreggiandosi in deliziose “improvvisazioni” durante la consacrazione, Domenichino a neppur dodici anni si rivela anche compositore di una messa a una voce e di numerose pastorali natalizie. La scintilla scocca sui dieci anni: vincitore del Premio-Roma messo in palio nella gara catechistica diocesana, vedendo in piazza San Pietro tanti sacerdoti intenti alle confessioni dei ragazzi, si sente nascere dentro la voglia di essere prete, magari tra i Camilliani, certamente in veste di missionario. Intanto va a scuola dai Salesiani a Varese e lì si innamora di don Bosco. La sua spiritualità fa progressi: la preghiera diventa intensa e fervorosa, sempre più intenso il desiderio di far sempre la volontà di Dio, ancora più insistente la spinta ad accompagnare il cammino dei suoi amici verso Gesù, cioè, come si diceva allora, a far apostolato. Ha la stoffa del leader e riesce a far presa sui coetanei e particolarmente sui chierichetti, dei quali diventa cerimoniere attento e scrupoloso, aiutandoli ad entrare nel vero spirito della liturgia in cui lui, evidentemente, si trova già da tempo più a che a suo agio. Il “cocco della Madonna”, come lo chiamano in casa, ha una devozione tenerissima per la mamma di Gesù, alla quale indirizza volentieri i suoi piccoli amici: è forse anche per questo che il suo santuario, che è la “casa della Madonna”, gli è così familiare e vi si trova così bene. A gennaio 1949 si manifestano i sintomi di una strana malattia, caratterizzata da febbre alta, vomito e dolori articolari, che i medici per un anno non riescono a diagnosticare: soltanto nel successivo mese di dicembre, infatti, alla Columbus di Milano riescono ad individuare una rara forma leucemica, all’epoca inguaribile, malgrado ogni tentativo di cura, anche dolorosa, cui viene sottoposto e nonostante il suo prepotente desiderio di star bene «per diventare sacerdote». Le crisi della malattia sembrano inspiegabilmente acuirsi ogni venerdì, e in modo particolare il 7 aprile 1950, Venerdì Santo, tanto che qualcuno è portato a vedere in ciò una relazione con la passione di Gesù, alla quale comunque Domenichino è costantemente unito, tutto offrendo per la salvezza degli altri, anche l’inappagato desiderio di essere prete. Chiude per sempre i suoi occhi il 29 maggio 1950, annunciando con gioia che la Madonna gli sta venendo incontro: da meno di tre mesi era Beato Domenico Savio, al quale si sentiva legato non solo dal nome, ma anche dal desiderio di raggiungere in fretta la santità. La sua tomba si trova nel piccolo cimitero del Sacro Monte di Varese: su di essa vengono lasciati pupazzetti e giocattoli, quasi ex voto di chi si affida alle sue preghiere. Sorprende, malgrado il tempo trascorso, che ancora oggi sia così, perché i genitori non hanno perso l’abitudine di salire fin lassù a chiedere la guarigione o la conversione dei loro figli. Non si è mai bloccato il flusso di grazie attribuite alla sua intercessione, quasi a compimento della promessa pronunciata in punto di morte: «Quando avrete bisogno di qualche grazia chiedetela a me, ma chiamatemi, chiamatemi…».
Autore: Gianpiero Pettiti
Domenico Zamberletti nacque il 24 agosto 1936 a Santa Maria del Monte, oggi frazione di Varese, in diocesi di Milano, figlio di Renato Zamberletti e della moglie Giuditta, proprietari e gestori dell’albergo Campodonico, ai piedi del Sacro Monte di Varese. I genitori cercarono di trasmettere ai figli – Domenico era il secondo di tre – la carità verso i poveri. Ogni giorno, sulla loro tavola, c’era un piatto in più per “Cristo affamato”, ovvero per chiunque si fosse presentato all’albergo bisognoso di cibo. Pur essendo il “padroncino”, il bambino aiutava a modo suo la servitù. Amava la musica in modo particolare: ancora piccolo aveva iniziato a suonare esercitandosi sul pianoforte dell’albergo, improvvisando delicate melodie. A nove anni divenne organista ufficiale del Santuario: seguendo il consiglio del padre, prese a suonare senza spartito durante la Consacrazione, lasciando spazio al cuore di suonare ciò che sentiva. Una volta una signora, commossa dalla melodia inedita, ne chiese lo spartito e Domenico rispose: «Mah… non ce l’ho! La musica mi è sgorgata dal cuore, ma io non ricordo nemmeno una nota». Continuò a suonare liberamente, anche per i propri compagni e parenti. Scelse di andare a scuola presso il Collegio Salesiano di Varese: per raggiungerlo prendeva ogni mattina la “cremagliera” del Monte e poi il tram. Intelligente, sveglio, curioso, sotto la guida del suo confessore, con la preghiera e la mortificazione e compiendo gioiosamente i propri doveri, riuscì a raggiungere mete spirituali sconosciute a molti degli allievi. Ogni mattino, prima della scuola, il ragazzo si recava nella cappella del collegio: si confidava con la Madonna Ausiliatrice e con san Giovanni Bosco, suoi celesti protettori. A lui e agli altri allievi veniva poi proposto l’esempio di Domenico Savio, per il quale al tempo la canonizzazione non era ancora stata celebrata. Anche fuori dalla scuola, la preghiera lo attraeva notevolmente, al punto che un giorno una suora dovette scuoterlo dal suo raccoglimento per farlo andare via e lui: «È già ora di andare? Non mi accorgo del tempo che passa». Ai primi di gennaio del 1949 si presentarono i primi sintomi di una grave malattia: inizialmente fu trattata come una pleurite, ma successive visite svelarono che si trattava di leucemia. Negli otto mesi seguenti, Domenico fece del suo meglio per offrire la sua condizione per il Papa, il clero, i malati, i bambini poveri e gli educatori. Fu udito affermare: «So che non guarirò, il Paradiso è assicurato»; «Non voglio essere incosciente quando muoio… è Domenico Savio che mi viene incontro»; «Mamma, quando non ci sarò più, va’ a trovare i bambini che soffrono negli ospedali, va’ a nome mio. Hanno tanto bisogno di conforto»; «Mi sarebbe piaciuto tanto aver potuto tenere Gesù nelle mie mani, ma si vede che devo essere sacerdote in Paradiso», «Mamma, ho chiesto alla Mamma Celeste di venirti a consolare». Il 29 maggio 1950, Domenico spirò con un grido gioioso: «Mamma, mi viene incontro la Madonna!». La sua tomba è nel cimitero del Sacro Monte di Varese.
Autore: Antonio Borrelli
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