Infanzia e famiglia
Riccardo Gil Barcelón nacque a Manzanera di Teruel, presso Valencia in Spagna, il 27 ottobre 1873. I suoi genitori, Francisco Gil e Francisca Barcelón, erano di nobili origini e benestanti. La famiglia era numerosa: contava tre figli maschi e sei femmine. Riccardo fu battezzato il giorno dopo la nascita, nella chiesa del suo paese.
I Gil conducevano una vita cristianamente esemplare. Nella casa di Torrijas, residenza abituale della famiglia, esisteva un oratorio dedicato alla Madonna del Carmine, unico resto dell’antica nobiltà in cui vivevano, insieme al loro motto: «Malo mori quam foedari», «Preferisco morire che tradire». Inoltre, la madre si interessava fattivamente di una trentina di poveri.
L’inizio della formazione
Nel 1885, appena dodicenne, Riccardo entrò nel Seminario diocesano, dove fu valutato «alunno diligente e capace». Lo frequentò per tre anni come interno, poi come esterno, seguendo gli studi ginnasiali e di filosofia. Nel 1887 ricevette la Cresima a Torrijas, nella stessa parrocchia dove aveva fatto anche la Prima Comunione.
Seguendo gli ordini del padre, nel 1889 s’iscrisse alla Scuola Normale di Teruel, per diventare maestro. Tuttavia, mentre stava per sostenere gli ultimi esami, venne espulso: a più riprese, infatti si era scontrato verbalmente col direttore, massone e anticlericale, per difendere la Chiesa e la fede cristiana.
Militare nelle Filippine
Nel 1893 compì il servizio militare nelle Filippine, all’epoca territorio spagnolo. Tre anni dopo, nel mese di aprile, scoppiò la guerra ispano-americana. Durante un’azione di guerra, Riccardo si trovò abbandonato dai commilitoni e quasi accerchiato dai nemici. A quel punto s’inginocchiò e pregò la Madonna del Carmine di avere salva la vita; così fu.
Già dotato per la musica, nel tempo libero dalle esercitazioni aveva imparato a suonare vari strumenti. Per questa ragione, i superiori decisero di non mandarlo al fronte. Nello stesso periodo, riprese gli studi presso l’Istituto San Giovanni in Laterano di Manila, retto dai padri Domenicani. Il 2 marzo 1899 ottenne il titolo di Baccelliere in Arti, con ottimi voti.
Verso il sacerdozio
Continuò gli studi indirizzandosi verso le materie teologiche presso l’Università San Tommaso d’Aquino di Manila, perché ormai aveva deciso di diventare sacerdote. Nel 1900 ricevette la Tonsura e gli ordini minori; tre anni dopo gli vennero conferiti il Suddiaconato e il Diaconato. Per qualche tempo fu richiamato alle armi, ottenendo alcune decorazioni per meriti di guerra.
Ottenuto il congedo, poté ricevere l’ordinazione sacerdotale, il 24 settembre 1909. Fu incardinato nella diocesi di Manila e nominato cappellano della Delegazione Apostolica.
Ritorno in Spagna
Ma i suoi ideali erano di radicalità evangelica, specie per la carità verso i poveri. Pertanto nel 1905, col permesso dei superiori, ottenne di ritornare in Spagna per ragioni di salute. Nel mese di marzo sbarcò a Valencia e, dopo due mesi di convalescenza, raggiunse i familiari a Torrijas. Il vescovo di Teruel l’incaricò di realizzare una scuola per ragazzi poveri, ma padre Riccardo distribuì ai poveri il denaro che gli era stato dato per arredare l’appartamento che avrebbe ospitato la scuola.
I suoi turbamenti aumentarono dopo che suo fratello Eugenio era stato colpito da un fulmine, ma sopravvisse, e dopo la morte improvvisa della loro madre. Continuava a prestarsi per vari ministeri, ma non era affatto felice: «Ho un groviglio di pensieri e di desideri che nemmeno io riesco a mettere in ordine per capirci qualcosa», confidò a suo padre.
Si stabilì quindi presso il Seminario di Valencia, ma passò a vivere praticamente da eremita, occupandosi dei poveri e dei bambini. Neanche i mesi che passò come novizio dei padri Domenicani ad Avila, dal gennaio 1907, gli servirono per fare chiarezza. Trascorse quindi un periodo presso i Terziari Cappuccini dell’Addolorata a Torrentes, aiutandoli sia come sacerdote, sia nei lavori manuali.
Pellegrino verso Roma
A quel punto, sempre più confuso, decise di fare come gli antichi pellegrini. Il 6 aprile 1909 partì a piedi da Torrijas, alla volta di Roma. Lungo il cammino chiedeva elemosine e ospitalità, spesso dormendo all’aperto.
Dopo tre mesi esatti, il 6 luglio, giunse a Roma. Fu ospitato prima dai Canonici Regolari Lateranensi, poi alla Casa Spagnola dei Pellegrini. Dopo circa sei mesi, però, il Vicariato di Roma non gli concesse la facoltà di celebrare. Ricominciò dunque a elemosinare e a vivere di stenti.
