Famiglia, infanzia e adolescenza
Giovanni Fornasini nacque a Pianaccio di Lizzano in Belvedere, in provincia e diocesi di Bologna, il 23 febbraio 1915, secondogenito di Angelo Fornasini e Maria Guccini. Venne battezzato il giorno seguente nella chiesa parrocchiale dei Santi Gioacchino e Anna a Pianaccio; nel registro dei Battesimi fu indicato anche con il nome di Remo.
A cinque anni cominciò le scuole elementari in paese, in una pluriclasse. Dovette però subire due bocciature, sia in prima elementare, sia in seconda. Sempre a cinque anni iniziò il catechismo in parrocchia. Ricevette la Cresima il 14 luglio 1924, per mano del cardinal Giovanni Battista Nasalli Rocca, arcivescovo di Bologna.
Il lunedì dell’Angelo del 1925 si trasferì con la famiglia a Bagni della Porretta, attuale Porretta Terme: il padre, che per molti anni aveva lavorato come carbonaio e spesso doveva spostarsi in Maremma o in Sardegna come stagionale, aveva trovato un impiego più stabile come procaccia postale, ovvero incaricato di trasferire la corrispondenza dagli uffici postali alla stazione ferroviaria e viceversa.
La madre, invece, oltre a occuparsi dei figli e dei lavori domestici, lavorava stagionalmente presso la parte alta delle terme cittadine, non lontano da casa. Anche Giovanni dava una mano, sia in casa sia, durante le vacanze, come fattorino per il barbiere o accompagnatore dalla stazione all’Hotel Helvetia e viceversa.
Completò le elementari nel 1928, a causa delle due bocciature: svettava tra i compagni anche perché di statura alta. S’iscrisse quindi alla scuola di Avviamento Commerciale presso il Collegio Albergati, terminando le medie nel 1931.
In parrocchia, poi in Seminario
Nella parrocchia di Porretta, Giovanni cominciò a maturare doti da trascinatore. Era chierichetto, catechista, guidava le processioni in paese e il Rosario nel santuario della Beata Vergine del Ponte, cantava durante le veglie di preghiera.
Il servizio in parrocchia lo portò a interrogarsi sulla vocazione al sacerdozio: per questa ragione, a sedici anni, quindi dalla seconda ginnasio, entrò nel Seminario Minore diocesano, nella sede di Borgo Capanne. Completò gli ultimi tre anni del ginnasio nella sede sulla collina di Villa Revedin, da poco inaugurata.
Ebbe parecchie difficoltà nel percorso scolastico: venne spesso rimandato, ma riuscì ad affrontare tutti gli esami con impegno e tramite l’aiuto dei compagni. Al liceo, a partire dai diciannove anni, dovette interrompere gli studi per alcuni periodi, tornando a Porretta per curarsi. Alla visita militare, fu dichiarato di salute fragile e adatto solo a servizi sedentari.
Nel 1935 passò al Pontificio Seminario Regionale Benedetto XV, nel centro di Bologna: frequentò il corso filosofico nell’edificio di piazza Umberto e quello teologico in via dei Mille.
Quando scoppiò la seconda guerra mondiale, organizzò un sistema di raccolta e condivisione di generi alimentari tra i compagni: i seminaristi che provenivano da famiglie di campagna erano invitati a lasciarne una parte in una cassa comune, a cui avrebbero attinto quanti, invece, non ricevevano nulla o quasi dai familiari. Di fatto era lui a occuparsi d’individuare le necessità, anche se il gruppo era formato da quattro o cinque chierici.
Educatore tramite l’Azione Cattolica
Durante le vacanze estive, tornava a Porretta e con altri seminaristi viveva nella canonica, ospite del parroco don Goffredo Minelli. Nel tempo libero, radunava i ragazzi e li portava in gita: presso qualche santuario mariano, come quelli di Castelluccio o Boccadirio, o sulle montagne del suo paese natale, ma anche allo stadio.
“Don Masòla”, come lo chiamavano i più giovani, era poi convinto di dover istituire in parrocchia un circolo di Azione Cattolica, ma il parroco non era d’accordo: approfittando di un suo soggiorno alle terme di Montecatini, sgombrò un locale della parrocchia, aiutato da alcuni ragazzi, per poterlo usare come sede.
