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Servo di Dio Giovanni Minzoni Sacerdote e martire

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Ravenna, 1° luglio 1885 – Argenta, Ferrara, 23 settembre 1923

Nato in una famiglia medio-borghese, studiò in seminario e nel 1909 fu ordinato prete. L'anno seguente fu nominato cappellano ad Argenta, da cui partì nel 1912 per studiare alla Scuola sociale di Bergamo, dove si diplomò. Ammirato per il suo coraggio e per la sua volontà di collaborazione e di dialogo con il proletariato contadino, allo scoppio della Prima guerra mondiale fu inviato al fronte come cappellano militare. Chiamato alle armi nell'agosto 1916, aveva chiesto di poter svolgere il suo servizio come cappellano tra i giovani militari al fronte e, in un momento molto critico della battaglia del Piave, aveva dimostrato tale coraggio da meritare la medaglia d'argento.Al termine del conflitto torna ad Argenta, dove nonostante la sua adesione al Partito Popolare Italiano diventa amico del sindacalista socialista Natale Galba, ucciso dalle camicie nere nel 1923: questo e molti altri episodi lo convinceranno a disprezzare il fascismo. Alle numerose iniziative in campo sociale egli aggiunse un'adesione entusiasta al cooperativismo, mettendosi contro il regime fascista che invece sosteneva il corporativismo. Poco dopo Minzoni rifiutò energicamente l'istituzione dell'Opera nazionale balilla ad Argenta, preferendo educare in prima persona i giovani della città: grazie all'incontro con don Emilio Faggioli, già fondatore nell'aprile del 1917 del gruppo scout Bologna I, e poi assistente regionale dell'Emilia-Romagna, don Minzoni si è convinto della validità dello Scoutismo, per cui decide di fondare un gruppo scout nella propria parrocchia. Ormai inviso al governo mussoliniano per la sua opposizione al nascente regime, la sera del 23 agosto 1923 venne ucciso a bastonate da alcuni squadristi facenti capo all'allora console di milizia Italo Balbo. Nel 2023, centenario del martirio, il Dicastero delle Cause dei Santi ha concesso il nulla osta per l'avvio della causa di beatificazione e canonizzazione.



Il Sacerdote
Giovanni Minzoni nasceva a Ravenna il 29 Giugno del 1885 dal fu Pietro e da Giuseppina Gulmanelli. Il Padre era proprietario e dirigeva la locanda del Cappello. Il piccolo Giovanni crebbe tra l'affetto dei genitori, e di due fratelli e due sorelle, dimostrando viva intelligenza, carattere aperto, franco, espansivo, energia di volontà, e soprattutto una bontà non comune. Queste qualità, Egli le seppe maggiormente sviluppare col crescere degli anni, nella educazione del Seminario Arcivescovile, dove tra gli studi e gli esercizi di pietà sentì subito la vocazione al sacerdozio, che seguì con fervore, fermezza di proposito, senso di maturità.
Fin dalla prima giovinezza, il Minzoni concepì il sacerdozio come un apostolato, come una vita di sacrificio per la salvezza delle anime. C'è tutta una schiera di amici, sacerdoti e laici, che condivisero con lui gli anni del Seminario, che ne ricordano vivamente le doti di mente e di cuore.
Egli era il compagno buono, a cui non si ricorreva mai invano per un consiglio, per un aiuto, per una parola; era l'amico col quale si fraternizzava al primo incontro, attratti dalla sua calda parola e dalla sua inesauribile bontà; era il ragazzo esuberante, simpatico nello stesso aspetto fisico, dalla corporatura robusta e bene sviluppata e dal volto maschio, aperto, illuminato spesso dal sorriso e dagli occhi pieni di vivacità, che rivelava una precoce maturità di spirito apostolica, nell'investirsi con slancio d'ogni problema morale e religioso, che fosse espressione di un travaglio vissuto e richiesto per una conquista ideale e sociale. Così si interessava con passione del problema che faceva allora vibrare tante anime, quello della democrazia cristiana. E si ricorda in proposito, che una sera fu visto piangere amaramente sopra una fotografia, che stringeva tra le mani convulse, con espressione di profondo dolore e di sdegno: era la fotografia di Romolo Murri apostata e ribelle al Romano Pontefice.
