Szolnok, Ungheria, 26 ottobre 1914 - Budapest, Ungheria, 8 giugno 1953
Stefano Sandor nacque a Szolnok, in Ungheria, il 26 novembre 1914 da Stefano e Maria Fekete, primo di tre fratelli. Il padre era impiegato presso le Ferrovie dello Stato, la madre invece era casalinga. Entrambi trasmisero ai propri figli una profonda religiosità. Stefano studiò nella sua città ottenendo il diploma di tecnico metallurgico. Fin da ragazzo veniva stimato dai compagni, era allegro, serio e gentile. Amava stare con gli amici del vicinato, era per loro un leader, come lo era Giovanni Bosco tra i giovani di Chieri. Aiutava i fratellini a studiare e a pregare, dandone per primo l'esempio. Fece con fervore la cresima impegnandosi a imitare il suo santo protettore e san Pietro. Leggendo il Bollettino Salesiano conobbe Don Bosco. Serviva ogni giorno la santa Messa dai Padri francescani ricevendo l'Eucaristia. Leggendo il Bollettino Salesiano conobbe don Bosco. Si sentì subito attratto dal carisma salesiano. Si confrontò col suo direttore spirituale, esprimendogli il desiderio di entrare nella Congregazione salesiana. Ne parlò anche ai suoi genitori. Essi gli negarono il consenso, e cercarono in ogni modo di dissuaderlo. Ma Stefano riuscì a convincerli, e nel 1936 fu accettato al Clarisseum, dove in due anni fece l'aspirantato. Frequentò nella tipografia "Don Bosco" i corsi di tecnico-stampatore. Iniziò il noviziato, ma dovette interromperlo per la chiamata alle armi. Nel 1939 raggiunse il congedo definitivo e, dopo l'anno di noviziato, emise la sua prima professione l'8 settembre 1940. Destinato al Clarisseum, si impegnò attivamente nell'insegnamento presso i corsi professionali. Ebbe anche l'incarico dell'assistenza all'oratorio, che condusse con entusiasmo e competenza. Fu il promotore della Gioventù Operaia Cattolica. Il suo gruppo fu riconosciuto come il migliore del Movimento. Sull'esempio di don Bosco, si mostrò un educatore modello. Nel 1942 fu richiamato al fronte, e guadagnò una medaglia d'argento al valore militare. La trincea era per lui un oratorio festivo che animava salesianamente, rincuorando i compagni di leva. Alla fine della Seconda Guerra mondiale si impegnò nella ricostruzione materiale e morale della società, dedicandosi in particolare ai giovani più poveri, che radunava insegnando loro un mestiere. Il 24 luglio 1946 emise la sua professione perpetua diventando coadiutore salesiano. Nel 1948 conseguì il titolo di maestro-stampatore. Alla fine degli studi gli allievi di Stefano venivano assunti nelle migliori tipografie della capitale e dello Stato. Iniziarono le persecuzioni nei confronti delle scuole cattoliche, che dovettero chiudere i battenti. Stefano fu colto sul fatto mentre stampava in tipografia. Dovette scappare e nascondersi nelle case salesiane, lavorando sotto falso nome in una tipografia pubblica. Nel luglio del 1952 fu catturato sul posto di lavoro, e non fu più rivisto dai confratelli. La sua beatificazione ha avuto luogo il 19 ottobre 2013. La Famiglia Salesiana fa memoria di questo martire l'8 giugno.
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István Sandór era nativo della gloriosa terra degli Ungari, magiaro egli stesso, con il medesimo nome del duca cui papa Silvestro verso il 1000 conferì il titolo di Re Apostolico d’Ungheria, dopo che si era convertito al cristianesimo. Figlio di un popolo fiero, che mai si è del tutto piegato agli invasori: né agli ottomani, né agli Asburgo, né ai nazisti e nemmeno ai comunisti di Josif Vissarionovich Dzugasvili, detto Stalin. Ha sempre brigato o lottato apertamente per la propria indipendenza, contro tutto e contro tutti. Sandór portava con fierezza il sangue dei suoi avi: visse in anni difficili quando i rivolgimenti, gli attacchi improvvisi dei nemici, i voltafaccia dei governanti, le alleanze sbagliate, le guerre fredde e combattute, gli attentati, i capovolgimenti di fronte erano all’ordine del giorno.
