Luigi Comollo nacque il 7 aprile 1817 a Cinzano, nella frazione Aprà. I suoi genitori, Carlo e Giovanna, erano di condizione modesta, ma ricchi di timor di Dio. Alla loro scuola e a quella di un suo zio paterno, prevosto di Cinzano, il piccolo apprese i germi di quelle virtù che s’impegnò a coltivare in tutta la sua vita. Imparò presto a leggere e a scrivere e non tenne per sé quello che imparava, ma lo comunicava ai coetanei con uno stile e una semplicità tali da essere ben presto tenuto in gran considerazione: se qualcuno osava infatti pronunciare qualche espressione sconcia in sua presenza, veniva presto zittito.
Quando conduceva al pascolo il bestiame di famiglia, si portava dietro alcuni testi spirituali, che leggeva da solo o ad altre persone. Inoltre, nei casi in cui il raccolto era scarso oppure danneggiato dalla grandine, invitava i genitori a non incolpare il Signore, bensì a vedere la Sua mano pure in quegli eventi infausti.
Quando si accostò per la prima volta al Sacramento della Penitenza, fu assalito da un tale dolore per i propri peccati da scoppiare in lacrime di fronte al confessore, che dovette consolarlo per farlo continuare. Non minor devozione mostrò il giorno della sua Prima Comunione, a cui si preparò mediante dieci giorni di ritiro con lo zio. Da allora cercò di confessarsi e comunicarsi ogni volta che l’uso dell’epoca lo concedeva e, per ovviare ad eventuali ostacoli, ricorreva al metodo della Comunione Spirituale, suggerito da sant’Alfonso De’ Liguori nelle sue “Visite al Santissimo Sacramento”.Con queste premesse, era facile intuire che avrebbe iniziato a pensare di diventare sacerdote. Consultatosi col suo direttore spirituale, ricevette, con sua gran gioia, risposta positiva. Allo zio che l’interrogò circa il motivo per cui aveva deciso così, Luigi rispose: «Perché essendo i preti quelli che aprono il paradiso agli altri, spero che lo potrò poi aprire anche per me». Così intraprese gli studi di Grammatica a Caselle, presso Ciriè.
Nel 1835 ebbe il suo primo incontro con Giovanni Bosco. Il futuro santo aveva sentito parlare del nipote del prevosto di Cinzano come di un giovane virtuoso, ma sulle prime non ci credette. Quando, nel vederlo reagire con parole di perdono ad uno studente che voleva obbligarlo, nei momenti precedenti l’inizio delle lezioni, a giocare a “cavallina” (una lotta a cavalcioni di un altro compagno), intuì che si trattava di lui e gli chiese chi fosse e da dove venisse. Fu l’inizio di una splendida amicizia, sia sul piano umano sia su quello spirituale.
Di fronte ai dubbi di Giovanni circa l’incertezza se entrare in Seminario o in un ordine religioso, il giovane gli suggerì di scrivere a suo zio per chiedergli consiglio e di iniziare una novena. L’ultimo giorno di essa i due si confessarono e comunicarono e servirono Messa all’altare della Madonna delle Grazie, presso il Duomo di Chieri. Tornato a casa, Giovanni trovò la risposta di don Comollo: a suo parere, era più adatto a diventare sacerdote diocesano.
Il 1836 vide la conclusione, a pieni voti, del corso di Retorica e la vestizione clericale. Luigi ricordò sempre quel momento come un giorno di festa e si rallegrava al solo pensarci. Nei giorni precedenti, si raccomandò tantissimo alle preghiere dei suoi colleghi, come se si ritenesse indegno di un dono così grande. Non lo vide, però, come un punto d’arrivo, ma come una ripartenza, per rafforzarsi nei suoi impegni di studio e di pratica religiosa, tutti scrupolosamente osservati.
Quanto alla vita di fede, oltre alla Comunione sacramentale il più frequentemente possibile, cercava di servire spesso la Messa e non tralasciava, neppure quando i chierici ne erano dispensati, la recita del Rosario. Durante il ringraziamento dopo aver ricevuto l’Eucaristia, molte volte gli veniva da commuoversi esteriormente: quando l’amico Giovanni gli fece notare che non doveva dare nell’occhio, si vide rispondere che la gioia interiore che provava era tale da necessitare una valvola di sfogo. Inoltre, digiunava molto spesso, privandosi a volte della colazione per offrire qualcosa alla Madonna. Per riassumere, basti riportare la dichiarazione di un altro chierico: Comollo era come una predica continua.
In vacanza si regolava esattamente come in Seminario, riservando il giusto spazio alla preghiera e allo studio. Era molto felice quando doveva occuparsi di qualcosa che era attinente al sacro ministero, come la preparazione di un’omelia. Ad esempio, un anno fu incaricato di tenerne una per la solennità dell’Assunzione di Maria: andò a trovare Giovanni Bosco e gli chiese di ascoltarlo mentre faceva le prove.
Il giorno dopo, i due amici si ritrovarono su di una collina, da cui si vedeva la campagna circostante. All’auspicio dell’altro per un vino buono l’anno successivo, Luigi rispose: «Tu lo berrai». «E tu? Continuerai a bere la tua solita acqua?». «No. Spero di bere un vino molto migliore». Messo alle strette, ammise che sperava profondamente di andare in Paradiso, dopo la sua morte. In effetti, il pensiero dell’altra vita si faceva sempre più forte in Luigi.
Il 25 marzo 1839 Giovanni l’incontrò nei corridoi del Seminario: gli disse di avere brividi e mal di testa, ma a dargli più pena era come presentarsi al giudizio di Dio. Poco dopo aver assistito alla Messa, si mise a letto e vi rimase per tutta la Settimana Santa. Nel delirio della febbre che l’assalì nella notte di Sabato Santo, fu udito gridare: «Ahi Giudizio!», salvo acquietarsi, come riferì ad uno dei presenti, dopo aver avuto una visione del Paradiso.
La sua gioia aumentò quando, a Pasqua, ricevette il Viatico. Mentre tutti gli altri seminaristi erano in Duomo, tenne un discorso ad un amico che lo vegliava, dai toni di un vero e proprio testamento spirituale. Di sera fu preso dalle convulsioni: l’unico modo per calmarlo fu domandargli per chi bisognava soffrire; «Per Gesù crocifisso», fu la sua risposta.
Il 1 aprile ricevette l’Unzione degli infermi e la benedizione papale. Da allora fu molto più sereno, tanto da sembrare che stesse a letto a riposare, non per la malattia. Dopo un’ultima fervorosa preghiera alla Vergine e tenendo lo sguardo rivolto al Crocifisso che aveva fra le mani, disse addio ai presenti. Mentre gli venivano recitate le preghiere dei moribondi, sorrise un’ultima volta all’udire i nomi di Gesù e Maria. Erano le due di notte del 2 aprile 1839.
Dopo aver assistito ai suoi solenni funerali, Giovanni divenne ansioso di verificare se si sarebbe concretizzata una promessa scambiata con lui quasi per scherzo: il primo dei due che fosse morto sarebbe venuto ad avvisare l’altro di essere salvo. Così fu, almeno a giudicare dal racconto contenuto nelle “Memorie dell’Oratorio”, non si sa se sicuramente accaduto o prodotto dell’agitazione del chierico.
I resti mortali di Luigi Comollo riposano sotto il presbiterio dell’altare maggiore della chiesa di san Filippo a Chieri. Di lui restano l’esempio e gli incoraggiamenti che contribuirono senz’altro a fare di don Bosco il santo che ora veneriamo.
Autore: Emilia Flocchini
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