Le sue attitudini a convivere coi giovani ed educarli, venivano sperimentate nell'assistenza, a cui era chiamato nei giorni festivi insieme ad altri Seminaristi, dei ragazzi del Ricreatorio Arcivescovile, diretto dal Can.co Pio Bignardi, che ha sempre ricordato con predilezione il giovane coadiutore nelle fatiche per l'educazione cristiana della gioventù ravennate.
Tra l'affetto degli amici e la stima dei Superiori, il Minzoni veniva consacrato sacerdote dal compianto arcivescovo Mons. Morganti, e celebrava la sua prima messa il 10 settembre del 1909 nella chiesa di S. Domenico, parrocchia della sua famiglia.
In quella circostanza, Egli faceva pubblicare nella immagine-ricordo una preghiera, che doveva avere certamente mediata e scolpita nel suo cuore, poiché più tardi la voleva ripetuta nel suo testamento.
Passò alcuni mesi nell'assistere con amore e sollecitudine figliale lo zio arciprete della parrocchia dei SS. Vito e Modesto. Poi per volontà del superiore, nella quaresima del 1910, si recava in Argenta (antico e storico paese, in provincia di Ferrara e diocesi di Ravenna), per essere cappellano di S. Nicolò, alle dipendenze dell'allora arciprete D. Gioacchino Bezzi. Vi andò con l'animo perplesso, trepidante, ma sacerdote ubbidiente e disciplinato, era animato da figliale riverenza verso il suo Arcivescovo e il suo Arciprete e da risoluta volontà di fare il bene nel campo destinatogli dalla provvidenza.
Subito egli si faceva apprezzare ed amare da Don Bezzi e dalla popolazione per la sua indole franca e gioviale, per la sua fervida attività e per sue impareggiabili doti nella esplicazione del ministero sacerdotale. Nello stesso tempo non tralasciava di compiere e arricchire la sua cultura, e negli anni 1912, 1913, 1914, egli frequentava i corsi accelerati della Scuola Sociale di Bergamo, conseguendovi a pieni voti la laurea di dottore, acquistando vieppiù e mostrando in sé quella chiara visione dei problemi spirituali sociali, che hanno aperto ai nostri tempi un nuovo, vasto e così necessario campo alle attività sacerdotali.
Comprese poi subito il bisogno urgente di allevare cristianamente la nuova generazione. Argenta era stata ed era teatro di agitazioni e di conflitti operai, che tengono un posto speciale nella storia del proletariato italiano. L'opera di scristianizzazione compiuta dal socialismo in questo paese, come in tutta la provincia di Ferrara e altrove, era assai grave; un gruppo di buoni, fedeli all'ideale cristiano ed alla Chiesa, vi era rimasto resistendo con l'organizzazione alla propaganda e alle pressioni avversarie. Ma bisogna salvare specialmente i giovani e i fanciulli; ed a questi si dedicò subito Don Minzoni con abnegazione straordinaria. Così pensò e fece decidere l'erezione del Ricreatorio, comune alle due parrocchie del paese, e del nuovo salone, che servisse per le adunanze, per i trattenimenti, per il cinematografo.
Venuto a morte l'arciprete Bezzi, il 29 gennaio 1916, la popolazione volle suo successore D. Minzoni, che veniva eletto con votazione plebiscitaria dai capi famiglia aventi diritto all'elezione dell'arciprete, fra l'esultanza degli Argentani. Ma egli non poté prendere possesso della parrocchia, che reggeva come economo spirituale, nel tempo stabilito.
Era già scoppiata la guerra europea, e la nostra patria vi era entrata anch'essa per assicurare i sui diritti e tutelare la sua dignità e sua indipendenza. Don Minzoni non si fece illusioni circa il suo futuro destino di cittadino, e fervorosamente impiego quei mesi che lo separavano dalla chiamata della sua classe nel sistemare alla meglio la sua importante parrocchia, già chiesa collegiata e anche adesso la principale del paese, nel promuovere ed affiancare quelle opere di previdenza morale e materiale che sorgevano un poco dappertutto in favore dei richiamati, dei combattenti e delle loro famiglie.