István nacque a Szolnok il 26 ottobre 1914 da un ferroviere e una casalinga di solidissimi principi morali, praticanti un cristianesimo non di facciata ma profondamente sentito e vissuto. Stefano, il padre, e Maria Fechete, la madre, allevarono tre figli: Stefano, Giovanni e Ladislao. La scuola, i giochi, lo studio fecero loro trascorrere una giovinezza serena e normalissima, corroborata per Stefano (István in ungherese) da un carattere felice e altruista che lo spingeva ad aiutare i compagni in difficoltà, a trattenerli con giochi, racconti, piccole recite, passeggiate. Una quotidianità che a coloro che hanno iniziato a raccoglierne le memorie richiamava quella di Don Bosco. Fu chierichetto e paggetto del Sacro Cuore con i padri francescani di Szolnok, suo paese natale. Furono proprio loro, notando le sorprendenti attitudini del ragazzo, a consigliargli di farsi salesiano: la sua innata attitudine a dedicarsi ai giovani, a radunarli, ad intrattenerli con recite, canti e racconti, a farli giocare, insomma ad educarli, convinse i francescani a “dirottare” questa vocazione verso i figli di Don Bosco.
István prese sul serio quei consigli, perché era un giovane serio e motivato. Desiderò informarsi bene sulle persone che avrebbero potuto costituire la sua futura famiglia. Si avvalse del prezioso ausilio del Bollettino Salesiano: lo leggeva da cima a fondo, con interesse sempre crescente. Da questa rivista apprese di Don Bosco e delle sue strabilianti imprese, tanto quanto di quelle dei suoi figli. Poté apprezzare il suo metodo, sorprendersi del suo impegno costante e totale per la salvezza dei giovani, meravigliarsi del suo donarsi con gioia ai più poveri e bisognosi. Comprese che non era il suo ideale continuare a fare l’operaio delle ferrovie, come suo padre, mestiere che da qualche tempo aveva iniziato a fare. Don Bosco era ormai per lui una calamita che lo attirava sempre di più, finché riuscì a strappare il permesso ai genitori, dando così un’inversione ad U alla sua vita: nel febbraio del 1936 entrava per il periodo di aspirantato nella scuola tipografica del municipio di Rácospalota. I salesiani si entusiasmarono subito di questo giovane-capolavoro, tant’è che dopo solo un mese fu ammesso al noviziato.
Avevano però fatto i conti senza l’oste, come si suole dire: István venne ripetutamente chiamato sotto le armi fino al 1941. Si annunciavano tempi bui per la sua patria. Riuscì a fare il noviziato ma subito dopo dovette, suo malgrado, vestire la divisa del soldato. Per qualche tempo fu prigioniero degli americani in Germania, i quali nel 1945 lo rimandarono a casa. L’esperienza militare non aveva comunque scosso le sue convinzioni, che ne erano invece riuscite rafforzate: Stefano aveva fatto il salesiano anche sotto le armi, amico sincero dei suoi commilitoni, pronto al servizio, disponibile al colloquio, soprattutto spirituale. La trincea divenne così il suo oratorio. Ebbe anche parecchie decorazioni al valore. Rientrato a Rácospalota, divenne maestro di tipografia, capo dei chierichetti nel santuario del Sacro Cuore ed assistente all’oratorio sino alla forzata nazionalizzazione delle scuole. Quando lo stato nel 1949, sotto Mátyás Rákosi, incamerò i beni ecclesiastici, Sandór cercò di salvare il salvabile, almeno qualche macchina tipografica e qualcosa dell’arredamento che tanti sacrifici era costato. I religiosi si ritrovarono improvvisamente senza più nulla, tutto era diventato dello stato che sorvegliava e dirigeva ogni cosa. Lo stalinismo di Rákosi continuò ad accanirsi: i religiosi vennero dispersi. Senza più casa, lavoro, comunità, molti si ridussero allo stato di clandestini. Travestiti e trasformati, si adattarono a fare di tutto: spazzini, contadini, manovali, facchini, servitori… Anche István dovette “sparire”, lasciando la sua tipografia che era diventata famosa. Colto mentre stava cercando di salvare delle macchine tipografiche, dovette fuggire in fretta e rimanere nascosto per alcuni mesi, poi, sotto altro nome, riuscì a farsi assumere in una fabbrica di detergenti della capitale, ma continuò impavido e clandestinamente il suo apostolato, pur sapendo che era un’attività rigorosamente proibita.
