Il suo calvario iniziò che non aveva ancora sette anni… in macchina, il 28 dicembre 1998, festa dei piccoli martiri innocenti. Anche lui divenne un piccolo martire. Del dolore. Amava il santo Natale Federico, e in quella notte tutta speciale attendeva con gioia pura e semplice il momento in cui con sacra ritualità avrebbe deposto il bambino nella mangiatoia. Questo gesto, che può apparire ad alcuni quasi meccanico, ci dipinge, invece, la sua dolcezza e il suo spessore spirituale, sorprendente perché raggiunto e vissuto appena all’alba della vita. La vita gli riservò un percorso di dolore che ai suoi cari dovette apparire interminabile, fatto di cure radio-chemioterapiche, trasfusioni, degenze in isolamento, iniezioni lombari dolorosissime, lunghi viaggi da e per Milano. Gli ultimi tempi il male gli tolse anche vista ed equilibrio, ma non il coraggio né l’eccezionale forza morale che lo sorreggeva. Federico non ha mai pianto, non si è mai lamentato. Tutt’altro: consolava e incoraggiava gli altri bambini degenti come lui, dicendo loro che acquistava forza pregando. A chi gli chiedeva qualcosa sul suo stato di salute, rispondeva immancabilmente: “Bene!”. All’ospedale si dava da fare, realizzando piccoli lavoretti che poi mostrava con orgoglio ai suoi. Amava la pittura, le feste e soprattutto i presepi che furono la sua vera grande passione. Faceva anche il chierichetto ed era un chierichetto ideale. Non smise nemmeno quando la malattia lo privò della vista: saliva l’altare aiutato dai compagni. Non se la sentiva di stare lontano dal suo Gesù. Dopo il primo ciclo di cure, sembrò rinascere. Dopo due anni il male implacabile tornò. E fu il periodo in assoluto più duro della sua breve vita. Le cure, ormai solo palliative, non avevano più alcuna efficacia. Scrisse su un tema: “Ogni volta che vado a Milano mi vengono i brividi di farmi la puntura”. Durante la malattia che gli straziava la carne, stupivano il suo silenzio e quel sorriso che continuava ad avere per chiunque lo andasse a trovare. Ricevette la prima comunione pochi mesi prima di morire e fu un’emozione grandissima: “Mamma, papà, ho visto Gesù che mi sorrideva… Aveva gli occhi azzurri, la barba, il vestito celeste…”. Tutti rimasero stupefatti. Da allora Federico ogni tanto raccontava di sue visioni di cielo. A volte i suoi lo sorprendevano a dialogare con… nessuno! In realtà dialogava con ciò che vedeva o aveva dentro di sé… La sera recitava quasi sempre il Rosario. E amava il Signore come pochi: “Gesù tu sei il più bello e il più forte con il cuore!”. Morì il 2 ottobre 2004. Migliaia di persone si radunarono per il suo funerale e la commozione fu grande. Lo inquadra una sua espressione: “Mi chiamo Federico, ho 11 anni, vengo dalla città di Agrigento, sono figlio unico. Vorrei sapere cosa vuoi da me, perché spunti la notte sempre, perché hai bisogno di me? e perché stai in contatto con me sempre, ogni giorno?”.
Autore: Serena Manoni
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