Il Cappellano Militare
Nell'agosto del 1916, chiamata alle armi la classe 1885, Egli doveva lasciare la parrocchia, Argenta, per andare soldato nella settima compagnia di sanità in Ancona. Dopo alcuni mesi, veniva destinato al servizio nell'ospedale militare di Urbino. Ma l'ambiente dell'ospedale, dove pure si faceva amare dai superiori e compagni e dove cercava di far del bene, non si confaceva al suo temperamento. Egli si sentiva attratto ad una vita di maggiore attività spirituale ed anche fisica, a doveri più alti e più ardui: perciò, malgrado le preghiere insistenti dei parenti e degli amici, faceva domanda di cappellano di reggimento. La sua domanda veniva accolta, e D. Minzoni veniva nominato tenente Cappellano del 255° Fanteria, il reggimento dispari della gloriosa Brigata "Veneto".
Con quale entusiasmo, Egli parti per il fronte! Le sue lettere scritte di la, e il suo diario di guerra segnavano le azioni del suo nuovo apostolato e rivelano i sentimenti del suo animo nobile ed elevato mai preso dall'avvilimento, sempre pronto al sacrificio. Egli scriveva ad un amico: "Crede che sia avvilito? Per nulla! Anzi lo sa che io ho un carattere che si eccita dinnanzi alle difficoltà e alle cose nuove".
Il suo Diario poi è un vero specchio della sua vita, del suo animo. Giorno per giorno Egli vi nota e descrive episodi, fatti, impressioni, osservazioni; vi riassume i discorsi fatti al campo e altrove, le lettere scambiate con la famiglia, gli amici, altre persone; vi esprime giudizi sopra sé, sopra gli altri con la sua solita sincerità e con finezza di esame psicologico; vi confessa i suoi difetti ed insuccessi spirituali, i suoi tormenti, le sue aspirazioni; vi fa vibrare la sua anima con le sue intense emozioni, i suoi santi entusiasmi, il suo fervore per il bene dei soldati e delle persone care lontane, per la salvezza e la gloria della patria. Oltrechè della vicende personali e dei fatti principali della guerra, è una rassegna dei ricordi più belli della sua vita di studente e di sacerdote.
La sua attività durante la guerra si definisce soltanto così: confortatore dei feriti e dei morenti, confortatore dei soldati, ufficiale, soldato, sacerdote esemplare, di gran coraggio, di grande pietà, di grande fede in Dio e nei destini di Italia.
Con quante industrie Egli cercava di ravvivare lo spirito cristiano nei soldati; e con le conversazioni, col buon esempio, col suo fare franco e gioviale si studiava di togliere pregiudizi, illuminare, tirare al bene gli ufficiali! Specialmente nel periodo natalizio e pasquale, e nel mese di maggio. Egli era infaticabile nel ministero e nel coltivare la fede e la pietà.
Era sempre pronto e primo nei rischi e nei combattimenti. Egli ben poteva scrivere: "Spendere la vita per un ideale, non è morire, è vivere!". E per i suoi cari, piangenti alla sua partenza, dopo una visita in breve licenza: "Che Dio vi benedica e vi dia quella fede e costanza, che nutre in cuore il vostro Giannetto!". E per se: "La morte sul campo non mi ha mai fatto paura; mi sembra bella, grande".
Volontariamente prendeva parte a ricognizioni, come una volta sul Piave, con un plotone di arditi, per cui meritò uno speciale encomio dal colonnello. Si trovò in azioni e in battaglie gravissime sul Trentino e sull'Isonzo. A monte Zebio, nel giugno 1917, ebbe, come Egli s'esprimeva, il suo battesimo di fuoco. A Brestovizza si segnalò in modo speciale, cosicché nel settembre venne proposto per una medaglia al valore; ma alla proposta non fu dato corso! Ed egli ne provò rincrescimento, e agli amici e ai superiori francamente lo rivelò dichiarando di tenerci ad un riconoscimento del dovere compiuto, non per millanteria e vanità, ma per maggiore onore e credito del suo mistero.
