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Serva di Dio Arcangela Filippelli Vergine e martire

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Longobardi, Cosenza, 16 marzo 1853 – 7 febbraio 1869

Arcangela Filippelli, fanciulla di Longobardi in provincia di Cosenza, trascorse l’intera vita nel suo paese d’origine. Il 7 febbraio 1869 venne insidiata dal giovane Antonio Provenzano, che intendeva usarle violenza, ma gli si oppose vivamente e venne uccisa a colpi di scure. I suoi resti mortali, dapprima sepolti nel cimitero di Longobardi, vennero successivamente traslati nella Chiesa parrocchiale di San Francesco di Paola. Il processo canonico per l’accertamento del suo martirio in difesa della castità è durato dal 1° ottobre 2007 al 29 maggio 2013.



Arcangela nacque nella contrada “Timpa”, situata lontana dal centro abitato di Longobardi, in provincia di Cosenza, il 16 marzo del 1853, anche se venne registrata in Comune il giorno successivo. I suoi genitori, Vincenzo Filippelli, bracciante e Domenica Pellegrini, filatrice, le insegnarono a vivere con devozione le principali solennità religiose ed erano noti tra i concittadini per la loro onestà.
Crescendo, finì col diventare la ragazza più bella del paese non solo per i suoi capelli biondi e l’incarnato roseo, ma soprattutto per il suo sorriso con cui i compaesani la ricordavano e che traeva origine dai lunghi colloqui con Dio nella Chiesa del paese che frequentava con assiduità e nella quale si accostava ai sacramenti.
Il 7 febbraio 1869, domenica di Carnevale, la madre decise di mandare la ragazza da un’amica, Anna Provenzano, per procurarsi della legna da ardere. La signora, tuttavia, non ne aveva neppure per sé, quindi mandò insieme alla fanciulla le sue tre figlie in un bosco privato in contrada “Russo”, di cui era custode suo marito Arcangelo. A differenza dei genitori di Arcangela, questi non godeva di buona fama, tanto da essere soprannominati “Lucifero”.
Dopo la Messa, le ragazze si avviarono verso il bosco, per non partecipare alle feste di Carnevale, all’epoca ritenute occasione di peccato. A seguirle, il figlio di Arcangelo Provenzano, Antonio, di 22 anni, che per il suo aspetto e i suoi comportamenti si era procurato, come avvenuto per il padre, un soprannome poco gradevole, quello di “facione”. Era interessato ad Arcangela, perciò colse l’occasione per insidiarla e cercare di farla sua.
Accompagnate le ragazze nel bosco, le aiutò personalmente a legare le fascine di legna, che aveva tagliato con la scure che gli era stata prestata da Saveria Mantello, una vicina di casa. Una volta sistemato il carico delle sorelle sulle loro teste, le invitò a tornare a casa, mentre lui sistemava la restante legna con Arcangela, ma loro non vollero muoversi senza di lei. Tuttavia, mentre stavano ancora nel bosco, la sua fascina si sciolse, costringendola a restare indietro di qualche centinaio di metri.
Allora Antonio decise di attuare il suo piano: dopo aver raccolto la legna, prese a insinuare proposte scorrette alla ragazza, la quale, impaurita, iniziò a correre e a urlare per il bosco, poi si aggrappò con forza a un albero di castagno che si trovava nei pressi di un’altura. Il giovane la raggiunse e ripeté le sue profferte, ottenendo, costantemente, rifiuto dopo rifiuto: «La Madonna non vuole queste cose» e «Morta sì, ma non mi farò mai toccare da te», esclamò Arcangela.
Infuriato, Antonio estrasse la scure dalla cinta dei pantaloni e mutilò la ragazza tagliandole mani, orecchie e piedi, infierendo successivamente sul resto del corpo con oltre quaranta colpi.
A causa del buio e della nebbia, né i contadini del luogo né le sorelle Provenzano accorsero. Verso sera, partirono le ricerche di Arcangela, su iniziativa dei genitori che non l’avevano vista tornare. Lo stesso Antonio fu a capo di uno dei gruppi e arrivò, per occultare il misfatto, a smorzare il lucignolo di una lanterna. Solo l’indomani, il bracciante Pasquale Cavaliere, ritrovò il cadavere e avvertì le autorità e i parenti. I sospetti caddero subito su Antonio, che aveva cercato di crearsi un alibi tornando al suo posto di lavoro, ma lì venne arrestato.
Tutta la popolazione di Longobardi e numerosi abitanti dei paesi vicini presero parte al funerale di Arcangela, che fu seppellita nel cimitero cittadino. Immediatamente, venne avviato il processo penale davanti alla Corte d’Assise di Cosenza, durante il quale i testimoni interpellati assicurarono la rettitudine della ragazza e dei suoi familiari. Il 17 maggio 1869 il processo si concluse con la condanna a morte di Antonio, che non fu eseguita perché lui morì di cancrena, presso le carceri di Cosenza, il 5 agosto 1872.
Ben presto, la gente prese a visitare la tomba di Arcangela quasi in forma di pellegrinaggio: perciò, dopo una missione popolare predicata da don Domenico Cananzi, il suo corpo fu traslato, con il permesso del Vescovo di Tropea, nella chiesa di San Francesco di Paola a Longobardi. Sul luogo del martirio, il 22 settembre del 1973, fu eretta una monumentale croce, benedetta dall’Arcivescovo di Cosenza, monsignor Enea Selis.
Il parroco di San Francesco, don Francesco Miceli, raccolse numerose testimonianze dirette per chiedere l’apertura di un eventuale processo canonico. Una serie di concause, ossia la sua avanzata età, l’annessione di Longobardi alla diocesi di Cosenza e, infine, la sua morte, fecero sì che il suo lavoro rimanesse custodito nell’archivio parrocchiale. Non fu, tuttavia, un’opera inutile: dopo aver accolto le istanze dei fedeli di Longobardi, monsignor Salvatore Nunnari, Arcivescovo di Cosenza-Bisignano, costituì la Postulazione per la causa di beatificazione e canonizzazione di Arcangela. Dopo che la Conferenza Episcopale Calabra ebbe espresso il suo parere favorevole il 7 febbraio 2007, giunse il nulla osta da parte della Santa Sede il 23 maggio dello stesso anno. L’inchiesta diocesana sul martirio della Serva di Dio Arcangela Filippelli venne quindi avviata il 1° ottobre 2007 e conclusa il 29 maggio 2013.


Autore:
Emilia Flocchini e don Enzo Gabrieli, Postulatore


Note:
Per informazioni: Don Enzo Gabrieli (Postulatore) Parrocchia di San Nicola Piazza Duomo 87040 Mendicino (CS)

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Aggiunto/modificato il 2014-02-21

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