L’Azione Cattolica fu anche al centro del suo tirocinio pastorale a Casaralta. Insieme al compagno Alessandro Barozzi, si occupava del catechismo e dell’educazione dei ragazzi. Per loro fondò l’Associazione giovanile San Raffaele: un titolo adatto alla parrocchia nascente, che sarebbe stata dedicata agli Angeli Custodi.
In effetti, in anni in cui il fascismo imponeva un modello di educazione ben lontano da quello ecclesiale e comportò la soppressione dello scautismo, l’Azione Cattolica consentiva l’unico margine di libertà di associazione.
Il viaggio a Lourdes
Dall’11 al 18 agosto 1936 si unì a un pellegrinaggio a Lourdes, organizzato dall’Unitalsi. Scrisse poi un racconto di viaggio, nel quale descriveva i luoghi, gli atteggiamenti dei pellegrini, ma soprattutto suggeriva a sé stesso e ai compagni seminaristi lo stile con cui avrebbero dovuto vivere:
«La Vergine per nostro amore è discesa a Lourdes: le rose le ha sui piedi, per indicarci, che la carità ha guidato i suoi passi. Come una madre che vede in pericolo il suo figliolo, non ne lascia ad altri la cura, ma vi corre essa in aiuto, così ha fatto Maria. E a Lourdes è discesa per tutti, accoglie tutti, nazionali e stranieri, ricchi e poveri, sani e malati, giusti e peccatori.
Tale dev’essere la nostra carità verso il prossimo, noi chiamati al sacerdozio che è ministero di amore e di sacrificio. Anzi le qualità di questo amore le possiamo vedere simboleggiate nella fontana della grotta. Zampilla essa dalla viva roccia; così la carità deve sgorgare dalla salda pietra della fede, altrimenti avremo la vana e volubile filantropia del secolo. La fontana è accessibile a tutti, senza eccezione, la carità la si deve usare con tutti, anche coi nemici. La fontana una volta scaturita, non cessò mai, la carità non deve illanguidirsi, ma continuare sempre nelle opere di misericordia. L’acqua della fontana è limpida e pura; così la carità non deve tollerare miscugli di altri fini nelle sue opere, ma deve avere per fine il puro amor di Dio».
Tornò come nuovo da quel viaggio, anche sotto l’aspetto della salute: da allora in poi non ebbe più problemi.
Verso il sacerdozio: la «Repubblica o Società degli Illusi»
Il 29 marzo 1941 Giovanni divenne suddiacono, impegnandosi quindi al celibato ecclesiastico e all’offerta totale della sua vita a Gesù, come raccontò in una lettera, datata sei giorni prima, al suo padre spirituale, don Cesare Sarti. Fu invece ordinato diacono il 7 giugno 1941.
Poche settimane prima dell’ordinazione sacerdotale, strinse un patto con i compagni di classe: avrebbero dovuto restare uniti e sostenersi anche quando gli impegni del ministero li avrebbero dispersi nelle varie parrocchie della diocesi. Diede un nome a questo sodalizio: la «Repubblica o Società degli Illusi».
Nello Statuto, steso il 5 aprile 1942, giorno di Pasqua, spiegò la ragione di quella denominazione: «…Noi siamo i seguaci di Colui che il mondo cieco ha chiamato il più grande illuso della storia…». Precisò quindi lo scopo, «perché i membri delle camerate alle quali gli illusi appartengono diventino santi sacerdoti», e i mezzi, in dieci punti, che contenevano tra l’altro un impegno di rispetto nei confronti dei superiori, di sostegno vicendevole e anche uno spazio per l’allegria, di cui ogni “illuso” doveva farsi promotore e portatore fra i compagni.
L’ordinazione sacerdotale e le prime Messe
Il 28 giugno 1942 fu ordinato sacerdote nella cattedrale di San Pietro a Bologna. Il giorno seguente celebrò per la prima volta nella chiesa di San Tommaso a Sperticano, dove aveva prestato tirocinio nell’anno di diaconato e a cui era stato assegnato come viceparroco immediatamente dopo l’ordinazione.
