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Beati Sei Martiri Cistercensi di Casamari Religiosi

16 maggio

† Casamari, Frosinone, 13/16 maggio 1799

Il 13 maggio 1799, mentre stavano per pregare la Compieta in coro, i monaci dell’abbazia cistercense di Casamari, vicino Frosinone, furono assaliti da venti soldati delle truppe francesi, in ritirata da Napoli dopo la fine della Repubblica Partenopea. L’abate in carica, padre Romualdo Pirelli, era fuggito a Palermo, per cui la responsabilità cadeva sul priore claustrale, padre Simeone Maria Cardon. I soldati vennero rifocillati e sfamati, ma subito dopo cominciarono le manovre di saccheggio. La maggior parte dei monaci cercò di scampare alla loro azione omicida, ma altri caddero sotto i colpi d’arma da fuoco e di armi bianche, mentre cercavano di evitare la profanazione dell’Eucaristia, degli oggetti sacri e dei paramenti. Durante la notte morirono padre Domenico Maria Zawrel, fra Albertino Maria Maisonade, fra Modesto Maria Burgen e fra Maturino Maria Pitri. Il priore morì alle sette del mattino del 14, perdonando i suoi aggressori. Un altro monaco, fra Zosimo Maria Brambat, si nascose per tre giorni: cercò di uscire dall’abbazia per ricevere gli ultimi Sacramenti, ma morì il 16 maggio, appena fuori dalle mura, a causa delle ferite riportate. Furono beatificati il 17 aprile 2021, sotto il pontificato di papa Francesco, nella chiesa dell’abbazia di Casamari, dove dal 1951 sono venerate le loro spoglie mortali. La loro memoria liturgica cade invece il 16 maggio, giorno della nascita al Cielo di fra Zosimo.



L’abbazia cistercense di Casamari
L’abbazia di Casamari, posta in una frazione del comune di Veroli, in provincia di Frosinone, appartiene all’Ordine Cistercense, fondato da san Roberto di Molesmes nel 1098 a Citeaux, cittadina francese il cui nome latino era Cistercium. L’Ordine ebbe il più grande sviluppo e regolamentazione nel 1109 con il terzo abate generale, santo Stefano Harding.
L’abbazia sorse sul luogo di un’antica fondazione benedettina, passata poi nel 1150 ai Cistercensi. La chiesa del 1217 e il grandioso complesso delle costruzioni monastiche sono opera di un’unica mente direttiva, che guidò l’opera delle abili maestranze. Il complesso edilizio, concepito secondo un piano chiaro e unitario, ricorda l’architettura borgognona per le proporzioni, la purezza delle forme e i prevalenti caratteri del primo gotico francese.
In questo gioiello dell’arte cistercense e cenobio insigne per spiritualità, viveva la comunità composta da una ventina di monaci cistercensi, sotto la guida dell’abate padre Romualdo Pirelli. Sul finire del diciottesimo secolo, anche tra le sue mura si verificarono episodi dovuti alla situazione del tempo.

La Repubblica Partenopea e l’Esercito Sanfedista
Il 23 gennaio 1799, le truppe francesi del generale Championnet occuparono Napoli, mentre il re Ferdinando IV si rifugiava a Palermo. Il giorno prima era stato occupato Castel Sant’Elmo, che sovrasta la città: gli occupanti avevano proclamato la Repubblica Partenopea. Il giorno dopo chiesero al generale francese di riconoscerla e di nominare un governo provvisorio, al quale presero parte molti intellettuali napoletani.
Mentre a Napoli si sviluppava, nei primi mesi dell’anno 1799, una vivace attività di governo, nella provincia del Regno delle Due Sicilie le cose precipitavano. Il 7 febbraio il cardinale Fabrizio Ruffo, con l’assenso del re, sbarcò nella sua Calabria con pochi uomini, per tentare un’opposizione armata e popolare contro i francesi e i cosiddetti giacobini, cioè i patrioti del regno che l’appoggiavano.
Radunati alcuni volontari contadini che nutrivano odio contro i loro padroni, il cardinale istituì l'Armata Cristiana e Reale della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo, detta anche Esercito Sanfedista. Facendo leva sulle folle contadine e appoggiandosi alle bande di briganti che imperversavano con la loro guerriglia, l’esercito conquistò man mano la Calabria, la Puglia, la Basilicata, saccheggiando tutte quelle cittadine simpatizzanti per la Repubblica che si opponevano, come Altamura, Crotone e molte altre.
Dal mare il generale inglese Horatio Nelson, con la sua flotta e le truppe turche e russe, inviate dai loro sovrani in soccorso del re Ferdinando IV, sosteneva la marcia dei sanfedisti verso Napoli, la capitale del Regno.

