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Beato Giacomo Abbondo Sacerdote

9 febbraio

Tronzano Vercellese, Vercelli, 27 agosto 1720 – 9 febbraio 1788

Giacomo Abbondo era nato a Tronzano Vercellese il 27 agosto 1720. Si sentì chiamato al sacerdozio, studiò al seminario di Vercelli e fu ordinato il 21 marzo 1744. Dopo aver ottenuto nel 1748 la laurea in lettere all’Università di Torino, fu destinato ad insegnare nelle Scuole Regie di Vercelli, ma nel 1757 lasciò l’insegnamento per fare il parroco al suo paese natale. Il parroco precedente era un giansenista, dunque don Abbondo cercò di aiutare i suoi parrocchiani a riscoprire la bellezza e la bontà di Dio, la possibilità di conoscerlo, di pregarlo, di incontrarlo sovente nella sua Parola e nei Sacramenti. Fu un curato di campagna innamorato di Dio, convinto del suo sacerdozio come servizio e sempre disponibile nei confronti dei suoi parrocchiani. Morì il 9 febbraio 1788. A fronte della sua perdurante fama di santità, la diocesi di Vercelli ha aperto il suo processo di beatificazione negli anni ‘20 del secolo scorso. È stato beatificato sotto il pontificato di papa Francesco l’11 giugno 2016, nella cattedrale di Vercelli. I suoi resti mortali sono venerati nella chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo a Tronzano, la sua parrocchia di nascita e di ministero. La sua memoria liturgica, per la diocesi di Vercelli, è il 9 febbraio, proprio il giorno della sua nascita al Cielo.



Di spettacolare o strepitoso, nella sua vita, non si trova alcunché, neanche a cercarlo col lanternino.  O, se proprio vogliamo, di sensazionale c’è soltanto il mistero di come sia potuta restare inalterata la fama di santità di un semplice curato di campagna del vercellese, vissuto nel Settecento e beatificato l’11 giugno 2016, dando così ragione alla “vox populi” che già in vita lo proclamava santo.
È la riscossa dei parroci, cioè, per dirla con papa Francesco, “di quei tanti bravi e santi sacerdoti che lavorano in silenzio e di nascosto” e tra i quali ogni tanto, come in questo caso, uno è scelto per essere messo sul moggio, perché anche gli altri, di riflesso, restino illuminati. Parliamo dunque di don Giacomo Abbondo, raccomandando innanzitutto, di non confonderlo, per assonanza, con il quasi omonimo di manzoniana memoria, del quale è semplicemente l’esatto contrario.
Il Nostro nasce in una frazioncina di Tronzano Vercellese il 27 agosto 1720 e per inseguire il sogno di essere prete fin da bambino comincia a scarpinare: da casa sua fino a Tronzano, per frequentare le scuole comunali; poi addirittura fino a Vercelli, per frequentare le superiori. Si paga gli studi vivendo in casa del sindaco di Vercelli e diventando il precettore dei suoi figli ed è ordinato il 21 marzo 1744 con dispensa papale perché in anticipo sull’età canonica.
Ha davanti a sé una carriera accademica di tutto rispetto, perché nel frattempo si è laureato in Lettere all’Università di Torino ed a 28 anni è già titolare di “Umanità” presso le Regie Scuole di Vercelli: un gran “bel cranio”, come attestano i molteplici e prestigiosi incarichi, che gli vengono in quegli anni conferiti e che egli, in men che non si dica, è disposto a gettare alle ortiche, appena viene a conoscenza che il suo vescovo avrebbe piacere che accettasse la nomina a parroco di Tronzano. Che è pur sempre il suo paese natale, ma in realtà per il vescovo è una gran bella gatta da pelare, perché il parroco precedente si è fatto malvolere dai tronzanesi e con il suo stile pastorale giansenista ha allontanato tutti i fedeli dalla chiesa.
Sulla nomina del successore si apre un contenzioso, anche perché i capifamiglia rivendicano il diritto di elezione, per un antico privilegio quattrocentesco, e l’unico nome che metterebbe tutti d’accordo sarebbe il suo, di fronte al quale i tronzanesi esasperati sarebbero disposti a “seppellire l’ascia di guerra”.
Così don Giacomo sceglie di fare il parroco, ben sapendo che non gli sarà facile e che i parrocchiani se li dovrà conquistare uno ad uno. Fa il suo ingresso il 3 luglio 1757 e a chi gli chiede quanto valga il beneficio parrocchiale risponde invariabilmente che “può valere il Paradiso o l’Inferno”.
Comincia a parlare il linguaggio che tutti possono capire, quello della misericordia e dell’attenzione ai più deboli, girando per le case e prendendosi cura di malati, poveri ed anziani soli. Si fa aiutare da un apposito comitato caritativo, per far arrivare al loro domicilio, viveri, legna e medicine e i parrocchiani cominciano a stupirsi di quel nuovo parroco, che mette in prima fila la carità.
Come si stupiscono faccia così sul serio anche su altri fronti: vive sobriamente, a volte rinuncia anche al necessario, rinnova la liturgia, invita alla comunione settimanale, “apre” alla catechesi familiare coinvolgendo direttamente i genitori, ammette alla comunione i bambini a partire dai dieci anni, visita tutte le case per la benedizione annuale, porta frequentemente la comunione ai malati, raggiunge a cavallo anche le abitazioni più isolate per controllare personalmente il grado di istruzione religiosa, è di frequente in chiesa a disposizione per le confessioni.
“Qui è ignoto il nome di vacanza”, è solito dire, rinunciando all’usanza vercellese di sospendere la predicazione nei mesi estivi a causa del clima afoso insopportabile e continuando con lo stesso ritmo, anche durante l’estate, il suo impegno per la catechesi, l’omelia, l’istruzione religiosa.
La parrocchia comincia a rifiorire, la chiesa torna a riempirsi, al parroco “santo” già in vita attribuiscono guarigioni inspiegabili che continuano nel tempo, tanto che ad oggi se ne contano ben 3350, segno inequivocabile di una fama di santità mai venuta meno.
Muore il 9 febbraio 1788, quando Giovanni Maria Vianney, il futuro Curato d’Ars, ha appena due anni: quasi un passaggio di testimone in un’ideale staffetta di santità sacerdotale, giocata all’interno del confessionale e nell’esercizio delle opere di misericordia.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