Tra gli episodi ne ricordiamo uno dell'ottobre dello stesso anno 1917. Si trovava in prima linea ed essendo stato colpito da una palla il capitano medico. D. Minzoni, rischiando la vita, lo soccorse, e sotto il tiro nemico lo portò al sicuro.
Intorno a Lui, il colonnello, in data 25 settembre1917, stendeva il seguente rapporto informativo: " Assai robusto, resistente alle fatiche. Ha carattere forte, franco e leale. Ha gentile l'animo e pratica razionalmente la carità cristiana. E' molto coraggioso. Coadiuva efficacemente il comando di Reggimento, conservando nella truppa, sia con opportuni discorsi domenicali, sia con consigli dati amichevolmente ai gruppi di soldati che spontaneamente lo avvicinano, lo spirito di disciplina... E' stimato ed amato da tutti gli ufficiali del reggimento, compresi quelli non credenti e di altra religione. Malgrado il suo spirito ardente e battagliero, nelle discussioni fra ufficiali si conserva calmo e prudente. In combattimenti ed in trincea è non curante del pericolo; gira per le trincee e per i posti di medicazione a rincuorare i feriti ed i meno animati...".
Le sue belle virtù religiose, civili, militari, dovevano culminare durante la battaglia del Piave, che nel giugno 1918 decise in favore dell'esercitò italiano tutta quanta l'aspra e sanguinosa tenzone.
Egli scriveva: "Sarà il mese degli avvenimenti? In questo mese sono entrato in Seminario, ho fatto la prima Comunione, ho avuto il battesimo del fuoco a monte Zebio. Vedremo!". Il generale gli diceva: "Don Giovanni, se ci sarà l'azione, mi riprometto molto da lei". Ed Egli rispondeva: "Signor Generale, farò tutto il mio dovere, in prima linea". Era il 15 giugno, il tragico giorno che segnava il secondo tentativo di invasione barbarica. La veneto posta agli ordini della terza Armata si trovò fortemente impegnata contro forze nettamente superiori, al caposaldo di Salettuol. Essa compì prodigi di valore. Ogni soldato fu un leone; ogni ufficiale fu un eroe. Don Minzoni compì un'azione di grande importanza, che segnò tra i suoi il principio della riscossa e della reazione contro gli assalitori che avevano passato il Piave.
A battaglia finita, a vittoria raggiunta, il 28 giugno il Duca d'Aosta distribuiva sul campo ai prodi della sua magnifica "Invitta" gli ambiti segni del valore della riconoscenza nazionale. E a D. Giovanni Minzoni, per primo, veniva data una medaglia d'argento al valore con la seguente motivazione: "Instancabile nella sua missione pietosa di confortar feriti, di aiutare i morenti durante il combattimento, impugnato il fucile e messosi alla testa di una pattuglia di arditi si slanciava all'assalto contro un nucleo nemico, faceva numerosi prigionieri e liberava due nostri militari di altro corpo precedentemente catturati".
L'episodio, narrato nella schematica motivazione, può essere annoverato tra i più belli di quelle gloriose giornate. La narrazione così interessante nei suoi particolari, l'abbiamo letta su vari giornali, e l'abbiamo udita più volte dalla bocca stessa di D. Minzoni, che si sentiva così soddisfatto di aver anch'egli contribuito col braccio alla salvezza della Patria!
Il 24 giugno, festeggiatissimo dal Reggimento e dai lontani, in occasione del suo onomastico, D. Minzoni scriveva: "Ho passato una giornata piena di felicità, perché sento d'aver fatto tutto il mio dovere, e sento di essere tanto amato!" - E dopo la premiazione: "Sono fiero di essere fregiato della medaglia d'argento; però sono più fiero di essere veramente amato dai soldati e superiori!".
Alla medaglia d'argento s'aggiunsero due croci di guerra, la medaglia del milite ignoto, quella del Piave, quella della campagna, una francese e altre: in tutto undici, insieme a quella di cavaliere d'Italia; di esse si fregiava in circostanze solenni senza spirito d'ostentazione, con legittimo orgoglio.