La caduta della Repubblica Partenopea
Intanto, nell’aprile 1799, le truppe francesi subirono sconfitte in Lombardia, nella guerra contro l’Austria. Ciò determinò l’abbandono di Napoli prima, e del Regno delle Due Sicilie poi, da parte delle truppe francesi del generale Championnet, che presero a risalire la Penisola. I sostenitori della Repubblica Partenopea rimasero soli: oltre alle preponderanti forze nemiche, dovettero affrontare anche l’insurrezione interna dei cosiddetti lazzaroni, appartenenti al ceto popolare.
La Repubblica cadde definitivamente il 19-23 giugno. Nonostante le promesse del cardinale Ruffo, il re, ritornato a Napoli, tramite le Giunte di Stato condannò a morte per impiccagione o decapitazione più di cento uomini e donne che avevano appoggiato la Repubblica.

La ritirata delle truppe francesi
Le truppe francesi, costrette dall’avanzare del riorganizzato esercito borbonico e dalla presenza della flotta inglese, ancorata nelle isole d’Ischia e di Procida, presero la via del ritorno, risalendo la penisola per la strada litoranea, attraverso Gaeta e Terracina.
Lo Stato Pontificio era anch’esso invaso dai Francesi. Lo stesso papa Pio VI si trovava prigioniero di Napoleone Bonaparte in Francia, dove morì il 29 agosto 1799. Un distaccamento di circa quindicimila soldati, al comando dei generali Vetrin e Olivier, prese però la strada interna, giungendo il 10 maggio a Cassino, spopolata dagli abitanti che si erano rifugiati sui monti.
Anche la millenaria abbazia benedettina di Montecassino fu devastata, saccheggiata e profanata dai circa millecinquecento uomini della colonna del generale Olivier, saliti fin lassù. Fortunatamente i monaci si erano messi in salvo a Terelle, portando con loro gli oggetti più preziosi e artistici.
La ritirata continuò nella provincia di Frosinone: cittadine come Aquino, Roccasecca e Arce, l’11 maggio 1799, furono saccheggiate e alcuni abitanti uccisi. In seguito i francesi, anziché deviare per Ceprano, si diressero a Isola del Liri, dove il 12 maggio, quell’anno giorno di Pentecoste, attuarono ogni sorta di violenza, saccheggio, profanazione di chiese e distruzioni. Nella chiesa di San Lorenzo vennero assassinate trecentocinquanta persone, ma il bilancio finale fu di seicento morti.
Mentre la truppa riprendeva la strada per il nord, un drappello di soldati sbandati, «venti leopardi», come li definì un testimone oculare, il 13 maggio, verso le otto di sera, penetrò all’interno dell’abbazia di Casamari, alla ricerca di altro bottino.

Il saccheggio e la profanazione del 13 maggio 1799
Il 13 maggio 1799, quindi, il clima era di paura, per le notizie che venivano dall’esterno. Dopo la fuga a Palermo del padre abate, Romualdo Pirelli, a causa dei rivolgimenti politici, la responsabilità era passata al priore claustrale, padre Simeone Maria Cardon.
I monaci si stavano apprestando a pregare in coro la Compieta, a cui avrebbe fatto seguito il grande silenzio monastico, quando avvertirono la presenza dei soldati sbandati. Il priore si offrì di rifocillarli, ma essi, dopo essersi ripresi, si diedero al saccheggio.
Mentre la maggior parte dei monaci scappava spaventata e inerme, cercando un possibile rifugio, sei di essi restarono vittime della rabbia dei soldati: vennero feriti mortalmente a colpi di sciabola, baionetta e archibugio. Quindi gli aggressori lasciarono l’abbazia.

