“Quando, attraverso la predicazione di san Gregorio, il re Tiridate III si convertì, una nuova luce albeggiò nella lunga storia del popolo armeno. L’universalità della fede si unì in maniera inseparabile con la vostra identità nazionale. La fede cristiana si radicò in modo permanente in questa terra, raccolta attorno al monte Ararat, e la parola del Vangelo influenzò profondamente la lingua, la vita familiare, la cultura e l’arte del popolo armeno”. Con queste brevi parole, nell’omelia tenuta presso la Cattedrale di San Gregorio l’Illuminatore in Yerevan il 26 settembre 2001 in occasione della sua visita apostolica in Armenia, papa Giovanni Paolo II sintetizzò al meglio le origini del primo stato cristiano della storia umana, del quale si celebrava il 1700° anniversario del battesimo, ben prima che il cristianesimo fosse riconosciuto come propria religione dall’impero romano sotto San Teodosio I il Grande, nonché dieci anni prima dell’editto di tolleranza promulgato da San Costantino I il Grande. Secondo un’antichissima tradizione il cristianesimo penetrò in Armenia direttamente per opera degli apostoli Taddeo e Bartolomeo e per tale motivo ancora oggi la Chiesa indigena è definita “apostolica”. L’impero romano, nella sua espansione ad Oriente, aveva soggiogato anche la regione dell’Armenia. La conversione dell’Armenia, realizzatasi agli albori del IV secolo e tradizionalmente collocata nell’anno 301, è narrata dallo storico Agatangelo in un racconto ricco di simbolismo. Il racconto prende le mosse dall’incontro provvidenziale e drammatico dei due eroi che stanno alla base degli eventi: Gregorio, figlio del parto Anak, allevato a Cesarea di Cappadocia, ed il re armeno Tiridate III. Questo sovrano verso la fine del terzo secolo, approssimativamente nel 294, aveva appena riconquistato il trono, alleandosi con l’imperatore Diocleziano, e conformemente agli usi dell’epoca volle rendere omaggio alla dea Anahite (Diana), che gli era stata propizia nella difficile impresa. Con lui offrirono doni tutti i cortigiani tranne Gregorio che, giunto il suo turno, rifiutò in quanto cristiano, spiegando al sovrano che uno solo è il creatore del cielo e della terra, il Padre del Signore Gesù Cristo. Allora il re lo fece torturare per ben venticinque giorni e lo rinchiuse nella fossa di “Khor Virap” nella fortezza di Artashat, piena di rettili velenosi, il cui solo nome terrorizzava i criminali più incalliti. Gregorio vi sopravvive invece miracolosamente per tredici anni, nutrito dalla Provvidenza attraverso la mano pietosa di una vedova. Il racconto prosegue poi riferendo i tentativi messi in opera nel frattempo dall’imperatore Diocleziano per sedurre la santa vergine Hripsime, la quale, per sottrarsi al pericolo, fuggì da Roma con una quarantina di compagne, cercando rifugio in Armenia al seguito della badessa Santa Gayane. La bellezza della giovane attrasse l’attenzione del re Tiridate, che s’invaghì di lei e volle farla sua. Di fronte all’ostinato rifiuto di Hripsime, il re s’infuriò e fece perire lei e le compagne tra crudeli supplizi. Secondo la leggenda, in pena dell’orrendo delitto Tiridate fu tramutato in un cinghiale selvatico e non poté ricuperare le sembianze umane, se non quando, ubbidendo a un sogno fatto da sua sorella Santa Khosrovitoukhd, liberò Gregorio dal pozzo. Ottenuto il prodigio del ritorno a sembianze umane per le preghiere del santo, Tiridate comprese che il Dio di Gregorio era veritiero e decise finalmente di convertirsi, insieme con sua moglie Santa Ashkhen, l’intera famiglia e l’esercito, e di adoperarsi per l’evangelizzazione dell’intera nazione. Gregorio e Tiridate percorsero l’intero paese animati di zelo per Cristo, distruggendo i luoghi di culto pagani e costruendo al loro posto templi cristiani. Gregorio ricevette a Cesarea la consacrazione episcopale, divenendo così il primo Catholicos della Chiesa Armena, e fu soprannominato “Illuminatore” per aver portato in dono al popolo armeno la luce di Cristo. Edificò la cattedrale metropolitana di Etchmiadzine, formò un clero indigeno armeno ed evangelizzò la Georgia, dopodiché si ritirò a vita eremitica sino alla sua morte presso una grotta sul monte Sepouh. Tiridate, per espiare la colpa dell’uccisione di Santa Hripsime, grazie alla sua immane forza trasportò numerosi massi sul monte Ararat per costruire una chiesa sulla sua tomba. Infine nel 324 cadde anch’egli martire, vittima di una rivolta istigata da alcuni nobili armeni che non gli avevano perdonato l’abbandono delle divinità pagane. Dopo la sua morte l’Armenia conobbe purtroppo un secolo di guerra e di anarchia. La Chiesa Armena lo venerò subito come santo, mentre il Martyrologium Romanum al momento non ne riporta la memoria. Secondo invece l’autorevole Bibliotheca Sanctorum è festeggiato al 29 novembre.
Autore: Fabio Arduino
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