Testimonianze del suo valore, e dell'adempimento pieno e fervoroso dei suoi doveri, sono le lettere dei suoi superiori e commilitoni, di cui alcuna riferiamo più avanti. E testimonio fra tutti assai prezioso, è il suo attendente, Bisio Emilio di Genova, un autentico operaio, sulla quarantina, dal viso bronzeo e le mani callose; il quale aspettava con ansia a Genova, per il congresso Eucaristico, il suo extenente; e invece, appresa la ferale notizia della morte di lui, accorse a Ravenna per assistere ai funerali e portare, piangente dietro il feretro, la sua divisa con le decorazioni! Egli ha narrato col pianto negli occhi, commoventi particolari della sua vita al campo; e conservava nel portafogli lettere, qualcuna logora e ridotta in brandelli, illeggibile, del suo Don Giovanni, che, finita la guerra, ha continuato a scrivergli con l'affetto di un fratello.
Nell'ottobre 1918, perché preso da ostinate febbri malariche, si vide costretto a chiedere l'avvicendamento. Fu destinato ad un ospedaletto da campo; ma Egli, rimessosi alquanto, chiese ed ottenne di ritornare al suo Reggimento. Scriveva ad un amico: "L'affetto e la solennità dell'ora mi hanno ispirato così". Il Brigadiere Generale Comandante De Maria scriveva tra l'altro al Colonnello: "Sono lieto nell'apprendere che il cappellano D. Giovanni Minzoni è ritornato per suo desiderio al reggimento che lo ama e lo ammira per le sue reiterate prove di abnegazione e di profondo sentimento del suo pietoso dovere".
E venne l'ultima azione, l'armistizio, la pace.
Nel febbraio del 1919, D. Minzoni fu incaricato di portare a Gabriele D'Annunzio la medaglia d'oro offerta dal reggimento. Il poeta lo accolse con molta cordialità e gli donò due opuscoli con le dediche: " A Don Giovanni Minzoni prode soldato di Cristo e d'Italia". - " A Don Giovanni Minzoni questo libro d'ardore a chi arde. Gabriele D'Annunzio".
Gli consegnò inoltre una lettera per il Reggimento, nella quale il Poeta, tra l'altro, ha scritto: "Non è questo un piccolo dono. Il messaggio che mi avete spedito, il credente nel Cristo risorto e nell'Italia risorta, il buon Cappellano Ravennate, che porta sul petto il segno azzurro della prodezza, ha veduto la mia mano tremante nel riceverlo....
...Voglio ripetervi la parola che dissi ad altri compagni nell'alba del 25 maggio 1915, nell'alba di Roma; il nostro Dio ci conceda di ritrovarci o vivi o morti in un luogo di luce".
Appreso, scrivendo agli amici, D. Minzoni tradiva l'amarezza che già presentiva nel dover presto lasciare il reggimento, amarezza che sarebbe stata assai più grande e tale da tentarlo a rimanere cappellano militare, se la sua Argenta non l'avesse reclamato.

Il Pastore
Dopo tre anni, D. Minzoni ritornava in Argenta, da lontano, anche nei momenti terribili della guerra, Egli non aveva mai tralasciato di pensare alla sua parrocchia, ma altresì di interessarsi del suo Ricreatorio e dell'Istituto Liverani bisognoso di sistemazione.
Nei periodi di licenza, talvolta con grave disagio, correva a visitare la sua parrocchia. Con quale festa vi era accolto! Ed egli, se vi capitava in giorni festivi, teneva discorsi al popolo in chiesa, faceva il catechismo; sempre poi raccoglieva intorno a sé i fanciulli e i giovani; visitava gli istituti, varie famiglie, gli ammalati.
Oltre la coltura varia e soda, accresciuta anche nel tempo di guerra, Egli portava con sé una grande esperienza della vita, e un nuovo ardore di apostolato. La guerra non l'aveva fiaccato, ma temprato al nuovo lavoro, alle nuove lotte. Egli scriveva: "Si apre un'era nuova, e piaccia al Signore che sappia affrontarla e viverla pienamente e con spirito giovanile".
