L'esempio Herman Wijns era nato il 15 marzo 1931 in Belgio, nel paese di Merksem, presso Anversa in una famiglia benestante. Suo padre era un commerciante di successo, che viveva la sua professione con entusiasmo e gioia, convinto che si può diventare santi anche lavorando: l’importante è lavorare bene, fare bene il proprio dovere, essere onesti e leali. Il papà di Herman sapeva che molti suoi colleghi e amici lavoravano “semplicemente”, ma contenti, nervosi, facendo il minimo o addirittura imbrogliando gli altri. Invece lui credeva che si può lavorare “con amore”, mettendo il meglio di noi stessi, sapendo che chi lavora “con amore” realizza la missione che Dio ha affidato ad Adamo ed Eva – e dunque ad ogni uomo , quella di trasformare il mondo e di renderlo un poco di più il Paradiso di Dio. Chi lavora diventa “immagine e somiglianza di Dio”, perché come lui crea e plasma la realtà. Il papà di Herman voleva diventare “santo” nel posto in cui lo aveva posto Dio, per questo cercava di essere un “santo commerciante”. Per essere stato sul lavoro, il papà di Herman metteva in pratica la “ricetta” della santità: ogni giorno faceva la comunione, ogni giorno recitava il rosario, ogni mattina ed ogni sera recitava le preghiere insieme a sua moglie ed ai suoi figli. Se Herman diventerà santo lo dobbiamo poco a suo padre, al suo esempio, al suo stile di vita. È l’esempio che trascina: pensate a quanta gente trascinereste a Gesù, se foste di esempio con la vostra vita, con il vostro amore per Gesù.
Rosario e Comunione quotidiani Accade così a Herman. Un giorno, rientrando a casa dai suoi giochi, vide suo padre con la corona del rosario in mano; gli chiese cosa stesse facendo. Suo padre gli rispose: “parlo con la Madonna, la mamma di Gesù e li affido tutti voi, la mamma, tutti coloro che soffrono”. Herman – allora aveva cinque annisi sedette accanto al papà e gli disse: “voglio pregare anch’io con te. Voglio pregare anche io per mamma e per i miei fratelli. Voglio pregare anche io la Madonna per tutti”. Da allora ogni giorno recitò il rosario, anche da solo: per i suoi cari e per tutti quelli che avevano bisogno di aiuto. La stessa cosa accade per la comunione. Herman vedeva che ogni giorno suo padre usciva di casa molto presto. Lui si svegliava, perché voleva salutarlo: non l’avrebbe rivistoche a sera e talvolta lui, il piccolo, era già a letto. Una mattina Herman chiese a suo padre perché uscisse di casa così presto: i genitori dei suoi amici andavano al lavoro più tardi. Papà gli rispose che, prima di andare al lavoro,voleva partecipare alla messa e fare la comunione, per avere Gesù nel cuore e con lui nel cuore lavorare. Herman disse subito: “papà, posso venire anch’io?”. Il babbo non riuscì a dirgli di no e, tenendolo per mano, lo portò in chiesa. Herman chiese cosa fosse la messa e papà li spiegò che era il rinnovarsi del sacrificio di Gesù per la salvezza degli uomini. Da quel giorno, ogni mattina Herman faceva una domanda sulla messa e papà spiegava una cosa nuova: che nella messa Gesù si rendeva presente, che nel pane e nel vino Gesù si rendeva presente “realmente”, che Gesù si faceva pane e vino perché gli uomini potessero diventare una sola cosa con lui, fare comunione con lui, diventare santi come lui. Herman giorno per giorno si affascinava: “allora è una cosa grandissima!”, diceva. E domandava: “papà, quando potrò ricevere anche io Gesù nel mio cuore?”.
Dare il meglio di sé Aveva appena sei anni, ma il suo desiderio divenne così insistente che il Papà ed il parroco decisero di accontentarlo: era il 14 luglio 1937. Da allora partecipò ogni giorno alla messa e fece la comunione. Cominciava a prepararsi la sera prima: le sue preghiere, dette in ginocchio ai piedi del letto, già dicevano a Gesù quello che gli avrebbe chiesto nella comunione. Nel pomeriggio tornava velocemente in chiesa, per ringraziare Gesù di averlo ricevuto nel cuore la mattina e promettergli che avrebbe vissuto “con lui nel cuore”. In effetti Herman si impegnava per dare il meglio di sé in tutto: a scuola studiava con passione ed era sempre tra i primi e, se gli chiedevano perché studiasse sempre tutto e bene, rispondeva che un cristiano deve sempre realizzare bene quello che fa. Non era un “secchione”: studiava, ma era anche capace di stare con i suoi compagni, anzi era un ragazzo che aveva molti amici, perché era allegro e sapeva aiutare i compagni meno bravi senza umiliarli. Era allegro e, insieme, rispettoso: non prendeva in giro ne umiliava alcuno, non c’erano parole offensive o cattive sulla sua bocca e per questo i suoi compagni stavano bene con lui: si sentivano voluti bene, sentivano che per lui erano dei veri “amici”. Voi sareste capaci di essere così?