Infanzia e prima educazione

Giacomo Abbondo nacque a Salomino, frazione di Tronzano Vercellese, il 27 agosto 1720, secondo dei sei figli di Carlo Benedetto e Francesca Maria Naya: era infatti stato preceduto da una sorella, Maria Margherita, morta poco prima della sua nascita, e fu seguito da altri quattro tra fratelli e sorelle.
Il padre, uno dei più influenti capofamiglia del paese nonché consigliere comunale, impartì a Giacomo i primi elementi della vita cristiana, insieme ai nonni materni e alla moglie. A segnare il maggior influsso su di lui, comunque, fu uno zio da parte di padre, don Carlo Giovanni Abbondo, che da cappellano di Salomino si era reso noto per il suo sostegno ai poveri, accompagnato dalla devozione all’Immacolata.

Vocazione sacerdotale
Frequentò le scuole comunali a Tronzano e poi le scuole superiori a Vercelli. Sentendosi chiamato allo stato religioso, ricevette la Cresima il 15 dicembre 1740, dal cardinal Ferreri, che lo stesso giorno gli conferi la tonsura clericale e, l’indomani, lo ammise agli ordini minori dell’Ostiariato e del Lettorato.
Fu quindi orientato al sacerdozio diocesano, sebbene all’epoca la diocesi di Vercelli avesse pochi alunni in Seminario e la sede vescovile fosse vacante: per diventare prete, quindi, si doveva scegliere uno dei conventi cittadini o le Scuole Regie. Il chierico Abbondo, nel frattempo, svolse l’attività di precettore presso la famiglia del conte Agostino Benedetto Cusani di Sagliano, sindaco di Vercelli, che aveva sette figli di età compresa tra i due e i diciotto anni.
Il 20 luglio 1743 venne nominato professore nelle Scuole Regie, in sostituzione di don Pettardino, diventato canonico del Duomo. Dal nuovo vescovo di Vercelli, monsignor Giovanni Pietro Solaro, venne ordinato suddiacono il 21 dicembre dello stesso anno. Per la sua preparazione didattica e la solidità dei suoi insegnamenti dottrinali, divenbe anche Vicelettore di teologia scolastica dogmatica nella Regia Università di Vercelli. Il 29 febbraio 1744 fu ordinato diacono: dopo neanche un mese, il 21 marzo, divenne sacerdote, ottenuta la dispensa papale per l’età.

Parroco nel suo paese
Laureatosi in Lettere il 31 ottobre 1748 presso l’Università di Torino, fu nominato professore titolare di Umanità presso le Scuole Regie di Vercelli. Don Giacomo fu attivo prima presso la parrocchia di San Michele in Vercelli, per poi assumere l’incarico di prevosto della parrocchia dei SS. Pietro e Paolo a Tronzano, suo paese natale, dove secondo un diritto risalente al 1435 l’elezione del parroco spettava ai capifamiglia. Il 3 luglio 1757 ebbe così inizio il suo ministero pastorale, che lo vide sempre instancabile nella cura delle anime a lui affidate.