Un incontro davvero provvidenziale
Il 4 febbraio del 1910, padre Riccardo volle andare a pregare davanti alle reliquie di san Filippo Neri nella chiesa di Santa Maria in Vallicella, detta Chiesa Nuova, ma la trovò ancora chiusa. S’inginocchiò fuori a pregare, ma rimase così raccolto da non accorgersi che un altro sacerdote, giunto nel frattempo, si era avvicinato e aveva cominciato a osservarlo.
«Chi siete?», domandò. «Sono un figlio della Divina Provvidenza!», rispose padre Riccardo. L’altro esclamò: «Anch’io lo sono! Allora mi appartenete un poco. Io ho una Congregazione i cui religiosi si chiamano Figli della Divina Provvidenza». Si trattava di don Luigi Orione (canonizzato nel 2004), che aveva fondato la Piccola Opera della Divina Provvidenza, che comprendeva anche religiosi con quel nome.
I due parlarono a lungo, mentre padre Riccardo si sentiva sempre più rasserenato. Don Orione gli disse di presentarsi a nome suo alla chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri, la casa romana della sua Opera. Dopo aver raccolto buone referenze sul suo conto, decise di accoglierlo definitivamente, cercando però di non forzare la sua eventuale decisione di diventare davvero un Figlio della Divina Provvidenza.
Padre Riccardo discepolo di don Orione
Lo mandò poi a Tortona, sede della casa madre della sua Opera. Riconobbe presto le doti umane, spirituali e culturali di padre Riccardo. Per cominciare, lo inviò a Messina, nelle zone devastate dal terremoto del 1908, quindi, dal settembre 1910, a Cassano allo Ionio. Lì esercitò il ministero nel santuario della Madonna della Catena, occupandosi in pari tempo dei bambini orfani.
Nel 1912 emise i voti temporanei. Nello stesso anno, raggiunse don Orione a Reggio Calabria, dove si trattenne per circa dieci mesi. Nel maggio 1913 tornò a Cassano, riprendendo i precedenti incarichi.
Nel maggio 1923 tornò a Tortona, come insegnante di spagnolo ai Figli della Divina Provvidenza destinati alle missioni estere. Lui stesso, più volte, fece domanda per esservi inviato, ma don Orione non accolse quel suo proposito.
Volle piuttosto che, dopo un breve soggiorno in Spagna per la morte del padre, seguisse la Colonia Agricola di via Massimi a Roma e, dal 4 novembre 1924, la parrocchia di Ognissanti. Padre Riccardo trascorreva ore in confessionale, ascoltando le pene di tanti fedeli, ma lui stesso era in preda agli scrupoli, tanto da far preoccupare i confratelli.
La prova della prigionia
Dal 2 gennaio 1928 fu di nuovo a Cassano allo Ionio. Nel maggio successivo, però, fu accusato insieme a fra Gaetano Cremaschi, Eremita della Divina Provvidenza, di aver rapito e ucciso una bambina, scomparsa durante la festa patronale della Madonna della Catena.
Don Orione soffrì molto, ma era anche certo dell’innocenza di padre Riccardo: «Sarei pronto, per così esprimermi, a camminare sui carboni accesi dal Piemonte alla Calabria per difenderlo», scrisse. Il 5 luglio, dopo quasi due mesi di prigionia nel carcere di Castrovillari, furono rimessi in libertà «per inesistenza di indizi e infondatezza dei sospetti». Fratel Cremaschi, per le privazioni e le offese morali subite, morì il 18 luglio. Per riprendersi da quella dura prova, padre Riccardo trascorse qualche mese a Tortona, poi, fino al giugno 1929, a Villa Moffa di Bra, sede del noviziato.
Missionario nel suo Paese
Alla fine, nel 1930, d’accordo con don Orione, ritornò in Spagna, per aprire la prima sede dei Figli della Divina Provvidenza in quella terra. Ormai, però, si era alla vigilia della guerra civile: chiese e monasteri erano dati alle fiamme, mentre sacerdoti, religiosi e laici impegnati erano oggetto di persecuzione.
Dal settembre 1931 fu residente nella città di Valencia, in vari appartamenti. La casa era poverissima, ma sempre aperta per accogliere i più poveri. I guadagni che otteneva dalle celebrazioni della Messa andavano puntualmente in mano a quanti l’aspettavano già alla porta della chiesa.
L’incontro con Antonio Arrué Peiró
Un giorno, fuori dalla chiesa di Nostra Signora degli Abbandonati, incontrò un giovane, di nome Antonio Arrué Peiró, ventitreenne. Orfano di entrambi i genitori, abbandonato a se stesso dagli altri parenti, fu ricoverato in un ospedale psichiatrico, ma riuscì a fuggire per due volte: desiderava infatti diventare missionario.
Padre Riccardo lo prese in casa propria, cominciando a verificare la sua vocazione. Antonio era serio nei suoi propositi: lavorava instancabilmente, lo aiutava nel servizio ai malati di tubercolosi e nella celebrazione della Messa, sia nella chiesa dove si erano incontrati, sia nell’ospedale per tubercolotici.