“Cosa farai da grande?” Un giorno suo padre gli fece la domanda che prima o poi tutti i papà fanno: “che cosa farai da grande ?”. Herman – allora aveva sette anni-rispose con voce sicura: “Prima imparerò a servire la messa, poi diventerò prete”. Papà aggiunse: “allora devi prepararti diventando ogni giorno migliore e offrendo a Dio i tuoi sacrifici”. Come sempre, Herman prese sul serio le parole di suo padre e cominciò ad offrire al Signore i suoi piccoli sacrifici di ogni giorno “per essere unito al sacrificio della messa e convertire i peccatori”. Qualche volta esagerava, come quando ricevette in regalo dalla zia un paio di scarpe nuove, belle… ma strette. La era tutta contenta e gli propose di andare a fare una passeggiata con le scarpe nuove. Herman pensò che sarebbe rimasta male se le avesse detto che le scarpe gli facevano male. Senza dire nulla, soffocando nel cuore il dolore, uscì con la zia, che non fece una “passeggiata” ma una “passeggiatona”. Fu un vero martirio, che procurò ad Herman delle grosse piaghe ai piedi: la mamma, vedendole, si spaventò, lui invece sorrise, dicendole che aveva messo nel “calice” di Gesù quei “dolorini”. Era ancora un bambino e doveva imparare a distinguere tra i sacrifici inutili e quelli importanti. Un’altra volta accadde in estate. Herman pensò a Gesù che sulla croce aveva chiesto da bere, dicendo: “ho sete”, ma i soldati gli avevano dato dell’aceto. Pensò che lui allora poteva unirsi a Gesù nel salvare gli uomini (come Gesù sulla croce), se avesse sopportato la sete senza lamentarsi, offrendo la sua sete a Gesù. Per giorni e giorni si limitava a bere durante i pasti, anche se la sete era fortissima, soprattutto nel pomeriggio: ad Anversa l’estate è calda e afosa. Smise di essere “assetato” come Gesù solo quando il parroco li chiese di smettere quel sacrificio. Qualche altra volta non era esagerato, ma semplicemente coraggioso, innamorato di Gesù.
Regola di vita Inverno tra il 1940 e il 1941: la temperatura era terribilmente bassa e gli erano venuti anche dei grossi geloni ai piedi. La mamma lo scongiurò di stare a casa, ma Herman rispose sereno e fermo: “mamma, non posso non uscire: Gesù mi attende a Messa”. Herman rispose così, perché si era dato una “regola di vita”, cui cercava di essere fedele sempre, anche se aveva appena nove anni. Si alzava ogni mattina alle cinque per andare a servire la messa (allora si celebrava verso le 5.30/6.00), ma Herman faceva in modo di arrivare in chiesa almeno 20 min prima, per poter recitare un rosario: gli sembrava un bel modo di prepararsi alla messa, affidandosi alla mamma di Gesù, che avrebbe incontrato sull’altare. Alla messa non rinunciava mai, piuttosto rinunciava ad altre cose pur belle: in estate preferiva rinunciare ad una gita, che alla messa; preferiva “stare accanto a Gesù che viene sull’altare” che divertirsi, lasciando solo il suo Don, mentre diceva le parole di Gesù. Dopo pranzo, prima di cominciare i compiti, Herman pregava ancora la Madonna e al tramonto recitava ancora il rosario, possibilmente con la mamma, il papà e i fratelli. Come si vede, era un programma esigente non a caso il titolo che gli aveva dato era: “preghiera e penitenza”. D’altra parte Herman ripeteva una frase, che diceva spesso anche don Carlo Gnocchi: “i giovani sono fatti per l’eroismo, non per la mediocrità”.
Il tempo della prova Venne anche per la famiglia di Herman il tempo della prova, che sembra non mancare mai nella vita dei santi, dei credenti. Forse tutti quelli che credono in Gesù devono fare, almeno un poco, l’esperienza di Giobbe che perse tutto – tutti i suoi figli e le sue figlie e tutti i suoi beni – e che, però, ebbe la forza di dire sempre: “il Signore ha dato; il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore” (Gb 1,21). Accade anche al signor Wijns: un amico commerciante gli chiese un prestito per non fallire ed egli glielo fece subito: la carità non si tira mai indietro, se può aiutare. Purtroppo l’amico perse tutto, anche i soldi del papà di Herman. Anch’ egli fallì: perse tutto il suo patrimonio, il negozio, l’attività, la casa: gli amici dei tempi fortunati scomparvero e papà rimase senza lavoro. Talvolta mancava anche il cibo sufficiente per tutti. Ma papà non si scoraggiò: continuò ad avere fiducia in Dio, a pregarlo con fedeltà. Qualche volta – è ovvio – c’erano momenti di scoraggiamento. Allora Herman dava coraggio a suo padre: “preghiamo, papà, e tutto si aggiusterà” e accompagnava suo padre in Chiesa, per la quotidiana visita a Gesù nel Santissimo sacramento: qualche volta il papà era triste, allora Herman gli proponeva di andare a “trovare Gesù nel tabernacolo”. Passava almeno mezz’ora, fissando il tabernacolo, come se vedesse realmente Gesù e il papà lo sentiva ripetere con entusiasmo: “Gesù, ti voglio bene”. Lo diciamo anche noi, ogni volta che fissiamo il tabernacolo?