Il 24 giugno del 1919, circondato e festeggiato dagli Argentani e da molti amici accorsi da ogni parte, prendeva solenne possesso della sua parrocchia.
Nel discorso ch'Egli rivolse allora dall'altare, vibrò la sua anima generosa: profondamente commosso, e col pianto nella gola, rinnovò i suoi propositi di lavoro e di dedizione a Dio e al prossimo, la sua offerta al sacrificio, quale aveva fatta nella sua prima messa. E cercò in tutti i modi di mantenere quei propositi! Gli si opponevano difficoltà assai gravi e d'ogni genere. Scarsissime erano le rendite parrocchiali; insufficiente l'aiuto per l'esercizio del ministero, mancandogli il cappellano ed essendo inferiore al bisogno il numero di altri due sacerdoti nel paese; continuò il lavoro e persistente l'opposizione dei partiti. Tuttavia, Egli, dimostrandosi sempre fidente e sereno, si prodigò; nella chiesa e fuori fu instancabile; aveva come la febbre del lavoro, e un continuo, acuto desiderio di migliorare le opere esistenti e di compierne delle nuove. In certi momenti, nel confidarsi agli amici, pareva disanimato, avvilito; ma sapeva subito riprendere coraggio, e rianimarsi con un sano ottimismo, e con la fiducia della provvidenza.
Di fronte alla opposizione, specialmente se subdola, da parte dei nemici della religione, Egli aveva talvolta degli scatti e delle parole vivaci; non trascendeva però, ne sapeva nutrire alcun rancore. Con la sua bontà e lealtà anche nel confessare i propri torti e difetti, sapeva aprirsi la via ai cuori, o almeno imporre il rispetto e conciliarsi la stima degli stessi avversari.
Curò il miglioramento della sua prebenda, ne accrebbe di alquanto le rendite; per il resto ci rimetteva del suo non vistoso patrimonio.
Amo il decoro della casa di Dio. Attese a restaurare ed abbellire cappelle e altari nella sua chiesa di S. Nicolò. Volle dedicarne uno alla memoria dei caduti in guerra, con un bel quadro di distinto pittore; e lo inaugurò con grande solennità. Così fece decorare l'altare di S. Giuseppe, e attendeva ad abbellire maggiormente quello del Sacramento e del Patrono S. Nicolò da Bari.
Organizzò feste e predicazioni straordinarie; altre ne preparava. Una festa speciale per solennità e decoro era quella annuale per la prima comunione dei fanciulli. Promosse con vivo zelo la frequenza ai sacramenti, la devozione al Sacro Cuore di Gesù e alla Madonna della Celletta tanto venerata dagli Argentani, e il cui Santuario poté veder riaperto al culto dopo molt'anni di chiusura imposta dal settarismo imperante nel Comune, da quale dipende il magnifico tempio della Celletta. In questi ultimi mesi Egli attendeva a preparare col suo solito fervore il centenario della Patrona di Argenta, il quale cadde nell'ottobre di quest'altro anno. Aveva già costituito un comitato, con l'adesione del municipio, e abbozzato il programma, e stava per lanciare un foglietto mensile per preparare gli animi all'avvenimento.
Tenne con onore la carica di presidente dell'Opera Pia Manica, che amministra il ricovero dei vecchi poveri; e altri uffici e mansioni, a cui veniva chiamato dalla stima e fiducia del paese. Si preoccupò assai, come si è accennato, dell'Opera Pia Liverani, destinata alla istruzione ed educazione della fanciulle sotto la direzione delle suore di Carità. Egli ne era amministratore, e avrebbe voluto, oltrechè migliorarne la situazione finanziaria, renderla più adatta ai bisogni presenti; perciò oltre al ricreatorio femminile, Egli stava ideando l'istituzione di un laboratorio più vasto e completo.
Pastore benefico e caritatevole, consigliere apprezzato e ricercato, aveva la casa sempre aperta ai parrocchiani, specialmente ai giovani e ai bisognosi.