Un brutto giorno di metà luglio la polizia politica lo prelevò nella fabbrica dove lavorava, lo trasferirono in prigione e nessuno ebbe più sue notizie. Esiste solo un documento ufficiale che parla di un processo e della sua condanna a morte. István venne impiccato la sera dell’8 giugno 1953 a Budapest, ma solo dopo il 1990 fu comunicata la sua esecuzione. Il luogo della sua sepoltura è rimasto a lungo ignoto.
La sua memoria non è però andata perduta ed i salesiani hanno ottenuto nel 2007 il nulla osta per avviare la sua causa di beatificazione. Riconosciuto il suo martirio in odium fidei da parte di Papa Francesco il 27 marzo 2013, il successivo 19 ottobre il coadiutore salesiano István Sandór ha potuto essere solennemente beatificato nella Basilica di Santo Stefano a Budapest.
L’Ispettoria salesiana ungherese “Santo Stefano Re” ha annunciato con grande gioia e commozione che, al termine di un lungo percorso di studi e di ricerche, è riuscita ad identificare e a portare alla luce le reliquie del Beato. I lavori di preparazione erano iniziati da oltre un anno, sotto la guida e la supervisione della dott.ssa Eva Susa, perito legale. In base ai documenti dell’epoca consultati, all’esperienza professionale e alle ipotesi avanzate, è stata maturata la convinzione, o almeno la forte speranza, che il corpo del martire fosse sepolto con i suoi compagni che condivisero quella tragica morte nel Nuovo Cimitero Pubblico di Budapest, e più precisamente collocato al posto 37, in seconda fila, nel loculo 301. Prima della sua beatificazione, la Congregazione Salesiana aveva tentato di recuperare il corpo del martire. Lo studio storico-archivistico della dott.ssa B. Varga Judit, pur non avendo conseguito un risultato definitivo, aveva contribuito in gran parte al lavoro attuale. In data 12 novembre 2018, alla presenza di studiosi e di professionisti esperti, si è potuto procedere all’apertura della tomba da dove sono state estratte le ossa appartenenti a sei scheletri completi. Lo studio antropologico eseguito sulle ossa si è svolto nel Laboratorio di Antropologia del NSZKK (Centro Nazionale Esperti e Ricerca). Il materiale genetico appartenente al martire è stato estratto a partire da una busta che era stata chiusa personalmente da lui e da un francobollo usato dal fratello. Le analisi del DNA sono state eseguite dalla dott.ssa Eszter Dudas.
“Al termine di questi esami, eseguiti sotto stretto controllo specialistico, siamo lieti di annunciare che, sia da un punto di vista giuridico, sia forense, tra i resti dei sei soggetti rinvenuti siamo riusciti ad identificare quelli del beato Stefano Sándor, salesiano martire” ha affermato con soddisfazione don Pierluigi Cameroni, Postulatore Generale delle Cause dei Santi della Famiglia Salesiana. Successivamente, in base alle indicazioni della Santa Sede saranno fornite notizie riguardo l’autenticazione, la conservazione delle reliquie e le celebrazioni religiose.
Dalle lettere ai genitori del beato Stefano Sándor, martire.
