Siamo in Thailandia, “terra degli uomini liberi”, come vuole il significato del vocabolo. E libero fino alla fine si sentì un ragazzetto del seminario di Suratthani tenuto dai salesiani, esempio di fede e di onestà. La Chiesa ha figli in tutto il mondo che testimoniano con genuino coraggio la loro fede anche là dove costituiscono una esigua minoranza. È il caso, ad esempio, della Thailandia, dove un ragazzo appena dodicenne, Dominic Savio Suthep Tonprasert, umile di origine, buono di carattere, ma deciso negli intendimenti, sceglie di percorrere la via del sacerdozio, entrando nel seminario di Suratthani. Il seminario guidato e animato da religiosi preparati, paterni ma autorevoli, accoglie il preadolescente che si integra presto in quell’atmosfera dove umano e divino si fondono perfettamente. Era il 1982. Suratthani, al sud della Thailandia, è lontana dalla sua casa, ma lui ci va volentieri, lasciando mamma e papà che con tanto amore lo avevano cresciuto. La sua vita non è diversa da quella di tutti gli altri compagni, anche se ognuno ha caratteristiche peculiari. La preghiera, cuore e motore della giornata, raccoglieva i ragazzi nella cappella al fioco lume della lampada del tabernacolo e in questa come in ogni altra attività Suthep diviene punto di riferimento per gli altri compagni, grazie al suo innato spirito di collaborazione, finalizzando ogni energia a quell’unico obiettivo che lo aveva spinto a lasciare la famiglia. La vita scorre tranquilla a Suratthani: studio, preghiera, ricreazione… È proprio il tempo libero che risulta fatale per Suthep.Un giorno, un banale incidente (almeno all’apparenza) durante una normalissima partita a calcio, gli procura una grave lesione al ginocchio. Così quella giornata, che si era aperta con la gioia di sempre, segna la fine della spensieratezza dei suoi ancora verdi anni e apre un capitolo inedito che racconta il suo nuovo percorso, “in salita”, affrontato con serenità e fortezza nonostante fosse intriso di sofferenza e timori. Questo cammino permette di scoprire il vero volto di Suthep: ragazzo mite ma forte, preoccupato ma sereno, smarrito ma fiducioso… La lesione che al momento sembrò un infortunio “di prassi”, nascondeva un carcinoma. Appresa la gravità della sua situazione Dominic Savio Suthep confida al suo direttore spirituale: “Caro Padre, non vedo l’ora di ricominciare a studiare e proseguire il mio cammino verso il sacerdozio… Se il Signore vorrà”, sottolineò poi con un sorriso. Non potendo essere sempre presente, il direttore spirituale affida al giovane aspirante il crocifisso dei missionari. Suthep continua a trascinare su spalle ancora fragili la croce che il Signore gli ha offerto, senza mai perdere la gioia, anche quando capisce che presto sarebbe arrivata la fine. La sua fede semplice e profonda non passa inosservata. Stupisce e commuove parenti, amici, dottori, infermiere… e perfino tanti malati buddisti che lo osservavano sempre più ammirati. Trascorre solo un anno da quel fatale incidente, poi Suthep lascia per sempre la terra nel giorno della ricorrenza liturgica di Domenico Savio. I suoi amici c’erano tutti. Lo ricordano come “Song Noi”, il piccolo sacerdote.
Autore: Serena Manoni
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