Alle associazioni di carattere giovanile, D. Minzoni dedicava in modo speciale il suo mirabile ardore; sì che aveva fatto sorgere in breve un fiorente Circolo della Gioventù Cattolica Maschile, che volle intitolato all'eroe Giosuè Borsi, un Circolo di Gioventù Femminile accanto alla sezione delle Donne Cattoliche, e infine una Sezione Esploratori. Aveva poi messo in efficienza l'elegante e vasto salone-teatro con cinematografo per il Ricreatorio, per le Associazioni e per la popolazione Argentana, che non ha mai mancato di frequentarlo come l'unico ritrovo serio ed educativo del paese.
Chi vive in mezzo all'azione cattolica, sa quale contributo abbia portato, soprattutto al movimento giovanile, D. Minzoni; è sempre con quel sacro fuoco fatto di entusiasmo e di passione che non si attenuava né si ripiegava davanti alle asprezze, delusioni, alla squallida realtà. Non  una volta soltanto, come accade a cotali lavoratori, Egli ha dovuto rifarsi, si può dire, da capo nell'opera sua, e con quale pazienze, tenacia, e fiducia! Se qualche disappunto si sarebbe potuto fare talvolta a qualche sua azione, bisognava però riconoscere sempre in lui purezza di intenzioni, nobiltà di sentimenti e grande disinteresse. Sembrava proprio che Egli non potesse vivere che per la gioventù, per la cui educazione cristiana si è sacrificato. E i giovani corrisposero ai suoi sforzi, al suo amore. Nel Luglio scorso, Egli ammetteva alla prima comunione un gruppo di giovani popolani, rimasti sempre lontani dalla chiesa e da lui guadagnati alla religione e al bene; li teneva con sé a mensa con soddisfazione e premura paterna, e li assicurava della sua assistenza in avvenire.
Al convegno Diocesano della Gioventù Cattolica, tenuto lo scorso dicembre, D. Minzoni ottenne di promuovere in Argenta un convegno di plaga. Coadiuvato dai suoi giovani e da tante buone persone, Egli organizzò mirabilmente il convegno, che ebbe luogo il 22 aprile. Più di cinquecento giovani vi parteciparono dal ravennate, dal ferrarese, e da altri luoghi, e diedero edificante spettacolo di ardore per i sacri ideali della Fede. D. Minzoni vi tenne la relazione sul movimento giovanile in rapporto all'ambiente e al momento che attraversiamo; con vigore ed acume, Egli tratto dei vari importanti problemi e incitò i giovani a stringersi con rinnovati propositi di purezza e di azione alla bandiera di Cristo.
Nello stesso Convegno, Egli decise l'istituzione della Sezione degli Esploratori Cattolici. Quest'opera doveva costargli nuove difficoltà, nuove lotte. Non piegò d'innanzi alla bufera di avversioni, di minacce, di persecuzioni; seppe con coraggio e fermezza, non disgiunte da opportuna prudenza e saggezza, tenere i giovani stretti a sé, e cercò in tutti i modi di persuadere gli avversari del suo diritto e dovere di lavoratore per un'opera di elevazione morale e religiosa.
A tale proposito Egli scriveva una lettera ad una persona distinta in Argenta per invocarne l'opera al fine di chiarire la situazione e pacificare gli animi. In essa D. Minzoni illustra quale debba essere la missione di un parroco, e in che consista l'azione cattolica voluta dal Papa, da non confondersi con la politica. Respinge l'accusa di politicantismo,e accenna al lavoro svolto per 13 anni in mezzo al popolo e alla gioventù per il loro rinnovamento spirituale, e al suo patriottismo dimostrato non solo in tempo di guerra, ma anche dopo, di fronte al bolscevismo. "Faccio del bene, Egli dichiara, in pubblico ed in privato, ai cuori ed alle intelligenze, al popolano come al ricco, non per merito mio ma per grazia divina; e se la mia missione è contrastata, allora fiero insorgo a protestare, poiché la religione non ammette servilismi, ma il martirio...".
E in quest'ultimo tempo, Egli scriveva ancora: " Ci prepariamo alla lotta tenacemente e con un'arma, che per noi è sacra e divina, quella dei primi cristiani: preghiera e bontà. Come un giorno per la salvezza della patria offersi tutta la mia giovine vita, felice che a qualche cosa potesse giovare, oggi mi accorgo che battaglia ben più aspra mi attende. Ritirarmi sarebbe rinunciare ad una missione troppo sacra. A cuore aperto, con la preghiera che spero mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo."