L’uccisione di sei monaci
Durante la notte morirono padre Domenico Maria Zawrel, fra Albertino Maria Maisonade, fra Modesto Maria Burgen e fra Maturino Maria Pitri. Un altro religioso, fra Dosideo, fu ferito gravemente insieme ai primi due, mentre li aiutava a raccogliere le Ostie consacrate, gettate a terra durante il saccheggio.
Padre Domenico e fra Albertino vennero uccisi mentre pregavano nella cappella dell’infermeria, ma fra Dosideo sopravvisse fingendosi morto; in tal modo, fu testimone oculare di quanto era accaduto. Il priore, invece, morì alle sette del mattino del giorno seguente, perdonando i suoi aggressori.
Un altro monaco, fra Zosimo Maria Brambat, gravemente ferito ma ancora vivo, si nascose per tre giorni, poi cercò di dirigersi al vicino paese di Boville Ernica e ricevere l’Unzione degli Infermi. Non poté arrivarci, perché morì poco fuori dalle mura dell’abbazia.

Fama di santità e di martirio
I sei monaci furono da subito considerati martiri, perché la loro uccisione si era svolta in un contesto dove, nel corso dei saccheggi, erano state frequenti le irrisioni contro la fede, i suoi simboli e i suoi rappresentanti.
I loro corpi furono sepolti nel cimitero monastico dai confratelli, ritornati dopo il gran pericolo, in modo da essere facilmente riconosciuti. Subito dopo, i fedeli della zona cominciarono venire a pregare sulle loro tombe e a domandare grazie per loro intercessione. Nel 1854, però, l’abate del tempo impose ai defunti di non concederne più, in virtù dell’obbedienza, per preservare la quiete del monastero.
Cinque anni dopo, il 20 agosto 1859, i loro resti furono traslati nella chiesa abbaziale, precisamente nella navata sinistra. Il 12 maggio 1951 le spoglie vennero collocate nella parte opposta, ossia nella navata destra, verso il portale d’ingresso. In quell’occasione l’abate reiterò la richiesta di grazie già posta nel 1934, quando la proibizione era stata dichiarata decaduta.
Venne anche realizzata una serie di dipinti, a firma di Mario Barberis, che illustra alcune fasi del loro martirio: dei sei quadri, ora custoditi nel Museo dell’Abbazia, uno è andato distrutto.

La fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione
Il 27 giugno 2013 il postulatore generale dell’Ordine Cistercense, padre Pierdomenico Volpi, chiese a monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, d’introdurre la loro causa di beatificazione e canonizzazione, per verificarne l’effettivo martirio in odio alla fede.
Il vescovo, chiesto il parere della Conferenza Episcopale Laziale ed avuto parere positivo, il 6 dicembre 2014 diede inizio al processo diocesano, concluso il 25 febbraio 2016, dopo dodici sessioni; il nulla osta della Santa Sede era stato emesso nel 2015. Gli atti del processo diocesano vennero inviati alla Congregazione delle Cause dei Santi, ottenendo il decreto di convalida.

Il riconoscimento del martirio e la beatificazione
La “Positio super martyrio” venne consegnata nel 2018. I Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi, seguiti dai cardinali e dai vescovi membri della stessa Congregazione, si pronunciarono a favore del martirio dei monaci.
Il 26 maggio 2020, ricevendo in udienza il cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto sul martirio di padre Simeone e compagni.
La loro beatificazione venne celebrata il 17 aprile 2021 nella chiesa dell’abbazia di Casamari, col rito presieduto dal cardinal Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come delegato del Santo Padre. La loro memoria liturgica venne fissata al 16 maggio, giorno della nascita al Cielo di fra Zosimo.
 

L'elenco

98811 - Albertino Maria Maisonade
98810 - Domenico Maria Zawrel
98813 - Modesto Maria Burgen
98814 - Maturino Maria Pitri
† Casamari, 13 maggio 1799

98809 - Simeone Maria Cardon
† Casamari, 14 maggio 1799

98812 - Zosimo Maria Brambat
† Casamari, 16 maggio 1799


Autore:
Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2021-04-10

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