Capace di dare coraggio Qualche volta bisognava dare coraggio alla mamma, che si disperava, quando vedeva mancare il cibo per i suoi figli. E, come succede spesso, lo scoraggiamento la spingeva a ribellarsi a Dio, a rifiutarsi di pregarlo: “a che serve pregare? – diceva – tanto Dio non ci ascolta”. Allora Herman le rispondeva con la solita voce ferma e serena: “mamma, la forza della preghiera sta nel continuare a pregare, nel pregare sempre. Io continuo a pregare. Il Signore mi esaudirà”. Un altro giorno, Herman le propose: “mamma, perché non vieni anche tu a messa con noi? ”. Ella li rispose irritata: “ non ti interessa quello che faccio o non faccio io”. Herman replicò sereno: “mamma, un giorno papà e io andremo in paradiso e vorrei che ci fossi anche tu con noi, per fare festa tutti insieme per tutta l’eternità”. In ogni caso, Herman non si limitava a pregare: cominciò a fare dei piccoli servizi per le persone e i negozi del vicinato, così guadagnava qualche soldo, che consegnava tutto sorridente ai genitori, per aiutarli a fare la spesa. Herman era un piccolo eroe, capace di dare coraggio ai grandi: è il segreto dei santi, che sanno perseverare nella preghiera e nell’impegno. Anche Herman perseverò: siccome la situazione non migliorava e papà continuava ad essere senza lavoro, decise di “fare sul serio con Dio” e cominciò una Novena e poi una terza. E poi ancora. Arrivò alla venticinquesima Novena. L’ultimo giorno papà Wijns fu chiamato a lavorare in un ministero: era un lavoro sicuro, finalmente. Herman commentò il fatto: “vedete che quando si persevera, si ottiene tutto da Dio”. In effetti, lui aveva perseverato: per 225 giorni aveva insistito nella preghiera, sicuro che Dio e la Madonna lo avrebbero ascoltato: “la Madonna è la nostra mamma – diceva – e ci aiuterà sempre”. E, parlando della bontà di Dio: “se hai qualche grazia da ottenere dal Signore, dillo a me, che sono il più vicino a lui, perché servo la messa e sono vicino al suo altare”. Chissà se i nostri chierichetti sanno che, stando vicino all’altare, sono i “più vicini” a Gesù e possono chiedere a lui grandi cose, per tutti quelli che hanno bisogno.
“O sacerdote o nulla!” Il 24 maggio 1941 Herman andò come al solito a servire la messa. Al termine, in sacrestia, il parroco gli chiese: “Davvero vuoi diventare sacerdote?”. Herman ancora una volta rispose sereno e convinto: “sì, o sacerdote o nulla!”. Nel pomeriggio, camminando lungo la strada trovò a terra un crocifisso: lo raccolse, lo baciò, lo portò a casa, lo pulì ben bene e lo appese nella sua camera. Era un poco triste, pensando dove lo aveva trovato: per terra, abbandonato e sporco. Guardando quel crocifisso smarrito, pensò: “povero Signore!”. E fece un proposito: “devo offrirgli la mia vita in riparazione dell’offesa che ha ricevuto per la salvezza di chi lo ha abbandonato per terra”. Poi corse fuori, a giocare come al solito con gli amici. Scendeva la sera, quando, urtato involontariamente, cadde per terra, ferendosi gravemente la gamba: il sangue sgorgava copioso e inarrestabile. Fu portato di corsa all’ospedale ed operato d’urgenza, senza anestesia per fare più in fretta. Il giorno dopo fu operato una seconda volta, ma l’emorragia non si arrestava. Il 26 maggio 1941 chiese di confessarsi e di fare la comunione. Poi chiese anche il sacramento dell’unzione degli infermi, che allora si riceveva per prepararsi a morire e, in effetti, era chiamata “estrema unzione”, rispondeva lui stesso alla preghiera del sacerdote, rispondeva sereno. Al termine del rito sorrise e il suo volto divenne luminoso di gioia. Mormorò: “papà,mamma, vado da Gesù. Starò con lui per sempre. Vi aspetto”. Chiuse gli occhi, come per dormire. E fu per sempre. Herman, tu hai desiderato diventare sacerdote e lo sei: “sacerdote di desiderio”. Dal Cielo prega per i chierichetti, perché sappiano amare Gesù e Maria come li hai amati e li ami tu.
Autore: Don Ennio Apeciti
Fonte:
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