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Giuditta

Personaggi biblici

Protagonista del libro dell’Antico Testamento che porta il suo nome, è venerata dalla Chiesa Copta il 10 di Maskaram (17 settembre).


«C'era in una città un giudice, che " non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c'era anche una vedova...". Inizia così la parabola di Luca che la liturgia ci propone in questa domenica.
Al centro, dunque, ci sono una vedova e un uomo prevaricatore e prepotente. Sono queste anche le componenti di un famoso libro biblico giunto a noi solo in greco, pur avendo forse una matrice ebraica o aramaica: da un lato, c'è una giovane vedova affascinante di nome Giuditta, cioè "Giudea", un nome ovviamente simbolico; d'altro lato, si leva un generale corpulento e libidinoso, Olofeme, comandante in capo dell'esercito del re babilonese Nabucodonosor (VI sec. a.C.), nonostante il suo nome sia persiano ("Fortunato").
Noi, però, fisseremo la nostra attenzione sull'eroina, Giuditta, che diverrà una vera "madre della patria" ebraica, come altre donne dell'Antico Testamento: Debora, Giaele ed Ester. La sua stessa città reca un nome emblematico, Betuha, allusivo di Betel ("casa di Dio"), cioè "casa del Signore Dio", o forse anche "Vergine", un titolo spesso attribuito a Israele. La narrazione di questo libro anticotestamentario, dopo un lunghissimo antefatto (capitoli 1-7), è dominata da una scena diventata popolare nella storia dell'arte: si pensi alla cruda e violenta Giuditta di Artemisia Gentileschi (1597-morta dopo il 1651)0 a quella, ambigua e sensuale, di Gustav Klimt(1862-1918).
Conquistato con le arti della seduzione Oloferne, sostenuta dalla preghiera e dalla sua incrollabile fede, Giuditta accetta di partecipare a un festino nella tenda del generale. Lo fa ubriacare e poi, nella solitudine dell'alcova, con un colpo netto di scimitarra (nell'originale si ha un termine greco di matrice persiana, akinakes, che indica una spada ricurva, simile a una falce) gli stacca il capo. Si rivela, così, lo scopo ultimo del racconto: è l'esaltazione della protezione che il Signore riserva agli oppressi, attraverso l'opera di una persona debole e ultima com'era considerata in Oriente una donna e soprattutto una vedova, priva anche della tutela del marito.
È probabile che, al di là del quadro storico fittizio riconducibile al VI sec. a.C. e all'impero neobabilonese, l'opera rifletta l'epoca dei Maccabei (II sec. a.C.), allorché su Israele si stendeva la dura oppressione dei siro-ellenisti. Certo è che la figura di Giuditta, bella, ricca, giusta e fedele, si staglia in tutto il suo valore esemplare e il cantico finale che la esalta si trasforma in una vera e propria meditazione lirica sulla sua azione dietro la quale si erge Dio, lasciando però spazio anche ai rigurgiti nazionalistici (capitolo 16).
Tra le varie acclamazioni che vengono riservate a questa donna nelle celebrazioni trionfali successive alla famosa notte ce n'è una che il cristianesimo ha poi adottato per esaltare Maria, la madre di Cristo: "Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu sei il magnifico vanto di Israele, tu splendido onore della nostra gente" (15,9). È con questa aureola gloriosa che Giuditta è passata alla storia. Nonostante le molteplici offerte matrimoniali, essa per tutta la vita rimase vedova, fedele a suo marito Manasse, morto per un colpo di sole ancor giovane (8,3). Giuditta si spense a 105 anni e "la casa di Israele la pianse per sette giorni"(16,23-24).


Autore:
Gianfranco Ravasi


Fonte:
Famiglia Cristiana

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Aggiunto/modificato il 2009-02-05

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