Due giorni dopo celebrò la seconda Messa al santuario della Beata Vergine di San Luca a Bologna, sul monte della Guardia. Il 2 luglio celebrò davanti alla grotta della Madonna di Lourdes a Campeggio presso Monghidoro, ricordando i giorni del pellegrinaggio.
Cantò invece la Prima Messa solenne il 5 luglio a Porretta, circondato dai suoi ragazzi. Nell’omelia ribadì più volte un concetto: «Il Signore mi ha scelto monello fra i monelli…», forse per cercare di convincerli a seguire le sue orme.
Don Giovanni parroco
Dopo la morte di don Giovanni Roda, parroco di San Tommaso, avvenuta il 20 luglio, don Giovanni Fornasini fu chiamato a succedergli: il 27 settembre 1942 compì la presa di possesso. Mentre la guerra imperversava e molti degli uomini del piccolo paese (circa quattrocentocinquanta abitanti all’epoca) erano al fronte, sentiva di dover fare in modo che la parrocchia fosse uno spazio aperto a tutti, per la preghiera e anche per stare insieme.
L’attenzione per bambini e ragazzi non venne meno: per loro volle una “biblioteca volante” e una scuola, cosicché potessero finire le elementari senza lasciare il paese. Come da seminarista, li radunava per le gite e per le attività ricreative, ma anche per il coro parrocchiale.
In bicicletta e in ginocchio
Chi ricordava don Giovanni per il suo fisico alto e fragile, si stupiva al vederlo correre in bicicletta, apparentemente mai stanco. Arrivava dovunque ci fosse un malato o una famiglia povera, a cui destinava la questua domenicale e consegnava vestiti e alimenti donati da altri compaesani.
Passava però anche molto tempo in chiesa, inginocchiato di fronte all’altare. Dalla contemplazione traeva ispirazione per omelie semplici e allo stesso tempo efficaci: «Diceva delle parole povere, ma a noi altri bastava più la parola povera che quella più perfetta», ha raccontato un testimone.
A sostegno dei confratelli
Un altro aspetto del servizio di don Giovanni era l’aiuto che prestava ai confratelli anziani o malati dei paesi vicini. Di frequente saliva in bicicletta, per dieci chilometri, fino a Vedegheto, per raggiungere il parroco don Alfredo Calzolari, affetto da tubercolosi e quindi, nei periodi che trascorreva in ospedale, bisognoso di un sostituto.
Spesso si fermava a Montasico, che era lungo la strada. Anche lì il suo aiuto veniva richiesto da don Amedeo Girotti, a cui una malattia agli occhi impediva di poter celebrare adeguatamente. Come nella parrocchia che gli era stata affidata, la sua predicazione colpiva i fedeli, ma anche il suo esempio.
Un autista di corriera, di nome Mario, che non frequentava la chiesa, rimase sbalordito al vederlo arrivare ugualmente con la bicicletta, una mattina di dicembre, dopo una forte nevicata; lui e un collega, invece, si erano dovuti fermare. Volle quindi seguire il sacerdote: partecipò alla Messa e, da allora, cambiò atteggiamento.
A difesa del suo popolo
Dopo il bombardamento su Bologna del 1943, don Giovanni accolse in canonica molti sfollati. Il 27 novembre 1943, invece, accorse a Lama di Reno per soccorrere i feriti a causa di un altro bombardamento aereo.
Quando il fronte arrivò, intensificò il suo impegno prestandosi spesso, senza timore, a fare da portavoce e difensore della popolazione, affrontando con coraggio e dolce insistenza molte emergenze e situazioni pericolose.
Il 5 agosto 1944 intervenne per impedire la deportazione in Germania di alcuni ostaggi condotti a Montasico, catturati per rappresaglia dopo l’uccisione di un soldato tedesco alle Verselane. Poco dopo, il 29 settembre 1944, arrivò anche a Sperticano la notizia del rastrellamento a Pioppe di Salvaro. Era solo l’inizio di quella che fu definita la strage di Marzabotto, composta da eccidi consumati dai soldati tedeschi in quel paese e nelle frazioni vicine, fino ai primi giorni di ottobre.