Il suo ministero
Il parroco precedente era un giansenista, dunque don Abbondo cercò di aiutare i suoi parrocchiani a riscoprire la bellezza e la bontà di Dio, la possibilità di conoscerlo, di pregarlo, di incontrarlo abitualmente nella sua Parola e nei Sacramenti. Buon predicatore, era solito riunire i parrocchiani per la catechesi e la preghiera specialmente d’inverno, quando in campagna c’erano meno lavori. Amava e rispettava i bambini che, andando contro la mentalità del tempo, ammetteva all’Eucaristia sin dall’età di dieci anni. Seguiva i malati portando loro frequentemente la Comunione ed invitava tutti ad accostarsi con frequenza ai Sacramenti.
Don Abbondo visitava periodicamente i suoi parrocchiani, anche coloro che abitavano nelle cascine e nelle frazioni più lontane dal centro abitato ed per tutti si rivelava un buon padre ed un educatore amorevole. Provvedeva con cura alla manutenzione delle tredici chiese presenti nel territorio parrocchiale e fu proprio nel periodo del suo mandato che, nel 1766, monsignor G. P. Solaro consacrò la chiesa parrocchiale di Tronzano.

Morte e fama di santità
Il giorno della sua morte, il 9 febbraio 1788, la popolazione di Tronzano lo pianse come se avesse perso un padre. I capifamiglia, in un pubblico elogio, lo qualificarono come dotato «d’immortal memoria per la perspicacia del suo ingegno, per la profondità della sua dottrina, per la santità della sua vita, per la somma prudenza nella sua condotta, e per l'instancabilità nell'esercizio del Pastorale suo Ministero».
Intanto, la sua buona fama crebbe, rasentando il culto popolare: dal 1841 al 1884, presso la sua tomba, vennero depositati almeno settantotto quadri ex voto per benefici attribuiti alla sua intercessione, mentre non si fermavano i pellegrinaggi dalla diocesi di Vercelli e dalle zone limitrofe.

La causa di beatificazione
Tuttavia, una causa di beatificazione vera e propria iniziò nel 1923, il 22 gennaio, con la prima sessione del processo informativo in sede diocesana. L’anno prima, il 13 marzo, le spoglie di don Abbondo erano state traslate in una cappella della chiesa parrocchiale di Tronzano.
In seguito alle nuove normative per i processi di beatificazione, la causa, ormai di carattere storico, è ripresa. Il 7 febbraio 1984, l’arcivescovo monsignor Albino Mensa e il Consiglio Presbiterale diocesano hanno deciso di procedere con la raccolta documentaria sistematica negli archivi diocesani. Ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 25 gennaio 2003, è arrivata anche la convalida della precedente inchiesta diocesana, il 21 novembre dello stesso anno. Nel 2008 è stata consegnata la “Positio super virtutibus” e, il 27 maggio, si sono riuniti i consultori storici.
In seguito al parere positivo dei consultori teologi, il 14 dicembre 2012, e dei cardinali e vescovi membri della Congregazione per le Cause dei Santi, il 9 maggio 2014 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui don Giacomo Abbondo era dichiarato Venerabile.

Il miracolo
Anche il miracolo che è stato preso in esame per la beatificazione ha carattere storico: in realtà, prima del 1983 ne servivano due, ma con la ripresa della causa ne è stato scelto uno solo.
Si tratta del fatto accaduto il 20 settembre 1907 a un ragazzo di Tronzano, Giovanni Viola: mentre scaricava del fieno, gli scappò di mano un bidente, sul quale cadde. Le punte dell’arnese hanno attraversato i tessuti del perineo, spuntando dal foro otturatorio destro del bacino. Le preghiere rivolte a don Abbondo fecero sì che non si riscontrarono in seguito difetti o complicazioni.
L’inchiesta diocesana sull’asserito miracolo è stata convalidata il 5 dicembre 2008. La decisione della Giunta medica, il 26 giugno 2014, è stata confermata il 20 novembre 2014 dai consultori teologi e, in seguito, dai cardinali e vescovi della Congregazione. Infine, il 5 maggio 2015, papa Francesco ha riconosciuto il fatto come miracoloso e ottenuto per intercessione di don Giacomo.
I suoi resti mortali sono stati oggetto di ricognizione canonica e, dal 5 novembre 2015, ospitati nella casa parrocchiale. Il 9 febbraio 2016, nell’anniversario del suo transito, sono stati ricomposti in una nuova urna, ricollocata nella cappella che li ospitava in precedenza.

La beatificazione
La parrocchia dei SS. Pietro e Paolo a Tronzano si è preparata alla beatificazione, fissata a sabato 11 giugno 2016 nella cattedrale di Vercelli, seguendo in pieno il suo stile: il suo attuale successore, don Guido Bobba, ha indetto per il giorno precedente, venerdì 10 giugno, una giornata penitenziale, così da vivere la celebrazione dell’indomani come un’occasione di grazia, prima ancora che come un motivo di giusto orgoglio locale.
A presiedere l’Eucaristia in qualità d’inviato del Papa è stato il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, affiancato da numerosi vescovi e sacerdoti piemontesi. La memoria liturgica del nuovo Beato è stata fissata, per la diocesi di Vercelli, al 9 febbraio, giorno della sua nascita al Cielo, nel quale era da sempre ricordato.

Per informazioni e relazioni di grazie:
Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo
via Lignana 28
13049 Tronzano Vercellese (VC)
www.parrocchiatronzano.it


Autore:
Don Fabio Arduino ed Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2016-09-22

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