Hergensweiller, ridente paese della Germania meridionale. Il 23 settembre 1912, vi nacque Leone Burger, accolto dall’amore dei suoi genitori e dai fratelli più grandi nella sua numerosa famiglia. Suo padre, da umile operaio, era diventato ispettore di costruzioni. Alla luce dei suoi cari, Leo crebbe in un ambiente dalla fede forte e luminosa. In casa, si pregava ogni sera tutti insieme. Ogni mattina, prima della scuola, genitori e figli andavano a Messa. I comandamenti di Dio, il Vangelo di Gesù, l’affezione alla Madonna erano vita vissuta in famiglia.
L’ascendenza del ragazzino A scuola, Leo si distinse subito per la buona intelligenza e per l’impegno nello studio. Vivace, gentile come un gran signore, sempre pronto ad aiutare i compagni, sui quali aveva un grande ascendente. I suoi genitori erano piuttosto stupiti che molti amassero stare con lui. Tra il gioco e lo studio, rivelava la sua segreta attrattiva verso il tabernacolo: Gesù lo attirava come una calamita, come l’amore, che rivelandosi, diventa sempre più irresistibile. La scuola media, la frequentò a Lindau. Per arrivarci, a 12 chilometri dal suo paese, viaggiando in treno in mezzo a coetanei spesso litigiosi, Leo faceva da amico e pacificatore. Era una presenza che incuteva fascino e rispetto. La prima tappa, a Lindau, all’inizio della sua giornata era la Messa con la Comunione: di Gesù eucaristico, ormai non poteva proprio più farne a meno e si preparava a riceverlo con la Confessione settimanale e un’intensa vita cristiana. Prima di uscire dalla chiesa, salutava la Madonna, affidandole la sua vita. Si rivelava sportivo, artista, musico. Disegnava stupendamente bene, suonava il violino, recitava con il pathos di un attore nato. Concluse la scuola media con una votazione altissima: il primo, in quell’anno, della scuola di Lindau. E ora, che fare?
Giovane chiamato Due suoi fratelli maggiori studiavano già nell’aspirantato salesiano di Burghausen, orientati al sacerdozio. Venne il Natale 1926. Leo disse a suo padre: «Non voglio alcun regalo, in questo Natale, ma devi lasciarmi seguire Gesù, sulle orme di Don Bosco, come i miei fratelli». I genitori ne furono assai felici, ma lo invitarono a riflettere, a pregare la Madonna, ad attendere. Leo pregò a lungo e poté decidere con sicurezza: «Sarò salesiano anch’io». Il 27 gennaio 1927, papà Burger presentò Leo, appena quindicenne, all’aspirantato di Burghausen. Leo si trovò a suo agio e si buttò nello studio rivelando di essere un piccolo genio. Aveva portato con sé il violino e intratteneva i compagni con la sua musica, come un piccolo maestro. Partecipava alle rappresentazioni teatrali, dipingeva da incantare. Ma fin dal primo giorno, il suo luogo prediletto era la cappella, presso il Tabernacolo. Quando Leo spariva dalla circolazione, chiunque lo cercasse, poteva trovarlo, in ginocchio, in adorazione davanti a Gesù, lo sguardo fisso su di Lui, come chi parla con il suo amore, tanto più felice quando il Santissimo Sacramento era esposto solennemente sull’altare. È solo Lui che attira i ragazzi a consacragli la vita, secondo la sua promessa: «Io attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Compagni e professori si accorsero che quel ragazzo così dotato camminava verso la santità: puro, generoso, leale, pronto al sacrificio, all’obbedienza, anche quando gli costava molto, capace di dominarsi e di sorridere, molto umile... Nella casa salesiana, era assai viva la Compagnia dell’Immacolata, quella fondata a Valdocco da San Domenico Savio nel 1856. Leo conobbe la storia di Domenico e se ne entusiasmò tanto da proporsi di imitarlo in tutto, nella fedeltà ai suoi doveri, nella purezza, nell’affezione grandissima a Gesù, alla Madonna, nell’apostolato tra i compagni, in un clima di gioia. Entrò nella compagnia, ne studiò la regola, si impegnò a viverla, come la sua via maestra per farsi santo.
Uno con Gesù Testimoniano quelli che vissero accanto a lui: «Leo Burger assomigliava a Domenico Savio. Sovente lo vidi passare gran parte del suo tempo libero inginocchiato come un angelo dinanzi all’immagine dell’Ausiliatrice. Le sue frequenti visite in chiesa, dimostravano quanto ardeva il suo amore per Gesù e quanto era affettuosa la sua devozione a Maria Santissima» (un compagno). «Era un’anima piena di Dio. Sempre orientato a Lui, abitando sulla terra, sembrava già godere del Paradiso anticipato, nell’intima unione di vita con il Signore» (un superiore salesiano). «Di sera, dopo cena, mentre gli allievi si dedicavano ai giochi e a conversare insieme, a un certo punto, Leo, senza farsi notare, si ritirava in cappella e lì, in un angolo vicino al Tabernacolo, pregava intensamente...» (un coadiutore salesiano). Ed è così che un giorno, Leo poté scrivere in una lettera: «Gesù e io siamo una cosa sola! Davanti al Tabernacolo ci troviamo Gesù ed io, io e Gesù. Non posso pensare a nulla di più bello». Quando si trattò di eleggere il nuovo presidente della Compagnia, siccome quello uscente era entrato in noviziato, i soci elessero lui. Leo si occupò subito di far crescere in sé e nei soci l’amore alla Madonna, come via facile e meravigliosa per condurre molti a Gesù. Per la festa dell’Ausiliatrice del 1929, scrisse ai soci: «Domandiamoci: quanto ci ha aiutato Maria? A prima vista forse non troveremo nulla di straordinario, ma quante volte ella ci ha salvati!».
Incontro a Dio Il 15 luglio 1929, rientrò in famiglia, stanchissimo, ma con la speranza di riprendersi. Invece, dovette mettersi a letto, ammalato, seriamente ammalato, non tardando a comprendere che presto Dio lo avrebbe chiamato a Sé. Alla fine delle vacanze, scrisse ai compagni: «Sono obbligato a restare a letto. Non sto bene. Offro questo sacrificio a Gesù. Nella mia solitudine, converso amabilmente con Lui e gli dico tante cose, per me, per voi, per i nostri superiori. Leggo il libro de La vera devozione a Maria di San Luigi di Montfort, che ogni giorno mi sembra più bello. Recito il Rosario ogni giorno. Quel che più mi addolora e che qui non posso ricevere il mio amato Salvatore nella Comunione». Stando a letto festeggiò il suo ultimo compleanno, il 23 novembre 1929: 17 anni. A Natale, volle i suoi cari tutti attorno al suo letto e insieme cantarono Stille Nacht. Sua prima preoccupazione era di rasserenare i suoi genitori che soffrivano terribilmente per l’aggravarsi della sua malattia. Il giorno dell’Epifania 1930, sereno come chi va incontro a una festa d’amore lungamente attesa, ricevette l’ultima volta Gesù eucaristico come viatico per la vita eterna. L’8 gennaio, dopo aver seguito le preghiere degli agonizzanti, lucido e calmo, alle quattro del pomeriggio, se ne andò a vedere Dio. Nella sua biografia, l’autore, il salesiano don Lecherman, scrisse di lui: «Leo Burger emulò i grandi giovani santi come Luigi Gonzaga, Giovanni Berchmans, Stanislao Kostka, e colui che a noi è più vicino, il fiore della gioventù salesiana, Domenico Savio». Leo Burger, il Domenico Savio tedesco.
Autore: Paolo Risso
|