Don Giovanni si diresse immediatamente lì, ma in un primo momento venne imprigionato. L’indomani fu mandato a Bologna per ottenere un lasciapassare. Presentandosi al cardinal Nasalli Rocca, ricevette da lui un invito ad attendere che il pericolo passasse, ma preferì risalire, tra la sua gente disorientata e sofferente.
Il rischio e il testamento
Era assolutamente vietato dare sepoltura ai cadaveri lasciati per strada come monito. Per giorni, don Giovanni continuò a farlo, anche sapendo di correre un rischio: sentiva che facesse parte del suo essere sacerdote.
Con questa consapevolezza, il 10 settembre 1944, aveva scritto il suo testamento, affidato a don Ubaldo Marchioni, suo compagno di Seminario e tra i membri della Società degli Illusi, e a don Lino Pelati:
«Nel pieno possesso delle mie facoltà mentali innanzitutto dichiaro di voler vivere e morire in seno alla Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana nella quale mi glorio di essere ben indegno suo ministro ed umile figlio devoto. Raccomando a Gesù misericordioso l’anima mia, domando con cuore contrito perdono dei miei peccati e a Maria SS. la grazia della perseveranza nel bene fino al termine della mia vita, e la loro paterna e materna protezione e assistenza».
Dopo alcune consegne relative all’amministrazione dei suoi beni, aveva concluso:
«Ai miei parenti ed amici un saluto affettuoso, ai miei buoni e cari parrocchiani domando perdono delle mancanze mie, dei miei difetti, del malo esempio e, Dio non voglia, degli scandali che involontariamente pure avessi loro dato. Lascio a loro questo ricordo, rispetto, obbedienza e amore a Dio, al Papa, ai sacerdoti, carità fraterna, aborrimento del peccato. A tutti… il mio appuntamento in Paradiso».
L’ultimo atto di protezione
L’8 ottobre la canonica di Sperticano venne occupata da un comando delle SS: in questo modo, le azioni del parroco venivano drasticamente limitate.
Uno degli ufficiali, però, aveva posto gli occhi su due ragazze sfollate in canonica, che volle invitare a una festa, nell’aula della scuola del paese, con evidenti intenzioni poco nobili. Don Giovanni intervenne: le accompagnò di persona fino al luogo della festa, la sera del 12 ottobre, e le riportò in canonica senza che subissero alcun male.
La scomparsa e il ritrovamento
La mattina del 13 ottobre fu invitato dal capitano delle SS a salire dietro di lui verso San Martino di Caprara. Don Giovanni si mosse, perché sapeva che quello era stato il luogo di un’altra strage, nella quale era morto il suo amico don Ubaldo Marchioni; ignorava che aveva subito analoga sorte un altro sacerdote, don Ferdinando Casagrande. Partì tenendo con sé l’occorrente per i Sacramenti dei moribondi e col Rosario tra le mani, replicando ai familiari che volevano trattenerlo: «Devo andare».
A mezzogiorno il capitano delle SS rientrò in canonica, ma di don Giovanni non c’era traccia. Dopo mezz’ora, uscì di nuovo e risalì la montagna, tornando verso le 18, in tempo per la cena. A quel punto, mentre le donne di casa servivano la cena, Corinna, cognata del parroco, chiese cosa ne fosse stato di lui. Il capitano replicò: «“Pastore, kaputt!”».
Il 22 aprile 1945, dopo la liberazione di Bologna, Luigi Fornasini andò a San Martino per cercare tracce del fratello. Trovò il cadavere di don Giovanni, dietro il cimitero di San Martino: era stato visto il giorno successivo alla scomparsa, ma nessuno aveva osato toccarlo per centonovantatrè giorni. Il 24 aprile la salma trovò sepoltura nel cimitero di Sperticano, ma un anno dopo la scomparsa, il 13 ottobre 1945, venne trasferita nella chiesa di San Tommaso di Sperticano.
