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Zakrzew, Polonia, 22 marzo 1908 – Dachau, Germania, 4 agosto 1942
Józef Krzysztofik nacque nel 1908 a Zakrzew in Polonia. Nel 1927 vestì l’abito cappuccino e prese il nome religioso di Enrico. Dopo gli studi, tornò in Polonia, a Lublino, dove fu nominato rettore del seminario. Nel 1939 scoppiò la guerra. Il 25 gennaio 1940 la Gestapo tedesca arrestò 23 cappuccini del convento di Lublino tra cui fra’ Enrico Krzysztofik. Durante la prigionia Enrico fu premuroso con tutti. Fece in modo che all’alba fosse celebrata la Messa. Il 18 giugno 1940 fu tradotto, insieme ai confratelli, al campo di concentramento di Sachsenhausen, poi a Dachau. Pur essendo di debole salute nella vita del campo non si risparmiò mai: aiutava i più deboli, soprattutto gli anziani. Nel luglio del 1941 fu consegnato all’ospedale del campo. Di là scrisse un messaggio segreto ai suoi allievi: «Cari fratelli! Sono paurosamente dimagrito perché disidratato. Peso 35 chili. Sono disteso sul letto come sulla croce insieme a Cristo. E mi è grato essere e soffrire con Lui. Prego per voi e offro a Dio queste mie sofferenze per voi». Morì il 4 agosto 1942. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, beato Enrico Krzysztofik, sacerdote e martire, che, deportato in tempo di guerra dalla Polonia in un carcere straniero per essersi professato cristiano, portò a compimento il martirio sotto tortura.
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Cosa sono due pagnotte di pane, divise in 25 porzioni, tante quanti sono i propri compagni? Cosa normale (per non dire insignificante) in tempi normali; eroismo puro se, invece, questo avviene in un campo di concentramento, dove le due pagnotte non servirebbero neppure come antipasto ad uno solo di questi uomini, resi scheletriti dalla fame. Certamente, un simile eroismo non lo si può improvvisare, ma è proprio di chi ad esso si allena nella normalità degli atti quotidiani, per diventar capace poi, al momento giusto, di offrire anche una testimonianza così significativa. Ed è per questo che, di Padre Enrico Krzysztofik, i testimoni ricordano con edificazione questo gesto di carità eroica, non come episodio isolato, ma come culmine di un itinerario di amorosa donazione. Nasce il 22 marzo di 100 anni fa in un villaggio polacco e al battesimo gli viene imposto il nome Giuseppe, che cambia in Enrico entrando tra i Cappuccini. Studia filosofia in Olanda e teologia a Roma, fino all’ordinazione sacerdotale del 1933, ma a Roma si ferma ancora altri due anni per conseguire la licenza in teologia. Torna in Polonia in veste di insegnante, ma diventa anche rettore del seminario nel convento di Lublino. Qui lo ricordano predicatore appassionato e convinto, impegnato a trasfondere nei suoi ascoltatori un po’ dell’entusiasmo spirituale che gli brucia dentro. Anche quando scoppia la seconda guerra mondiale, anche quando la Polonia è invasa dai tedeschi e professare apertamente la propria fede equivale a mettere a repentaglio la vita. I primi a doversene andare sono i confratelli olandesi, espulsi dal regime totalitario di Hitler e, tra questi, c’è anche Gesualdo Wilem, che è il padre guardiano del convento di Lublino; così il nostro Padre Enrico si trova, dalla sera alla mattina, a doverne prendere il posto. Posizione delicatissima, la sua, nella duplice veste di rettore del seminario e guardiano del convento, mentre la persecuzione si fa feroce, gli arresti si susseguono a raffica e sugli edifici religiosi si sfoga tutta la ferocia nazista. I seminaristi di padre Enrico sono tesi, preoccupati e agitati, costretti a ritardare l’inizio delle lezioni dal preoccupante clima politico che si respira ovunque. Soltanto la sua pazienza e la sua costante serenità riescono a rasserenare gli animi quel tanto che basta per cominciare a studiare ed arrivare con una certa tranquillità al 25 gennaio 1940, giorno in cui la Gestapo fa irruzione nel convento di Lublino e arresta i 23 cappuccini che vi trova. Nel carcere, strapieno in conseguenza degli arresti di massa, non c’è posto per loro e devono così essere confinati nel castello della città, guardati a vista da carcerieri senza scrupoli. Enrico è il primo, se non l’unico, tra i confratelli, ad analizzare lucidamente la situazione e a prevedere le violenze psicologiche e le vessazioni cui devono andare incontro. Per questo invita i suoi frati ad offrire a Dio tutte le sofferenze che li attendono, “fintantoché abbiamo la mente lucida”. Dio solo sa come, in quel clima di oppressione, riesca comunque a garantire alla sua comunità la messa quotidiana, celebrata clandestinamente all’alba. Il 18 giugno 1940 tutti i frati vengono tradotti nel campo di concentramento di Sachsenhausen, nei pressi di Berlino. Qui Enrico, nelle condizioni disumane in cui vive, incanta tutti per la premurosa delicatezza che dimostra nei confronti, soprattutto, di chi più fatica a sopportare quell’inferno di violenza e di morte. Qui i testimoni registrano, tra gli altri, l’episodio delle due pagnotte fraternamente divise. Di qui, ricoverato ormai nell’ospedale da campo per la sua estrema debolezza e denutrizione, scrive ai confratelli di essere “paurosamente dimagrito, perché disidratato, peso 35 chili, fanno male tutte le ossa”. Si sente “disteso sul letto come sulla croce insieme a Cristo” e qui, offrendo le sue sofferenze per tutti i cappuccini, muore il 4 agosto 1942 e il suo corpo viene bruciato nel forno crematorio del campo 12. E’ stato beatificato da papa Woityla il 13 giugno 1999.
Autore: Gianpiero Pettiti
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