(Positio super martyrio, pp. 287-288; 290-291)
«Prego per voi ogni giorno e faccio menzione di voi ascoltando la santa Messa. Ma siamo tenuti a sopportare quel dolore con pazienza e senza lamentarci e a non dire una sola parola di protesta contro Dio per averci dato quella sofferenza. Tutti hanno da soffrire, i ricchi come i poveri. Nessuno può sottrarvisi. Ha sofferto perfino Gesù Cristo e la Vergine Madre. E per chi hanno sofferto loro che erano senza peccato? La sofferenza del Signore Gesù è cominciata fin dalla sua nascita ed è durata fino al Calvario, e così anche per la Madonna. E quanta pazienza il Padre celeste. Quante cose ci narra infatti la Via Crucis! Non dobbiamo forse sentir vergogna, sapendo che Gesù Cristo fu flagellato, coronato di spine, beffeggiato e bersagliato di sputi? Vedendo la croce, non s’impaurì, ma l’abbracciò e la baciò, pur prevedendo i tormenti che l’attendevano. Eppure non aveva nessuno accanto, salvo la Vergine Madre. Abbandonato perfino dai suoi Apostoli fidati, sembrava abbandonato da tutti, senza trovare misericordia neppure dal Padre Eterno; sicché messo in croce esclamò: “Padre mio, perché mi hai abbandonato?”. La gente attorno gli lancia insulti e vituperi, mentre Lui prega per loro: “Padre mio perdona loro, perché non sanno quel che fanno”. Gesù Cristo ha sofferto per noi, per farci pervenire al cielo, mentre noi non vogliamo soffrire per la nostra anima; eppure solo la sofferenza rassegnata conduce al cielo. Dobbiamo lasciarci animare dai tormenti del Signore Gesù; se la vita è difficile e piena di sventure, dobbiamo ricorrere a Lui che ci consolerà e ci darà la forza e la grazia di sopportare i nostri dolori. Dobbiamo riflettere che le sofferenze saranno seguite dalla beatitudine, che durerà eternamente. Dicevano i santi che per il cielo merita sopportare ogni pena…
Purtroppo devo anche comunicare una mia mancanza. Forse sembrerà che io abbia dimenticato il compleanno del mio caro babbo. Non l’ho affatto dimenticato nelle mie preghiere, né nella santa Comunione; ritengo che ciò valga di più di un dono costoso. Il mio spirito ha fatto il volo alla nostra casa accogliente ed ho dato sfogo all’affetto che mi colmava il cuore, ringraziandolo per tutto il bene che mi ha prodigato. Infatti, ripensando alla mia vita passata a casa, devo dire che mio padre mi ha amato come se fossi il suo unico figlio e non avesse nessuno all’infuori di me. E, quando una mattina di Avvento, firmò il suo consenso paterno, era evidente nel suo cuore di padre il dolore della separazione, ma era pronto a quel sacrificio per il bene che mi voleva e per vedere felice il figlio. Ora il babbo forse avrà già dimenticato quel giorno, ma a me viene spesso in mente, e so che, leggendo ora questa lettera, sentirà penetrargli nel cuore amorevole un segreto dolore; ma deve consolarsi, perché più è doloroso questo sacrificio, più è caro a Dio. Direi quasi che egli avesse obbligato Dio per avergli dato qualcosa di così grande e con un tale spirito di abnegazione, quale pochi genitori sarebbero capaci di fare, da offrire cioè al Signor Gesù quel che hanno di più caro. Il sacrificio di mio padre è simile a quello di Abramo, al quale Dio ha domandato la prova di sacrificare la vita del figlio per la sua gloria. Ma quello di mio padre è più meritevole, in quanto ad Abramo Dio non concesse di compierlo: gli mandò infatti un angelo per dirgli di sacrificare invece il montone trovato in un cespuglio. E se dovesse ancora sentire qualche dolore dovrà offrirlo per me, perché più sarà intenso e più mi migliorerà come religioso. Copro di tanti baci le mani del babbo sciupate dal lavoro e auguro che Dio lo faccia vivere seguendo la sua volontà, onde possiamo pervenire insieme alla beatitudine del cielo e adorarlo nell’eternità; così l’attuale separazione non darà più dolore, ma porterà una felicità ineffabile per l’eternità; che io possa diventare un religioso gradito a Dio e devoto al suo Sacro Cuore».
Preghiera per la Canonizzazione
O Dio onnipotente, Tu hai chiamato il tuo servo Stefano Sándor
a far parte della grande famiglia di San Giovanni Bosco.
L'hai guidato, con Maria Aiuto dei cristiani,
nella sua difficile missione per la salvezza delle anime
e nel sacrificio della sua vita per la gioventù ungherese.
Egli Ti ha testimoniato nel tempo della persecuzione della Chiesa,
ha promosso la stampa cattolica, il servizio all'altare
e l'educazione della gioventù.
Col suo spirito fedele e leale indica anche a noi
la via del bene e della giustizia.
Ti chiediamo di glorificarlo con la corona del martirio.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Autore: Don Fabio Arduino
Fonte:
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Note:
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