Il riconoscimento civile, il recupero della memoria e la fama di santità
A don Giovanni venne conferita la Medaglia d’oro al valor militare il 13 ottobre 1944: la motivazione lo definiva «luminoso esempio di cristiana carità». A guerra finita, gli venne poi intitolata la piazza di Pianaccio, il suo paese natale e, nel 1963, il Circolo giovanile della parrocchia di Porretta Terme.
Nel 1976, trentuno anni dopo l’eccidio di Marzabotto, diversi parroci della zona scrissero una petizione all’arcivescovo Antonio Poma perché venisse avviato un recupero della memoria dell’accaduto a livello diocesano. La Cancelleria della Curia diocesana di Bologna avviò quindi una prima ricerca di documenti.
A partire dal settembre 1983 iniziarono i pellegrinaggi diocesani a Monte Sole, che segnavano il recupero anche dei luoghi della strage. Due anni più tardi, nel giugno 1985, vennero presentati i risultati della Commissione storico-teologica, a cui seguì la raccolta delle deposizioni dei testimoni ancora viventi, da preservare a futura memoria.
Don Giovanni, intanto, era ancora ricordato in particolare dai parrocchiani di Sperticano e di Pianaccio. Di lui si parlava come dell’«angelo di Marzabotto», consolatore di famiglie e singoli, dispensatore dell’amore di Dio anche in mezzo alla guerra e all’odio.
La fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione sulle virtù eroiche
Con l’Editto del 4 ottobre 1998 il cardinal Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, dispose l’apertura delle inchieste diocesane su vita, virtù e fama di santità e segni dei Servi di Dio Giovanni Fornasini, Ubaldo Marchioni e Ferdinando Casagrande, del clero diocesano di Bologna.
La prima sessione si svolse il 18 ottobre dello stesso anno, mentre l’ultima fu celebrata il 16 novembre 2011. Il 13 dicembre 2013 la Congregazione delle Cause dei Santi riconobbe la validità giuridica degli atti processuali.
Nel 1995, promosse dalle rispettive congregazioni religiose di appartenenza, erano state avviate le cause per virtù eroiche dei Servi di Dio Elia Comini, Salesiano, e Martino Capelli, Dehoniano, uccisi il 2 ottobre 1944 a Pioppe di Salvaro.
Il reindirizzamento della causa per martirio
Tuttavia, dallo studio dei documenti e delle testimonianze, il postulatore di don Giovanni domandò, il 1° luglio 2016, di cambiare il lemma, ossia l’indirizzo della causa: non più per l’indagine sulle virtù eroiche, ma per verificarne il martirio in odio alla fede. La richiesta fu accolta il 21 ottobre 2016; tre anni dopo, fu compiuto un atto analogo per le cause di don Comini e padre Capelli.
In effetti, don Giovanni era considerato da tempo, e in modo informale, uno dei “martiri di Monte Sole”. Dagli atti dell’inchiesta diocesana era poi emersa chiaramente la consapevolezza da parte sua di agire come si conveniva a un sacerdote, anche a rischio della vita.
Allo stesso tempo, era diventato palese l’atteggiamento persecutorio nei riguardi della sua azione sacerdotale, culminato con la decisione, da parte degli occupanti tedeschi, di eliminare un ostacolo ai loro intenti, che andavano contro gli insegnamenti del Vangelo. Questo risultava evidente anche dai risultati della ricognizione svolta nel 2011: sulle ossa erano riscontrati segni di fratture e incrinature riconducibili a violenze.
Il decreto sul martirio
Il 29 maggio 2018, quindi, i Consultori storici espressero parere favorevole al riconoscimento del martirio, così come i Consultori teologi il 10 dicembre 2019.
Il 21 gennaio 2021, ricevendo in udienza il cardinal Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto con cui don Giovanni veniva dichiarato ufficialmente martire.
La beatificazione
La Messa col Rito della Beatificazione fu celebrata il 26 settembre 2021 a Bologna, nella basilica di San Petronio, presieduta dal cardinal Semeraro come delegato del Santo Padre. La memoria liturgica del Beato Giovanni Fornasini venne invece stabilita al 13 ottobre, giorno anniversario della sua nascita al Cielo.
Autore: Emilia Flocchini
|