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Melania Russo Adolescente

Testimoni

31 maggio 1988 – 13 dicembre 2003


Oria è un grosso borgo colmo di arte, di monumenti, di chiese, protetto dal castello svevo, abbellito da un panorama invidiabile, carico di anni e di storia. La sua fondazione si fa risalire attorno al 1200 a.C. È meta di scrittori, artisti, uomini di cultura. In questa meraviglia di paese è nata la meraviglia di Melania, un angelo biondo vestito di bontà, di tenerezza, di altruismo.
Aveva gli occhi del cielo, Melania, che ne rispecchiavano l’anima: una limpidezza irraggiante che non perse mai. “Era bellissima, mia sorella, dice Sonia, esteriormente e interiormente”. La dote più apprezzata da familiari, amici, compagne e compagni era la grande generosità che ne contraddistingueva il tratto. Con tutti. Un cuore così amabile e disponibile che riusciva a trattare anche chi incontrava per la prima volta come se si conoscessero da sempre. Indizio di un animo limpido, incapace di furberie, screzi, malevolenza. Tamburina nel gruppo degli sbandieratori, partecipava con gioia alle feste del paese.
Melania amava la vita, perché la vita è la più grande meraviglia inventata dalla fantasia di Dio. Intimamente compresa di questo miracolo, quel piccolo prodigio di natura si dava d’attorno perché anche gli altri fossero felici di vivere come era felice lei: stava vicino agli amici, si prodigava per chi era in difficoltà, sorrideva a chi vedeva triste.
Solo un neo, un neo vero,non di natura caratteriale né, tanto meno, morale, poiché sotto questo aspetto era candida come la neve. Un neo fastidioso che le procurava malessere, soprattutto quando sanguinava. I dottori non gli diedero troppa importanza, almeno all’inizio, ma poi l’esame istologico rivelò la bestia che era: un melanoma. Lei non si impressionò più di tanto: continuò la sua vita normale. E normale per lei voleva dire ad alto livello: voleva dire famiglia, chiesa, amici, scuola, aiuto al prossimo… luoghi e persone verso cui profondeva i suoi tesori di bontà e di grazia.
Mancavano quattro giorni al suo compleanno quando con papà e mamma partì alla volta di Parma per esami approfonditi. E la verità si squadernò davanti a lei e ai familiari in tutta la sua tragica realtà. Non si arrese. Continuò a lottare con il suo affascinante sorriso sulle labbra e il carico incredibile di fiducia nel cuore. Né perse l’umorismo: “Per fortuna questa malattia è venuta a me e non a te!”, diceva a Sonia che vedeva più sofferente di lei, nella paura di perdere “la miglior sorella del mondo”.
Quando il male cominciò a comprimere il cervello e le speranze a poco a poco caddero come le foglie d’inverno, fu una commovente gara di preghiere da parte di tutti, soprattutto i familiari e i ragazzi dell’oratorio di cui voleva diventare animatrice. Ormai vicina alla fine, quando i medici domandavano, come di routine, “Beh, come va?”, aveva il coraggio di rispondere: “Bene, abbastanza bene!”. Fino al 13 dicembre. Quella mattina, era ancora buio, Melania lasciò definitivamente le mani dei suoi genitori per stringere quelle di Dio. Sotto il cuscino aveva due immaginette, quella di Chiara Luce di cui parleremo e quella di Don Bosco.


Autore:
Serena Manoni


Fonte:
www.sdb.org

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Aggiunto/modificato il 2008-08-27

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