Gesù nel Vangelo (Matteo 23, 35) cita esplicitamente Abele in una serie di invettive contro gli scribi e farisei, per i tanti che perirono e periranno con violenza senza colpa alcuna, “perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete ucciso tra il santuario e l’altare…”. Poche volte Abele è nominato lungo il racconto biblico e sempre come esempio di uomo innocente e giusto, cioè vissuto e operato al cospetto di Dio e osservante delle sue leggi. Del resto il capitolo 4 della Genesi che riporta la sua vicenda, arriva fino al versetto 8, quindi abbastanza breve. Il capitolo inizia con i progenitori che da qui in poi saranno chiamati come Adamo ed Eva e non più come “l’uomo e la donna”; essi usciti dal paradiso terrestre generarono un figlio, Caino, del quale Eva disse: “Ho formato un uomo con il favore del Signore”; nacque poi un altro figlio Abele il cui nome in ebraico rimanda a qualcosa di fragile, inconsistente come il fumo. I due fratelli cresciuti, incarneranno i due modelli sociali del tempo; Caino agricoltore era legato stabilmente alla terra che coltivava; Abele pastore era un nomade in movimento per la ricerca del pascolo per le sue bestie. Ambedue offrivano in sacrificio a Dio il risultato del loro lavoro, Caino offriva i frutti del suolo e Abele i primogeniti senza macchia del suo gregge. E Dio gradì i doni di Abele offerti con fede ma non gradì quelli di Caino; probabilmente lo scrittore sacro del testo, intendeva dire che il lavoro di Abele dava frutti abbondanti procurandogli benessere, mentre il lavoro di Caino, denso di difficoltà, dava minori risultati e benessere; quindi ciò suscitava l’invidia di Caino per il fratello. Bisogna però dire che già in questo primo episodio che riguarda due fratelli, ricorre il tema caro alla Bibbia, quello della libera scelta di Dio nel suo operato. È lui che preferisce Abele a Caino, Isacco a Ismaele, Giacobbe ad Esaù, Giuseppe a Ruben, Davide a Saul; quasi sempre non è il primogenito ad essere privilegiato, contrariamente alle regole sociali e familiari del tempo, “perciò Caino ne fu molto irritato e il suo volto fu abbattuto”. Il Signore riprendendolo per la sua ira gli lanciò un monito; alla porta di ogni uomo è presente il peccato, cioè il serpente tentatore; ma l’uomo con la sua libertà lo può dominare. Ma Caino non volle vincerlo, anzi cedette alla tentazione e in un alterco avuto nei campi con Abele, avvenne la tragedia (la prima nel mondo creato), che lo scrittore sacro condanna in una sola frase: “Caino si scagliò contro suo fratello Abele e lo uccise”. Sull’esempio di quanto già successe con Adamo, anche con Caino s’instaurò con Dio una specie d’interrogatorio, nel quale Caino negò di sapere dov’era il fratello. Poi il Signore pronunciò la condanna: “Che cosa hai fatto? Sento la voce del sangue di tuo fratello che grida a me dal suolo! Sii tu dunque maledetto dalla terra, che per mano tua ha spalancato la bocca per bere il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi frutti; ramingo e fuggiasco sarai sulla terra”. Seguì il pentimento di Caino, che ormai si sentiva solo e isolato, indifeso, senza la protezione della famiglia o della tribù e con la paura che chiunque lo incontrasse lo uccidesse, ma ancora una volta il Signore si mostra misericordioso con chi si pente e disse: “Chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte tanto!”. Il delitto di Caino spezzò l’armonia della famiglia e della società, arrecando nel contempo un grandissimo dolore ai suoi genitori Adamo ed Eva; ormai il peccato era entrato nel mondo e sarà compagno nefasto della vita di ogni singolo uomo, portandone tanti alla perdizione; ma con l’ultima misericordia usata da Dio verso Caino, Egli non abbandona il peccatore al suo destino, ma lo tutela accogliendolo sotto la sua suprema giurisdizione, a cui appartengono tutte le vite anche quelle dei criminali.
Il nome Abele non è solo un nome ebraico, ma anche cristiano, adottato sia dai cattolici sia dai protestanti; in quanto nel “Nuovo Testamento” lo stesso Gesù lo presenta come un ‘martire giusto’. Il sacrificio di Abele per la ricchezza di motivi umani che lo contraddistinse, fu naturalmente ispiratore di poesia. Nella letteratura italiana ricordiamo l’oratorio di Pietro Metastasio “La morte di Abel” (1782) e l’ “Abele” di Vittorio Alfieri una fusione di tragedia e opera in musica. Innumerevoli sono le opere figurative dei migliori artisti, che raffigurano la scena del fratricidio. Come spesso accade, l’uccisore è ricordato più della vittima e anche nel caso dei primi due fratelli del genere umano, di Caino si ha memoria più lunga di quella di Abele; sia pure come esempio negativo e volendo indicare con questo nome una persona, senza onore non legata da amore fraterno.
Autore: Antonio Borrelli
|