La persecuzione cresce
Padre Riccardo scrisse anche a don Orione e al suo vicario don Carlo Sterpi, manifestando il proprio desiderio di condurre il giovane a Tortona, per fargli avere una formazione più regolare. Tuttavia, i crescenti disordini in Spagna non facilitavano gli spostamenti. Decise quindi di restare, anche per non lasciare i poveri che continuavano a bussare alla sua porta.
Era tenuto d’occhio dai miliziani per il suo vivere coraggioso e profondamente cristiano. Invece la gente del vicinato, specie le donne, gli voleva bene: in più di un’occasione l’aveva difeso. Dopo il 21 luglio 1936, quando fu incendiata la cattedrale di Valencia, seguì il consiglio di suo cognato: cominciò a vestire abiti secolari, ma portava sempre sotto di essi il Crocifisso.
L’arresto
Alla fine fu arrestato improvvisamente verso le 10 del mattino del 1° agosto 1936, con l’accusa di aver nascosto armi e bombe. Antonio, che al momento dell’arresto non era in casa, accorse subito e dichiarò che da cinque anni viveva con padre Riccardo.
I miliziani, in risposta, caricarono entrambi sulla loro camionetta, affermando che gli avrebbero fatto fare la stessa fine del suo padrone (come lo consideravano loro). Nonostante le proteste della gente che li amava, vennero portati via, mentre i pochi averi di padre Riccardo, precedentemente gettati fuori dalla finestra, venivano dati alle fiamme.
Padre Riccardo e Antonio subirono un sommario interrogatorio, al termine del quale furono ritenuti colpevoli di non aver voluto aderire alla Federazione Anarchica Iberica (FAI) e, quindi, di essere nemici del popolo.
Il martirio
Furono trattenuti in prigione a Valencia fino alle prime ore del 3 agosto, quando furono trasportati nella località di El Saler, in riva al mare. Lì uno dei miliziani chiese a entrambi di gridare «Viva la FAI!» se volevano salvare la vita. Padre Riccardo, alzando il Crocifisso, esclamò invece: «Viva Cristo Re!», come aveva già fatto durante l’interrogatorio.
Il miliziano, a quel punto, gli ordinò d’inginocchiarsi sulla sabbia, quindi gli sparò alla nuca. Il giovane postulante ebbe invece il cranio fracassato con il calcio del fucile da parte di un altro carnefice, mentre tentava di sorreggere padre Riccardo.
Il cognato di padre Riccardo, Jesús Montolio Marzo, medico, fu chiamato per identificarne il cadavere nel deposito dell’Ospedale Provinciale di Valencia. Attorno alla vita portava un cordone di canapa con dei nodi, come strumento di penitenza o cilicio.
Il suo corpo e quello di Antonio vennero sepolti nel cimitero generale di Valencia. Tuttavia, la costruzione di altre tombe nello stesso spazio (o meglio, la sovrapposizione di varie casse nella stessa fossa) ha reso impossibile la riesumazione.
Le prime tappe della causa di beatificazione
La loro causa di beatificazione, volta a dimostrare il martirio in odio alla fede, iniziò a Valencia con il processo informativo, aperto il 22 febbraio 1962 e concluso dieci anni più tardi. Come altre cause di potenziali martiri uccisi durante la guerra civile spagnola, fu temporaneamente sospesa per ordine del Papa san Paolo VI, per ragioni di opportunità.
Riprese il 26 febbraio 1999, con l’inchiesta diocesana suppletiva, sempre presso la Curia ecclesiastica di Valencia. La Santa Sede concesse il nulla osta il 21 agosto 1995. Il 19 novembre 1999, invece, gli atti del processo informativo e dell’inchiesta suppletiva furono convalidati della Congregazione delle Cause dei Santi.
Dalla consegna della “Positio” al decreto sul martirio
La “Positio super martyrio” fu consegnata nel 2000. Il 28 settembre 2010 i Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi si sono pronunciati a favore dell’effettivo martirio dei due Servi di Dio. Anche i cardinali e i vescovi membri della stessa Congregazione, il 29 ottobre 2012, hanno emesso analogo parere positivo.
Il 20 dicembre 2012, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui padre Riccardo Gil Barcelón e Antonio Arrué Peiró venivano dichiarati ufficialmente martiri.
La beatificazione e il culto
La loro beatificazione è stata celebrata il 13 ottobre 2013 a Tarragona. In quella celebrazione, presieduta dal cardinal Amato come delegato del Santo Padre, furono elevati agli altari in tutto cinquecentoventidue martiri uccisi durante la guerra civile spagnola.
La memoria liturgica dei due martiri orionini spagnoli è stata fissata al 6 novembre, giorno in cui le diocesi spagnole ricordano i loro Martiri del XX secolo. A padre Riccardo è stata dedicata la cappella del carcere di Castrovillari, dove fu detenuto.
Autore: Emilia Flocchini
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