L'Assassinio
Giovedì 23 Agosto, D. Minzoni se ne ritornava verso casa dopo una breve passeggiata in compagnia del giovane Bondanelli Enrico di anni 25, e se ne veniva verso il cinematografo del suo Ricreatorio, ove si svolgeva il solito spettacolo. Potevano essere le 22 o le 22,30.
Giunti a pochi passi dal cinematografo, nel buio della stretta via, ad una svolta che assai bene si prestava all'agguato, D. Minzoni e il suo giovane compagno di passeggiata vennero seguiti da due persone, che essi non potevano neppure avvertire.
L'intervento e l'azione dei due sicari furono fulminei e mortali. Un colpo di bastone, vibrato con terribile violenza, si abbatté sulla nuca di D. Minzoni, che, dopo aver barcollato un istante, precipitò a terra senza poter dire una parola.
Il giovane Bondanelli, percosso a sua volta e ferito abbastanza gravemente al capo, e stordito, dovette abbandonare ogni difesa, mentre gli aggressori si allontanavano velocemente, e si gettavano alla campagna.
Il momento non poteva essere più tragico e più angoscioso. E qui si rivelò ancora una volta - purtroppo l'ultima - la forte tempra del coraggioso sacerdote.
Lottando contro l'orribile dolore che gli veniva dal cranio letteralmente fracassato, D. Minzoni fece per rialzarsi; riuscì a mettersi in ginocchio; ricadde; si rialzò di nuovo, e, aiutandosi al braccio del Bondanelli, che faceva egli pure sforzi sovraumani, riuscì a trascinarsi ancora di qualche passo verso la sua abitazione.
A pochi passi da essa cadde, e stavolta la forze gli mancarono in modo definitivo.
Ai disperati richiami del Bondanelli accorsero alcuni cittadini, che sollevato di peso D. Minzoni, lo trasportarono nella sua camera da letto, una stanzuccia modesta, indice della semplicità della vita del buon parroco.
Venne immediatamente mandato a chiamare il medico condotto, il quale ad un primo esame giudicò il caso gravissimo, e provvide urgentemente alle cure del caso. Dieci minuti dopo, avendo il ferito dato forti sintomi di aggravamento, il dottore constato che l'opera sua era vana, e che la scienza ancora una volta si trovava impotente di fronte alla implacabile ferocia degli assassini.
Anche il Tenente dei Carabinieri, subito avvertito del fatto, si recò sul posto e alla casa arcipretale, e tornò per ben due volte al letto del morente: ma senza poter riuscire ad interrogarlo.
Frattanto da tutti i punti del paese fu un accorrere agitato, frettoloso e commovente di persone verso la casa dell'Arciprete.
Il morente non parlò, non riuscì a parlare. Disse, o parve ad altri dicesse, a fior di labbro, qualche motto in latino. Forse intendeva raccomandare qualcosa, forse intendeva perdonare, forse pregava per i suoi uccisori e per sé la divina Misericordia.
Piangenti, terrorizzati, affranti da un dolore senza nome e senza speranza, erano attorno al suo letto i famigliari, alcuni amici, e l'altro arciprete D. Fusari che gli amministrò l'Estrema Unzione, e lo seguì con la preghiera cristiana fino al momento della sua morte.
A mezzanotte l'anima del martire era volata a Dio.
Poco dopo il cadavere era composto nel suo lettuccio francescano, che molto ricorda i letti da campo, e riposava il suo sonno eterno.
Vegliavano ai suoi lati, piangenti ed oranti, le buone Suore della Carità, alcuni soci del Circolo Giovanile " Giosuè Borsi ", Alcuni Esploratori Cattolici ed altri intimi amici.
Sulla veste talare spiccavano le undici decorazioni, fra cui la medaglia d'argento al valore militare.


Fonte:
www.donminzoni.it

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Aggiunto/modificato il 2023-07-08

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