Quante giovani figure di laici e laiche, hanno trasformato la loro casa e il loro letto di dolore, perché colpiti da infermità dolorose e invalidanti, in un luogo di accoglienza, per i bisognosi di un conforto e di un consiglio, e in un altare di espiazione e di offerta delle loro sofferenze, per amore di Cristo e per la salvezza delle anime. Ne ricordiamo qualcuna, Serva di Dio Luigia Mazzotta (1900-1922), Serva di Dio Luisa Piccarreta (1865-1947), Servo di Dio Luigi Avellino (1862-1900), Servo di Dio Angelo Bonetta (1948-1968), Servo di Dio Francesco Majone (1840-1874), Servo di Dio Silvio Dissegna (1967-1979), ecc. E come loro, fu vittima di espiazione, la Serva di Dio Clelia Maria Russo, nata a Gaeta il 23 novembre 1845, ultima dei sedici figli di Pasquale Russo, generale di artiglieria nell’Esercito Borbonico e di Gaetana dei marchesi Gadaleto, originaria di Lecce. In quel periodo del ‘Risorgimento’ italiano, l’esercito borbonico era in uno stato di allarme e le truppe si spostavano nel Regno delle Due Sicilie secondo le necessità emergenti, e anche la famiglia Russo seguì il padre, trasferito prima in Puglia e poi in Sicilia. Verso il 1860 la famiglia era a Napoli, mentre Garibaldi effettuava la conquista del Regno con la spedizione dei Mille; Clelia allora undicenne, fu iscritta al Regio Educandato dei Miracoli di Napoli, ma lo frequentò solo per due anni, perché la famiglia la ritirò quando cominciarono a manifestarsi i disturbi di varie malattie, che condizionarono la sua vita sino alla fine; di questa esperienza educativa le rimase la fraterna amicizia con la direttrice dell’Educandato, Bianchina Dusmet. Per queste numerose infermità, visse sempre in famiglia, costretta a letto, sofferente ma piena di spiritualità, caratterizzata da una volontaria accettazione dei dolori e rinunce, partecipando intensamente alla Passione di Cristo. L’assistettero spiritualmente tutta una schiera di ottimi sacerdoti di gran fama, il canonico Francesco Minervino, l’agostiniano padre Mariano Amodei, don Federico Pizza poi arcivescovo di Manfredonia, don Alessandro Gicca, don Vincenzo Sarnelli poi arcivescovo di Napoli ed altri. Per anni questi sacerdoti celebrarono nell’oratorio privato della sua casa di Napoli, che Clelia aveva ottenuto per uno speciale permesso, a causa delle sue cattive condizioni di salute. Fu dotata del dono del saper consigliare e la sua casa divenne così il centro di un vasto movimento di persone, che vi si recavano a chiedere una guida spirituale e preghiere. Morì a Napoli a 58 anni, il 27 agosto 1903; per i suoi meriti e la diffusa fama di santità, furono aperti i processi informativi nella Diocesi di Napoli; il 15 marzo 1906 fu effettuata la ricognizione canonica dei suoi resti. nella Cappella dell’Arciconfraternita dei Nobili della Vita, nel cimitero della città. Il 27 febbraio 1924 si ebbe il decreto sugli scritti e da allora la causa presso la Congregazione Vaticana, è in fase ‘silent’.
Autore: Antonio Borrelli
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